Trovate microplastiche nell’acqua in bottiglia

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Trovate microplastiche nell’acqua in bottiglia

Analizzate 250 bottiglie di 11 marche in tutto il mondo, c’è anche la San Pellegrino
www.greenreport.it

Lo  studio “Synthetyc polymer contamination in bottled water” pubblicato da un team di ricercatori del Dipartimento di geologia e scienze ambientali della State University of New York –  Fredonia e rilanciato da Orb Media, una ONG di giornalismo investigativo di Washington, «Le analisi di più di 250 bottiglie di 11 marche rivelano contaminazioni di plastiche che includono il polipropilene, il nailon e il  tereftalato di polietilene (PET)». Le bottiglie di plastica analizzate sono quelle di 5 multinazionali: Aquafina, Dasani, Evian, Nestle Pure Life e San Pellegrino e di alv cuni marchi nazionali: Aqua (Indonesia), Bisleri (India), Epura (Messico), Gerolsteiner (Germania), Minalba (Brasile), Wahaha (Cina)

Quando i giornalisti di Orb Media hanno contattato due delle principali marche, le multinazionali hanno confermato che «i loro prodotti contengono microplastiche, però hanno detto che lo studio di Orb ne esagera in maniera significativa la quantità». Anche la BBC ha chiesto un commento alle imprese, che hanno risposto che i loro impianti di imbottigliamento vengono  gestiti secondo gli standard più elevati.

Ma dallo studio  sulla presenza di particelle di 100 micron nell’acqua delle bottiglie di plastica è emerso che, in media ce ne sono 10,4  per litro. Inoltre le analisi hanno mostrato la presenza di molto più particolato ancora più piccolo, fino a 6,5 micron, che secondo i ricercatori è probabilmente plastica e la cui media è di 314,6 perticelle per litro.

Sherri Mason, il docengte di chimica a capo del team dell’università di Fredonia  che ha condotto le analisi, conferma: «la abbiamo trovata [la plastica]in bottiglia dopo bottiglia e in marchio dopo marchio. Non si tratta di puntare il dito su particolari brand, ma di dimostrare che è ovunque, che la plastica è diventata un materiale così pervasivo nella nostra società, che invade l’acqua: tutti questi prodotti che consumiamo ad un livello molto basilare«.

Attualmente, non ci sono prove che l’ingestione di microplastiche possa causare danni, ma diversi scienziati sono al lavoro per comprendere le potenziali implicazioni e Mason aggiunge: «I numeri che vediamo non sono catastrofici, ma sono preoccupanti». Inoltre gli esperti fannno notare che per chi vive nei Paesi in via di sviluppo, dove l’acqua del rubinetto è spesso contaminata, ovrebbero continuare a bere acqua dalle bottiglie di plastica.

Commentando i risultati dello studio, le multinazionali dell’acqua insistono sul fatto che i loro prodotti soddisfano i più alti standard di sicurezza e qualità e sottolineano l’assenza di qualsiasi regolamento sulle microplastiche e la mancanza di metodi standardizzati per testarle.

Già nel 2017  Mason aveva trovato particelle di plastica in campioni di acqua del rubinetto e altri ricercatori li hanno individuati nei frutti di mare, nella birra, nel sale marino e persino nell’aria. Lo studio appena pubblicato è il frutto di una crescente attenzione internazionale sull’inquinamento narino da plastica e microplastica.

Per eliminare qualsiasi rischio di contaminazione, sono stati filmati gli acquisti di acqua in bottiglia nei negozi e le consegne fatte dai corrieri delle bottiglie di acqua utilizzate nello studio. Lo screening della plastica prevedeva l’aggiunta in ogni bottiglia di un colorante chiamato Nile Red, una tecnica sviluppata recentemente dagli scienziati britannici per il rilevamento rapido della plastica nell’acqua di mare. Precedenti studi hanno stabilito che il colorante si attacca ai pezzi di plastica e li rende fluorescenti sotto certe lunghezze d’onda della luce.

Dopo, Mason e il suo team hanno filtrato i campioni colorati e poi hanno contato ogni pezzo più grande di 100 micron, grosso modo il diametro di un capello umano. Alcune di queste particelle, abbastanza grandi da essere trattate singolarmente, sono state quindi analizzate mediante spettroscopia a infrarossi, confermando che si trattava di plastiche  che sono state ulteriormente identificate secondo i particolari tipi di polimero. Per capure quante potevano essere le particelle fino a 6,5 micron è stata utilizzata una tecnica sviluppata in astronomia per contare le stelle nel cielo notturno.

Dato che lo studio non è stato sottoposto al consueto processo di peer review e alla pubblicazione in una rivista scientifica, la BBC ha chiesto dei commenti agli esperti del settore e Andrew Mayes, dell’università dell’East Anglia , uno dei pionieri della tecnica Nile Red, ha detto che si tratta di «chimica analitica di altissima qualità« e che i risultati sono «abbastanza prudenziali». Anche secondo Michael Walker, consulente dell’Office of the UK Government Chemist della Food Standards Agency il lavoro «E’ stato ben condotto e l’uso di Nile Red ha un ottimo pedigree». Entrambi hanno fatto notare che le particelle al di sotto dei 100 micron non sono state identificate come plastiche ma hanno detto che «dal momento che non erano previste alternative nell’acqua in bottiglia, potrebbero essere definite come probabilmente di plastica».

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