Gli inca avevano chirurghi che praticavano la trapanazione cranica

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Gli inca avevano chirurghi che praticavano la trapanazione cranica

La sorprendente percentuale di successo delle operazioni di perforazione cranica in epoca Inca.
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Vi sottoporreste a un intervento chirurgico di trapanazione cranica senza anestesia e senza antibiotici? Tranquilli, non c’è chirurgo al mondo che ve lo proporrebbe, oggi, ma in passato le cose andavano diversamente, e non due o trecento anni fa: dagli Inca alla Grecia antica, era una pratica più diffusa di quanto si credesse finora – e in certi perio con ottimi risultati.

Al tempo di quelle antiche civiltà molti sono stati sottoposti a simili interventi e, lo dimostrano i reperti, molti sono sopravvissuti per mesi e anni. Oggi si conoscono centinaia di casi di trapanazioni eseguite dai “medici” Inca con percentuali di successo sorprendentemente alte, fino all’80-90 per cento – un tasso di sopravvivenza di molto superiore ad analoghi interventi eseguiti, per esempio, durante la Guerra Civile americana, circa 400 anni dopo, che non ha mai superato il 50 per cento.

David Kushner (neurologo, Università di Miami), John Verano (bioarcheologo, Tulane University, New Orleans) e Anne Titelbaum (bioarcheologa, Università dell’Arizona) hanno condotto una ricerca – pubblicata su World Neurosurgery (sommario, in inglese) – sul tasso di successo della chirurgia cranica lungo culture e periodi storici diversi. Spiega Kushner: «È possibile che le trapanazioni siano state inizialmente pensate per ripulire fratture craniche e alleviare la pressione del sangue sul cervello dopo i colpi alla testa», tuttavia non tutti i crani trapanati esaminati dal team mostrano segni di ferite, quindi è possibile che l’intervento chirurgico sia stato utilizzato anche per trattare particolari malattie, come i mal di testa cronici e le malattie mentali.

Teschi con vari tipi di trapanazione sono stati rinvenuti in tutto il mondo, ma il Perù, con il suo clima secco e le eccellenti condizioni di conservazione, ne vanta centinaia. Il gruppo di ricercatori ha esaminato 59 teschi provenienti dalla costa meridionale del Perù, datati tra il 400 e il 200 a.C. (I gruppo), 421 reperti provenienti dagli altopiani centrali del Perù, datati dal 1000 al 1400 d.C. (II gruppo), e 160 teschi provenienti dagli altopiani di Cusco, la capitale dell’impero Inca, datati tra gli inizi del 1400 d.C. e la metà del 1500 d.C. (III gruppo).

Una serie di fori prodotti probabilmente per ridurre un’infezione: in questo caso lo stato delle ossa suggerisce che il paziente sopravvisse. | Danielle Kurin

L’indizio sul successo o meno dell’intervento lo dà lo stato dell’osso attorno alla trapanazione: se non ci sono evidenti segni di guarigione, il paziente deve essere morto durante o poco dopo l’intervento. Al contrario, un perimetro liscio attorno all’apertura dimostra che il paziente è sopravvissuto per mesi o anni dopo l’intervento.

I risultati dello studio sono sorprendenti: solo il 40 per cento del primo gruppo è sopravvissuto all’intervento, ma poi si passa al 53 per cento per il secondo gruppo e all’83 per cento durante il periodo Inca (III gruppo). C’è poi un sorprendente 91 per cento di pazienti sopravvissuti in un altro campione, per la verità piccolo, di nove crani provenienti dagli altopiani settentrionali, datati tra il 1000 e il 1300 d.C.

 

Perforazioni su un cranio del periodo Inca. | Danielle Kurin

 

Stando ai ricercatori le tecniche sono migliorare nel tempo: fori più piccoli e meno invasivi, evidentemente per ridurre il rischio di danneggiare la membrana protettiva del cervello. «Abbiamo potuto “vedere” un progressivo affinamento nei metodi di trapanazione in un processo durato un migliaio di anni: quei chirurghi non erano semplicemente fortunati, erano davvero abili! Diversi pazienti sembrano essere sopravvissuti anche a trapanazioni multiple: un cranio di epoca Inca mostra addirittura cinque interventi chirurgici guariti», afferma il ricercatore

Kushner e Verano hanno poi confrontato i risultati conseguiti dalla medicina Inca con interventi cranici eseguiti con metodi simili sui soldati durante la Guerra Civile americana. Anche i chirurghi di quei campi di battaglia hanno curato le ferite alla testa tagliando le ossa mentre cercavano di non perforare la delicata membrana del cervello. Stando alle cartelle cliniche dell’epoca, però, dal 46 al 56 per cento dei pazienti sono deceduti, rispetto al 17-25 per cento dei pazienti Inca.

«Queste differenze sono in parte giustificate dalla natura delle lesioni: sui campi di battaglia della Guerra Civile i traumi dovevano essere ben diversi da quelli collezionati al tempo degli Inca», afferma Emanuela Binello, neurochirurgo (Università di Boston), che ha condotto analoghi studi sulle tecniche di trapanazione nell’antica Cina. Molti soldati della Guerra Civile hanno sofferto di ferite da arma da fuoco e da palle di cannone e sono stati trattati in ospedali affollati e drammaticamente sporchi, cosa che ha certamente favorito le infezioni, «ma il tasso di sopravvivenza alle trapanazioni in Perù ha comunque dell’incredibile», conclude Binello.

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