Si è aperta la caccia al buco nero al centro delle galassia!

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Si è aperta la caccia al buco nero al centro delle galassia!

Per rilevare la presenza di Sagittarius A*, il probabile buco nero al centro della Via Lattea, e del più lontano M87*, gli astronomi disporranno presto di uno strumento senza precedenti: l’Event Horizon Telescope (EHT), una schiera di radiotelescopi situati in tutto il mondo che formano un osservatorio virtuale grande quasi quanto la Terra
di Davide Castelvecchi/Nature
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Ecco come scovare un buco nero.

Anzitutto, bisogna investire molti anni per coinvolgere otto dei migliori radiosservatori nei quattro continenti, in modo da unire le forze in una caccia senza precedenti. In secondo luogo, bisogna oordinare i piani di osservazione in modo che gli osservatori rivolgano contemporaneamente la loro attenzione alle stesse porzioni di cielo per diversi giorni. Infine, bisogna raccogliere osservazioni su una scala mai tentata nella scienza, in grado di generare due petabyte di dati ogni notte.

Questo è l’audace piano dell’Event Horizon Telescope (EHT), una schiera di radiotelescopi situati in tutto il mondo per creare un osservatorio virtuale grande quasi quanto la Terra, che sarà messo alla prova dal mese prossimo.

E i ricercatori sperano che quando setacceranno la montagna di dati raccolti, emergeranno i primi dettagli mai registrati del buco nero al centro della Via Lattea, così come le immagini di un buco nero molto più grande nella più lontana galassia M87.

Caccia ai buchi neri al centro delle galassie

Interpretazione artistica del buco nero al centro della Via Lattea, nascosti da dense nubi di polveri e gas (NRAO/AUI/NSF)

Il motivo per cui il progetto richiede una simile potenza di fuoco astronomico è che questi buchi neri sono così lontani dalla Terra che ognuno di essi dovrebbe apparire grande circa come una ciambella sulla superficie della Luna, il che richiede una risoluzione più di 1000 volte maggiore di quella del telescopio spaziale Hubble.

Ma anche se i ricercatori ricaveranno pochi, sfocati pixel, questo potrebbe avere un grande impatto sulla fisica fondamentale, sull’astrofisica e sulla cosmologia.

L’obiettivo dell’EHT è avvicinarsi all’orizzonte degli eventi di ciascun buco nero, la superficie oltre la quale la gravità è così forte che nulla di ciò che lo attraversa potrà mai uscirne.

Con l’acquisizione di immagini di ciò che accade al di fuori di questa zona, i ricercatori saranno in grado di sottoporre la teoria generale della relatività di Einstein a uno dei più severi test condotti finora. Le immagini potrebbero anche contribuire a spiegare in che modo alcuni buchi neri supermassicci producono spettacolari getti energetici e dettano legge sulle loro rispettive galassie e oltre.

Ma prima il meteo dovrà essere clemente. L’EHT avrà bisogno di cieli cristallini in tutte le otto sedi contemporaneamente, dalle Hawaii alle Ande, dai Pirenei al Polo sud.

Caccia ai buchi neri al centro delle galassie

Schema dell’Event Horizon Telescope (Credit: Università dell’Arizona)

Questi e altri vincoli fanno sì che il gruppo ottenga solo una finestra di due settimane ogni anno per fare un tentativo. “Tutto deve filare per il verso giusto”, spiega Sheperd Doeleman, astrofisico della Harvard University di Cambridge, Massachusetts, e direttore dell’EHT.

“I radioastronomi apprezzano le sfide quasi impossibili”, aggiunge Roger Blandford, astrofisico della Stanford University, in California, che non fa parte della collaborazione. E l’EHT potrebbe rappresentare la loro sfida finora più difficile.

Mostri dell’universo
Gli astronomi sanno fin dal 1970 che una strana sorgente di radiazione si annida nel cuore della Via Lattea. I radiotelescopi avevano scovato un oggetto particolarmente compatto all’interno della polverosa regione centrale della galassia, nella costellazione del Sagittario.

Hanno chiamato l’oggetto Sagittarius A*, abbreviato anche in Sgr A* e, infine, hanno raccolto una prova convincente che si trattasse di un buco nero supermassiccio, dotato di una massa pari a circa quattro milioni di volte quella del Sole.

