Il riscaldamento globale aumenta le precipitazioni e la forza dei venti degli uragani

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Il riscaldamento globale aumenta le precipitazioni e la forza dei venti degli uragani

Rispetto al periodo preindustriale, il cambiamento climatico ha già aumentato dal 5 al 10 per cento le precipitazioni associate agli uragani. Ma l’ulteriore incremento delle temperature potrebbe non solo accrescere le piogge di un altro 30 per cento  ma anche far aumentare la velocità massima dei loro venti anche di altri 45 chilometri all’ora
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Il cambiamento climatico in atto ha causato un aumento dal 5 al 10 per cento delle precipitazioni associate agli uragani rispetto al periodo pre-industriale, ma finora non ha cambiato la velocità dei venti.

Tuttavia, se la temperatura continuasse ad alzarsi, non ci sarebbe solo un ulteriore aumento delle precipitazioni, ma anche della velocità massima del vento, con un incremento che potrebbe toccare i 25 nodi (oltre 45 chilometri all’ora). E’ questa la principale conclusione a cui sono giunti due rcercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory, in California, che firmano un articolo su “Nature”.

This NOAA satellite image taken on Monday, Aug. 29, 2005, at 2:02 p.m EDT, shows Hurricane Katrina, now a Category 2 storm. (AP Photo/NOAA)

Gran parte dei modelli climatici indica che il riscaldamento globale comporterà un aumento del numero di tempeste tropicali e di uragani. Per contro, a causa della grande variabilità naturale degli uragani e del limitato periodo di osservazioni coerenti e accurate su di essi, non c’è ancora un consenso generale quanto i cambiamenti climatici abbiano influito (o possano influire in prospettiva) sulla loro distruttività, determinata dall’entità delle precipitazioni e dalla velocità dei venti.

Christina Patricola e Michael Wehner hanno ora sviluppato dei modelli di 15 cicloni tropicali avvenuti negli ultimi due decenni – fra cui Katrina, Irma e Maria – facendo particolare attenzione anche ai processi di convezione, che generalmente non sono  presi in considerazione nei modelli climatici su scala globale.

Hanno poi condotto una serie di simulazioni sostituendo ai parametri climatici generali (come la temperatura dell’aria e degli oceani, l’umidità e le concentrazioni di gas serra) attuali i parametri di vari scenari climatici del passato e quelli di possibili scenari futuri.

Per esempio, modellando l’uragano Katrina in un clima preindustriale e di nuovo nelle condizioni attuali, e prendendo la differenza tra i risultati, i ricercatori possono determinare cosa può essere attribuito al riscaldamento antropogenico. Come possibili scenari futuri i ricercatori hanno usato quelli noti come RCP4.5, RCP6.0 e RCP8.5, corrispondenti a livelli crescenti di emissioni di gas serra e di riscaldamento globale.

Dalle simulazioni per il futuro è emerso che le precipitazioni potrebbero aumentare dal 15 al 35 per cento e che la velocità del vento subirebbe un incremento che, in alcuni casi e nello scenario peggiore, toccherebbe i 45 chilometri all’ora, anche se la maggior parte degli uragani vedrebbe un aumento oscillante fra i 18 e 28 chilometri orari. (Per confronto, nel 2012 l’uragano Sandy ha avuto picchi massimi di velocità dei venti di 185 chilometri orari).

Il riscaldamento globale rafforza i venti degli uragani

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. L’aumento delle precipitazioni in alcune simulazioni.

Il fatto che quasi tutti i 15 cicloni tropicali abbiano risposto in modo simile nei diversi scenari, sottolineano gli autori, confersce ai risultati una buona affidabilità.

In un secondo articolo, sempre su “Nature”, un gruppo di ricercatori dell’Università dello Iowa e della Princeton University ha studiato come l’urbanizzazione della città di Houston ha influenzato le precipitazioni durante l’uragano Harvey del 2017, scoprendo in primo luogo che la struttura della città ha alterato la temperatura e i moti dell’aria soprastante la resistenza atmosferica, favorendo precipitazioni più intense. Inoltre, l’estesa copertura in cemento e asfalto la superficie urbana in un modo che ha favorito le inondazioni. Complessivamente, l’urbanizzazione ha aumentato di 21 volte il rischio di inondazioni da uragani paragonabili ad Harvey.

A fronte di queste notizie non proprio rassicuranti, se ne può registrare una positiva: la rinaturalizzazione di aree incolte e degradate, una gestione attenta alla natura delle aree agricole e il ripristino delle zone umide potrebbero aumentare la capacità di stoccaggio del carbonio dei suoli ed evitare l’emissioni di quantitativi significativi di gas serra. A sostenerlo è uno studio condotto sotto l’egida dell’associazione no profit The Nature Conservancy, e pubblicato su “Science Advances”.

Lo studio ha identificato negli Stati Uniti 156 milioni di acri che potrebbero essere rimboschiti, 304 milioni di acri dove la rotazione del raccolto forestale potrebbe essere estesa, e almeno 42 milioni di acri supplementari di foreste che potrebbero beneficiare di trattamenti per la riduzione del rischio d’incendio. Complessivamente, le misure proposte potrebbero portare a una riduzione di gas serra corrispondente al 21 per cento delle attuali emissioni statunitensi.

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