L’umanità è davvero pronta per la scoperta della vita aliena?

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L’umanità è davvero pronta per la scoperta della vita aliena?

La maggior parte degli americani sarebbe probabilmente entusiasta di sapere che esistono esseri extraterrestri (intelligenti o meno). Tuttavia, in altri paesi la reazione potrebbe essere diversa, mentre molto dipenderebbe dal grado di somiglianza delle ipotetiche creature con le forme di vita che ci sono note
di Yasemin Saplakoglu / Scientific American
www.lescienze.it

Quando ‘Oumuama, un misterioso oggetto interstellare, ha attraversato il nostro sistema solare lo scorso ottobre, ha scatenato un diluvio di notizie mozzafiato che vertevano tutte sull’ovvia domanda: è una nave spaziale? Non c’erano segni che fosse così, anche se molti sembravano sperarlo.

Nel corso della storia i fenomeni cosmici più strani hanno suscitato in noi la domanda: potrebbe essere questo il momento in cui affrontiamo per la prima volta la vita aliena?

L’aspettativa non è necessariamente stravagante: molti scienziati si esercitano (o potrebbero farlo) in argomenti elaborati, ma basati su prove che alla fine scopriremo la vita al di là dei confini del nostro pianeta. Per chi ci crede veramente, la cosa più incerta è se la notizia provocherebbe o meno il panico globale, e questo dipende dal modo in cui le nostre menti – così fortemente influenzate dal nostro ambiente terrestre e dalla nostra società – percepiscono come potenziale minaccia qualcosa al di fuori del nostro contesto familiare.

“Nel pubblico – in una parte molto grande del pubblico – serpeggia la convinzione che la scoperta di vita intelligente sarebbe come minimo tenuta segreta dal governo, perché altrimenti tutti andrebbero fuori di testa”, dice Seth Shostak, un astronomo del SETI Institute. Forse è plausibile che i nostri cervelli, calibrati da milioni di anni di evoluzione per diffidare dei predatori, impazzirebbero di terrore di fronte ad alieni immensamente potenti che arrivano sulla nostra porta di casa cosmica da luoghi sconosciuti.

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Ma mettiamo che la situazione non si configuri come una “invasione aliena” e che malvagie astronavi non stiano dirigendosi verso la Terra, ma solo che abbiamo letto la notizia di una scoperta certa di vita extraterrestre. Come potremmo reagire?

Gli psicologi dell’Arizona State

University (ASU) hanno usato un software di analisi linguistica per misurare le emozioni associate a 15 articoli con notizie su scoperte passate che in teoria avrebbero potuto essere attribuite a forme di vita extraterrestri; notizie relative alla scoperta di pianeti simili alla Terra, a misteriosi fenomeni astrofisici, e alla possibilità di trovare vita su Marte. Come riferiscono in uno studio pubblicato a gennaio su “Frontiers in Psychology”, negli articoli erano usate più parole positive ed evocatrici di qualcosa di buono che parole negative ed evocatrici di un rischio.

“Penso che siamo generalmente predisposti positivamente alle novità, a meno che non abbiamo forti motivi per sospettare che possa danneggiarci”, dice Michael Varnum, psicologo dell’ ASU a Tempe e autore senior della ricerca. “Naturalmente, non sto dicendo che saremmo felici se sapessimo che un gruppo di grandi astronavi da guerra aliene è in rotta verso la Terra.”

Microbi marziani

Secondo Varnum (e molti astrobiologi), poiché la vita semplice, unicellulare nel cosmo è presumibilmente più comune di civiltà in grado di viaggiare fra le stelle, è molto più probabile che un giorno scopriremo microbi alieni invece di creature con cui potremmo parlare.

Per la sua successiva serie di esperimenti, Varnum ha chiesto online a circa 500 statunitensi di scrivere un pezzo su come loro, e la società in generale, avrebbero reagito alla notizia di una tale scoperta. Poi ha chiesto a un diverso gruppo di circa persone 250 di leggere e rispondere a un articolo del “New York Times” del 1996 che riportava la potenziale scoperta di microbi fossilizzati in un meteorite marziano. Ha poi confrontato questa prima serie di risposte con quelle di un altro gruppo di 250 persone che avevano letto un articolo del “New York Times” del 2010 sulla prima forma di vita sintetica creata in un laboratorio. Entrambe le storie sono state presentate senza indicare la data di pubblicazione, come se fossero “fresche” dalla stampa (anche se alcuni partecipanti probabilmente si sono resi conto che non lo erano).