Il buco nero M87* nel centro della galassia M87 è ancora più grande: possiede circa 6 miliardi di masse solari. In termini di dimensione angolare nel cielo, questi due hanno gli orizzonti degli eventi noti grandi di qualunque buco nero noto.

Caccia ai buchi neri al centro delle galassie

Il centro della Via Lattea: nel riquadro è evidenziata la posizione di Sagittarius A* (NASA/UMass/D.Wang et al., IR: NASA/STScI)

Anche se i ricercatori hanno un’idea piuttosto precisa di come si possono formare i buchi neri più piccoli, nessuno sa con certezza come si sviluppino questi mostri supermassicci. E gli astronomi hanno dubitato a lungo che si sarebbe mai raggiunta la risoluzione richiesta per vederli in dettaglio.

La sfida si riduce essenzialmente all’ottica. La risoluzione di un telescopio dipende soprattutto dalla sua larghezza, o apertura, e dalla lunghezza d’onda della luce che sta osservando. Raddoppiando la larghezza del telescopio, si permette ai ricercatori di risolvere dettagli larghi la metà, e lo stesso succede dimezzando la lunghezza d’onda.

A lunghezze d’onda di 1,3 o 0,87 millimetri – le uniche bande di radiazione che non vengono assorbite dall’atmosfera o diffuse dalla polvere interstellare e dal gas – i calcoli suggerivano che per vedere Sgr A* o M87* sarebbe stata necessaria un’apertura del radiotelescopio molto più grande della Terra.

Ma alla fine degli anni novanta, l’astrofisico Heino Falcke, allora al Max-Planck-Institut per la radioastronomia di Bonn, e collaboratori, fecero notare che la distorsione ottica causata dalla gravità di un buco nero avrebbe agito come una lente, ingrandendo Sgr A* di un fattore cinque circa.

Era una buona notizia, perché significava che Sgr A* sarebbe stato alla portata di un very long baseline interferometry (VLBI), una tecnica che integra più osservatori in un telescopio virtuale, con un’apertura effettiva grande come la distanza tra loro.

La ragione per cui non c’è alcuna speranza di vedere direttamente Sgr A* e il più grande M87* è che sono circondati da plasma surriscaldato, forse il residuo di stelle che non è stato inghiottito ma è stato disperso dalla forte interazione gravitazionale.

Caccia ai buchi neri al centro delle galassie

Rappresentazione artistica della deformazione dello spazio-tempo prodotta da un buco nero (Ute Kraus/Wikimedia Commons)

Il gas forma un “disco di accrescimento” in rapida rotazione, con le sue parti interne che si avvolgono lentamente a spirale. Falcke e colleghi hanno calcolato che una rete VLBI grande come l’intero globo, in grado di compiere osservazioni a una lunghezza d’onda di un millimetro, dovrebbe essere quasi abbastanza sensibile da risolvere l’ombra proiettata da Sgr A* sull’alone di gas del disco di accrescimento.

Il team ha anche fatto le prime simulazioni di quello che una tale rete potrebbe osservare. Contrariamente alla maggior parte delle rappresentazioni artistiche di buchi neri, il disco di accrescimento non scompare dietro l’oggetto come fanno in parte gli anelli di Saturno dietro il pianeta.

Intorno a un buco nero non c’è un posto dove nascondersi: la gravità deforma lo spazio-tempo, e lì l’effetto è così estremo che i raggi di luce si propagano attorno al buco nero, che mostra più immagini distorte di ciò che sta dietro di esso.

Ciò dovrebbe far sì che il disco di accrescimento sembri come avvolgere l’ombra del buco nero come un alone. (Interstellar, del 2014, è stato il primo film a rappresentare con esattezza questo tipo di deformazione della luce intorno a un buco nero.)

Ma non sarà un alone standard, come le aureole di tanti dipinti rinascimentali. Le regioni interne del disco di accrescimento orbitano quasi alla velocità della luce, in modo che un lato del disco – il lato che ruota verso l’osservatore – dovrebbero apparire molto più brillante rispetto all’altro. Il risultato dovrebbe essere qualcosa di simile a una luna crescente (vedi l’infografica Power of the dark).

