Scoperte onde giganti nell’atmosfera solare (VIDEO)

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Scoperte onde giganti nell’atmosfera solare (VIDEO)

Enormi increspature dell’atmosfera terrestre, chiamate onde di Rossby, contribuiscono a dirigere le correnti a getto del pianeta e a definirne i modelli meteorologici. Uno studio pubblicato su “Nature Astronomy” offre ora la prova migliore che anche sul Sole esistono strutture su larga scala di questo tipo.
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Le onde di Rossby sono state scoperte nell’atmosfera terrestre alla fine degli anni trenta. Generate dalla rotazione del pianeta, sono state osservate anche nelle atmosfere di altri pianeti, così come negli oceani della Terra.

In teoria, queste onde si possono formare in qualsiasi liquido in rotazione, spiega Scott McIntosh, fisico solare al National Center for Atmospheric Research a Boulder, in Colorado, e autore principale dello studio.

Onde giganti nell'atmosfera solare
Science Photo Library / AGF

I ricercatori hanno cercato a lungo la prova dell’esistenza di onde di Rossby anche sul Sole, dice McIntosh. Una migliore comprensione di queste strutture e dei loro movimenti potrebbe infatti aiutare gli scienziati a prevedere in modo più accurato la formazione delle macchie solari e l’eruzione dei brillamenti solari.

Fissare il Sole
In passato, gli astronomi hanno avuto difficoltà a identificare queste onde sul Sole perché ne abbiamo una visione limitata: dalla Terra ne vediamo sempre solo un lato. Ma tre sonde solari – che fanno parte del Solar Dynamics Observatory della NASA e della sua missione Solar Terrestrial Relations Observatory (STEREO) – sono state posizionate per diversi anni in modo da offrire agli scienziati una visione a 360° dell’atmosfera, o corona, del Sole. (Gli astronomi hanno perso le comunicazioni con una sonda STEREO dopo che è “scivolata” dietro il Sole a metà del 2014).

La squadra si è concentrata su alcune strutture caratteristiche, calde e luminose, chiamate punti

brillanti, che punteggiano la corona solare e possono essere usati per monitorare i movimenti turbolenti del materiale che si trova più in profondità nell’atmosfera solare, racconta McIntosh.

Grazie ai dati raccolti dalle sonde da giugno 2010 a maggio 2013, i ricercatori hanno identificato alcuni ben definiti raggruppamenti di punti brillanti che si muovevano verso ovest a una velocità, in media, di circa 3,25 metri al secondo nell’emisfero settentrionale del Sole e di circa 2.65 metri al secondo nell’emisfero sud.

I cluster di punti brillanti si spostavano verso ovest a una velocità superiore a quella delle parti più profonde dell’atmosfera solare, e questa è una nota caratteristica delle onde di Rossby, spiega McIntosh.

I ricercatori  hanno chiamato questi schemi “onde simil-Rossby”, perché sono correlate anche all’attività magnetica del plasma del Sole e non solo al movimento del fluido. ” Averle trovate sul Sole, non è proprio una sorpresa”, dice McIntosh. “Solo di recente, e per la prima volta nella storia dell’umanità, siamo stati in grado di vedere l’intera superficie del Sole in una sola volta”, e non solo il lato rivolto verso la Terra, e questo grazie al posizionamento delle sonde solari.

Le scoperte del team sono la prima forte prova della presenza delle onde di Rossby sul Sole, dice Mihalis Mathioudakis, astrofisico presso la Queen University di Belfast.

https://youtu.be/EJgkjNehY8w

“Se sono davvero onde di Rossby, è un risultato eccezionale”, dice Joseph Gurman, astrofisico al Goddard Space Flight Center della NASA. La visione completa della superficie del Sole a tutte le latitudini e longitudini “ha fornito un’occasione unica per scoprire cose che non avevamo mai visto prima”.

Modelli meteorologici cosmici
I punti brillanti sono legati a un aumento dell’attività magnetica, e dunque – prosegue McIntosh –  una migliore comprensione della loro formazione, evoluzione e movimento potrebbe aiutare i ricercatori a mettere a punto modelli dell’attività solare. Questo, a sua volta, potrebbe condurre a previsioni più accurate deii processi solari innocui, come lo sviluppo di macchie solari.

Ma potrebbe anche aiutare a predire l’insorgenza di tempeste solari potenzialmente devastanti, ossia di quelle massicce eruzioni nello spazio di particelle altamente cariche chiamate espulsioni di massa coronale (CME). Se una CME particolarmente forte colpisce la Terra, può paralizzare i satelliti delle comunicazioni e mettere fuori combattimento le reti elettriche di intere regioni. Alcuni studi suggeriscono che i costi connessi al rischio di queste “tempeste spaziali” potrebbero aggirarsi sui 10 miliardi di dollari all’anno.

NASA/STEREO/Helioviewer

 
“Se i ricercatori fossero in grado di identificare le regioni solari attive e potessero avere una ragionevole fiducia nel modo in cui evolveranno, potrebbero mettere sull’avviso la gente”, dice Todd Hoeksema, fisico solare alla Stanford University, in California.

Ma la previsione meteorologica spaziale “non può essere altrettanto semplice di quella terrestre”, dice Richard Morton, fisico solare alla Northumbria University a Newcastle-upon-Tyne, in Gran Bretagna. La complessa interazione fra i forti campi magnetici e il flusso del fluido nell’atmosfera del Sole potrebbe significare che le tendenze a lungo termine dell’attività solare sono più facili da prevedere rispetto ai suoi sviluppi a breve termine come, per esempio, il punto in cui potrebbe verificarsi un’eruzione solare in un dato giorno.

Tuttavia, McIntosh e la sua squadra sono fiduciosi. Il monitoraggio dei modelli climatici del Sole e la comprensione delle loro origini sono di vitale importanza per migliorare l’accuratezza delle previsioni di meteorologia spaziale e per proteggere così la nostra società tecnologica.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature il 27 marzo 2017. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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