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© Science Photo Library RF / AGF

Analizzato il tenore emotivo delle risposte, i ricercatori hanno visto che descrivendo sia la vita extraterrestre sia quella sintetica i partecipanti generalmente avevano usato più parole positive che negative. Questo rapporto parole positive-negative era maggiore quando i partecipanti stavano rispondendo alla scoperta della vita extraterrestre rispetto alla creazione della vita sintetica, e questo potrebbe suggerire che i dati non erano distorti, per esempio, da una possibile tendenza umana a scrivere o reagire positivamente.

I partecipanti tendevano a ritenere che avrebbero risposto più positivamente della società in generale. Varnum pensa che questo possa essere dovuto a una tendenza psicologica chiamata “superiorità illusoria”, per la quale una persona pensa di avere qualità migliori degli altri.

Ma Shostak nota che la metodologia dell’esperimento potrebbe aver indirizzato i lettori verso una risposta più positiva. Anche se non lo ha fatto,”Non posso dire che [la conclusione]sia stata una grande sorpresa per me”, dice. “Se domani dovessimo annunciare che abbiamo trovato dei microbi su Marte, la gente non comincerebbe a ribellarsi per le strade… ma non credo che qualcuno pensi qualcosa del genere.” Se invece i marziani sbarcassero nella Silicon Valley, “penso che anch’io comprerei un sacco di scorte di cibo e mi rifugerei in montagna; anch’io cioè me ne andrei da qui”, aggiunge.

L’alieno ambiguo

E se da qualche parte si scoprisse qualcosa di intermedio tra gli estremi di un microbo extraterrestre e alieni rapaci e ostili che assediano la Terra, le persone risponderebbero in modo diverso a seconda dell’epoca o della società in cui vivono?

I nostri cervelli sono cablati con circuiti antichi per difenderci dai predatori. Ma mentre ci destreggiamo nel mondo, l’esperienza può anche plasmare ciò che arriviamo ad accettare o a temere, e quanto siamo aperti alle novità.

Questo studio ha esaminato solo le risposte negli Stati Uniti, ma due neuroscienziati pensano che i risultati avrebbero potuto essere molto diversi nel resto del mondo. Se si guarda a società molto meno aperte e molto più xenofobe e così via, si potrebbe percepire [l’individuazione della vita extraterrestre] come molto più negativa e inquietante”, dice Israel Liberzon, professore di psichiatria, psicologia e neuroscienze all’Università del Michigan, che non ha preso parte allo studio.

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© Science Photo Library / AGF

“La cultura può essere un fattore determinante nel modo in cui rispondiamo alla novità”, dice Cornelius Gross, neuroscienziato allo European Molecular Biology Laboratory a Roma, che studia il circuito neurale della paura e non è stato coinvolto nella ricerca.

“La gente è giunta in America perché cercava novità, quindi abbiamo operato una selezione [in questo senso]e poi abbiamo continuato a promuovere la ricerca della novità e a collocarla in cima alle nostre priorità”. Inoltre, dice Shostak, anche le credenze religiose di una persona potrebbero avere un ruolo potente nel plasmare la loro reazione alla notizia che l’umanità in realtà non è così universalmente speciale come ritengono molte tradizioni.

Il modo in cui rispondiamo a una simile situazione può anche essere influenzato da eventi minimi, come i film sull’invasione di extraterrestri che abbiamo visto o i libri di fantascienza che abbiamo letto. Se avete visto molti film sugli UFO in cui alla fine gli alieni sono sempre ‘buoni’, allora si può pensare che questo influenzi la vostra corteccia prefrontale”, dice Gross. “E inizi ad adattare le vostre risposte a future nuove [esperienze].”

Il contesto, osserva Liberzon, è fondamentale. Individualmente o collettivamente, gli esseri umani risponderanno in modo molto diverso se osservano un leone in uno zoo o lo incontrano nella savana africana, e lo stesso vale per l’incontro con un alieno in un romanzo di fantascienza o dal vivo.

E se gli scienziati scoprissero qualcosa di così estraneo a questo mondo, sia letteralmente, sia nel senso che non possiamo paragonarlo a nulla che conosciamo, sembra inutile, se non sciocco, fare previsioni su come l’umanità reagirà.

Gross pensa che probabilmente cercheremmo prima di capirlo, una reazione che può essere interpretata come un altro antico sistema difensivo evolutivamente scolpito in noi, destinato ad acquisire il controllo di una nuova situazione. Ci sarebbero probabilmente alcune risposte positive e alcune negative, ma saranno tutte “basate sulla necessità degli esseri umani di controllare il loro ambiente e assicurarsi che le cose non siano minacciose per loro”, dice Gross.

“Quando pensiamo alla forma che la vita può prendere altrove, siamo davvero limitati dal fatto che abbiamo conoscenze solo su come la vita si è evoluta per esistere qui”, dice Varnum. Ma “il mio sospetto è che quanto più estranea fosse quel tipo di vita, tanto più più le persone sarebbero eccitate”.

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