Caccia ai buchi neri al centro delle galassie

Una delle sei antenne dell’IRAM Telescope, situato su una delle cime della Sierra Nevada in Spagna (IRAM Institute)

Nel 2004, Falcke, che è ora alla Radboud University di Nijmegen, nei Paesi Bassi, faceva parte di un guppo che ha condotto una delle prime osservazioni VLBI di Sgr A*. La rete statunitense che ha usato, allestita presso il National Radio Astronomy Observatory, si estendeva per 2000 chilometri, e ha raccolto dati a una lunghezza d’onda di 7 millimetri. Questo ha permesso al gruppo di ottenere niente più che una goccia di luce: è stato come vedere il buco nero attraverso un vetro smerigliato.

Nel frattempo, a partire dal 2007, un team guidato da Doeleman ha condotto altre osservazioni VLBI di Sgr A* e M87*. Utilizzando reti VLBI di tre osservatori, il gruppo ha fatto le misurazioni a 1,3 millimetri, permettendo loro di avvicinarsi all’orizzonte degli eventi.

Anche se i ricercatori non hanno catturato un’immagine dell’orizzonte degli eventi, sono stati in grado di porre un limite superiore alle sue dimensioni. Alla fine, i due gruppi hanno unito le forze e si sono fusi con altri per formare l’attuale collaborazione EHT. La squadra è cresciuta, così come il numero di telescopi arruolati per il progetto di osservazione.

Nel mese di aprile, l’EHT avrà un tempo di osservazione totale di quattro, o forse cinque, notti, un limite fissato per lo più dall’utilizzo dell’avveniristico Atacama Large Millimeter Array (ALMA) da 1,4 miliardi di dollari, situato in Cile, uno degli osservatori più richiesti del mondo. Il programma prevedere di trascorrere due notti a osservare Sgr A* e due a osservare M87*.

A ogni stazione di osservazione, gli orologi atomici determineranno il tempo di arrivo di ogni “cresta” e “valle” di ogni onda elettromagnetica con un errore massimo di un decimo di un nanosecondo, spiega Feryal Özel, astrofisico teorico dell’Università dell’Arizona a Tucson.

Caccia ai buchi neri al centro delle galassie

Una suggestiva immagine notturna dell’Atacama Large Millimeter Array, in Cile (Credit: ESO/C. Malin/WIkimedia Commons)

In un tipico esperimento d’interferometria, i tempi di arrivo in posizioni diverse vengono confrontati in tempo reale, e triangolati nel loro punto di origine per ricostruire un’immagine. Ma con tanti osservatori sparsi in tutto il mondo (vedere ‘lo sforzo globale’), anche in luoghi con collegamenti Internet lenti, i ricercatori dovranno registrare i flussi separatamente per confrontarli in seguito.

“L’obiettivo non è ricavare un’immagine da avere davanti a noi su uno schermo”, spiega Daniel Marrone, astrofisico del’Università dell’Arizona. Ciò significa che l’EHT avrà bisogno di registrare i dati a una velocità maggiore rispetto a qualsiasi precedente esperimento di qualunque tipo, dice Avery Broderick, astrofisico dell’Università di Waterloo in Canada.

Una serata tipica produrrà circa i dati di un anno di esperimenti al Large Hadron Collider del CERN di Ginevra, in Svizzera.

Le pile di dischi rigidi che contengono i dati saranno portati via aerea in due siti principali, dove gruppi di computer li combineranno in un’unica immagine, un compito che potrebbe richiedere fino a sei mesi. Solo una volta che questa fase sarà stata completata inizierà l’analisi dei dati, il reale studio scientifico. La squadra probabilmente non avrà dati da pubblicare fino a buona parte del 2018.

A caccia di getti
Gli astrofisici hanno grandi speranze nei risultati dell’EHT. Sono particolarmente interessati ai dati che possono contribuire a spiegare uno dei fenomeni più spettacolari dell’universo: i getti giganti di particelle che certi buchi neri proiettano nello spazio intergalattico quasi alla velocità della luce. Alcuni di questi buchi neri, tra cui M87*, hanno getti anche più lunghi delle loro galassie in cui si trovano. Ma non vale per tutti: se Sgr A* produce dei getti, finora erano troppo piccoli o troppo deboli per essere individuati.

Caccia ai buchi neri al centro delle galassie

Il getto di elettroni nei pressi del buco nero M87* ripreso dal telescopio spaziale Hubble (NASA/ESA /John Biretta/STScI/JHU)

Gli scienziati non sono ancora sicuri della natura di questi getti, ma l’idea è che giochino un ruolo notevole nell’evoluzione cosmica. In particolare, riscaldando la materia interstellare, i getti possono impedire che il materiale si raffreddi per formare stelle, interrompendo in tal modo la crescita della galassia, spiega Broderick. “I getti determinano il destino di galassie”.

La spiegazione più probabile per i getti, dicono gli astrofisici, è che essi siano prodotti dalla rapida rotazione dei campi magnetici appena fuori dal buco nero, ma non è chiaro da dove venga la loro energia.

Nel 1970, Blandford e colleghi proposero due modelli alternativi: in uno, l’energia proviene dal disco di accrescimento; nell’altro dalla rotazione del buco nero (che non è necessariamente allineata con la rotazione del disco di accrescimento).

Nel 2015, il gruppo di Doeleman ha riferito di aver scoperto i primi indizi sulla struttura del campo magnetico attorno a Sgr A*, utilizzando un VLBI a 1,3 millimetri. I loro risultati suggeriscono che le rotazioni dei buchi neri sono un candidato più probabile rispetto a dischi di accrescimento per l’alimentazione dei getti, dice Blandford, ma la potenza dei prossimi esperimenti potrebbe rendere questa conclusione molto più solida, oltre a rivelare se Sgr A* produce getti.

A un livello più fondamentale, guardare la dimensione e la forma dell’orizzonte degli eventi metterà alla prova la teoria della gravità di Einstein per la prima volta nel regime estremo dell’intorno di un buco nero supermassiccio.

Ciò seguirà le scoperte storiche annunciate lo scorso anno da LIGO, il Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory, che ha catturato il segnale di onde gravitazionali prodotte dalla fusione di buchi neri di massa paragonabile a quella delle grandi stelle.

I suoi risultati sono stati salutati come la prova più convincente dell’esistenza dei buchi neri, ma non hanno ancora fornito prove incontrovertibili. Inoltre, i buchi neri supermassicci sono milioni o miliardi di volte più grandi, sottolinea Broderick. “Quello che stiamo guardando è un luogo in cui non necessariamente sappiamo come funziona la fisica”.

Caccia ai buchi neri al centro delle galassie

Il James Clerk Maxwell Telescope a Mauna Kea, nelle Hawaii (A. Woodcraft/Wikipedia/Public Domain)

 

Esiste anche la possibilità che nelle aree osservate l’EHT trovi qualcosa di diverso da un buco nero. I fisici teorici hanno elaborato una serie di idee alternative per spiegare che cosa accade quando la materia collassa sotto il proprio peso. In alcune di queste teorie, non si formano buchi neri, perché il collasso gravitazionale si ferma prima che i resti stellari oltrepassino il punto di non ritorno. Questo potrebbe portare a una stella super-compatta, con una superficie dura che potrebbe emettere radiazioni rilevabili dall’EHT.

Ma l’astrofisico Carlos Barceló, dell’Istituto di Astrofisica dell’Andalusia a Granada, sostiene che trovare qualcosa di simile è un evento improbabile. “Sono un po’ scettico sul fatto che questa osservazione possa distinguere tra buchi neri classici e oggetti di tipo più esotico”. Lui e altri sostengono che LIGO potrebbe avere una migliore possibilità di testare quei modelli, per esempio rilevando gli echi nella fusione di due buchi neri.

Via via che continueranno a migliorare, tuttavia, le osservazioni VLBI potrebbero raggiungere il punto in cui gli scienziati saranno in grado di dire se l’orizzonte degli eventi è simmetrico, come previsto dalla relatività generale, dice Alexander Wittig, analista di missione dello European Space Research and Technology Centre di Noordwijk, nei Paesi Bassi.

“Una versione futura dell’Event Horizon Telescope potrebbe raggiungere risoluzioni che permetteranno di distinguere le caratteristiche più complesse nella forma dell’ombra”, dice Wittig. Per questo obiettivo, Falcke sta già sognando schiere di telescopi spaziali che potrebbero rendere l’EHT più grande della Terra stessa.

Per ora, però, gli astronomi si accontenteranno di un paio di pixel che saranno la loro prima occhiata a questi sfuggenti colossi, dopo tante immagini artistiche, spesso ispirate da libri di fantascienza e film come Interstellar. “Dimostrare che i radioastronomi possono raggiungere Hollywood e mostrarci le immagini dei buchi neri che esistono veramente: questa sì che è un’idea fantastica”, conclude Blandford.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature il 31 marzo 2017. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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