Ghiaccio nero e caldo: confermata l’esistenza del “ghiaccio superionico”. E’ così l’acqua più comune in natura

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Ghiaccio nero e caldo: confermata l’esistenza del “ghiaccio superionico”. E’ così l’acqua più comune in natura

Un nuovo esperimento ha confermato l’esistenza di “ghiaccio superionico”, una bizzarra forma dell’acqua prevista una trentina di anni fa e che potrebbe trovarsi nel nucleo della maggior parte dei giganteschi pianeti ghiacciati che popolano l’universo
di Joshua Sokol/Quanta Magazine
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Di recente, al Laboratory for Laser Energetics di Brighton, nello Stato di New York, uno dei laser più potenti del mondo ha colpito una goccia d’acqua, creando un’onda d’urto che ha aumentato la pressione dell’acqua a milioni di atmosfere e la sua temperatura a migliaia di gradi. I raggi X che si propagavano attraverso la goccia nella stessa frazione di secondo offrivano il primo sguardo dell’umanità sull’acqua in quelle condizioni estreme.

I raggi X hanno rivelato che l’acqua all’interno dell’onda d’urto non è diventata un liquido o un gas surriscaldato. Paradossalmente – ma proprio come si aspettavano i fisici di fronte agli schermi dei computer in una stanza adiacente – gli atomi si congelavano, formando ghiaccio cristallino. “Senti lo sparo”, ha detto Marius Millot del Lawrence Livermore National Laboratory in California, e “subito vedi che sta accadendo qualcosa di interessante.” Millot ha coordinato l’esperimento con Federica Coppari, sempre del Lawrence Livermore.

I risultati, ora pubblicati su “Nature”, confermano l’esistenza del “ghiaccio superionico”, una nuova fase dell’acqua con proprietà bizzarre. A differenza del ghiaccio familiare che si trova nel freezer o al Polo Nord, il ghiaccio superionico è nero e caldo. Un suo cubo peserebbe quattro volte più di uno normale. È stato teorizzato per la prima volta più di trent’anni fa e, anche se prima d’ora non era mai stato osservato, secondo i ricercatori potrebbe essere una delle più abbondanti forme di acqua dell’universo.

La scoperta del ghiaccio superionico potrebbe risolvere l’enigma della composizione dei pianeti giganti ghiacciati come Urano e Nettuno. Ora si pensa che abbiano gusci più esterni gassosi di natura chimica mista, uno strato liquido di acqua ionizzata al di sotto, e uno strato solido di ghiaccio superionico che comprende la maggior parte del loro interno e un nucleo roccioso. (@iammoteh for Quanta Magazine)

Nel sistema solare, almeno, esiste probabilmente più acqua come ghiaccio superionico – che riempie l’interno di Urano e quello di Nettuno – rispetto a quella in qualsiasi altra fase, compresa la forma liquida che si agita negli oceani sulla Terra, Europa ed Encelado. La scoperta del ghiaccio superionico risolve potenzialmente enigmi decennali sulla composizione di questi “giganti di ghiaccio”.

Includendo la disposizione esagonale delle molecole d’acqua trovate nel ghiaccio comune, noto come “ghiaccio Ih”, gli scienziati avevano già scoperto una sconcertante architettura del ghiaccio cristallino. Dopo il ghiaccio I, che si presenta in due forme, Ih e Ic, gli altri sono numerati dal II al XVII in ordine di scoperta. (Sì, c’è un ghiaccio IX, ma esiste solo in condizioni forzate, a differenza della sostanza fittizia del giorno del giudizio nel romanzo Ghiaccio-nove di Kurt Vonnegut.)

Il ghiaccio superionico può ora reclamare per sé il titolo di ghiaccio XVIII. È un nuovo cristallo, ma con un colpo di scena. Tutti i ghiacci scoperti in precedenza sono composti da molecole d’acqua integre, ciascuna con un atomo di ossigeno legato a due atomi di idrogeno. Invece, secondo le nuove misurazioni, il ghiaccio superionico non è così. Esiste in una sorta di limbo surrealista, in parte solido, in parte liquido. Le singole molecole d’acqua si scindono. Gli atomi di ossigeno formano un reticolo a cella cubica, ma gli atomi di idrogeno si trovano liberi, scorrendo come un liquido attraverso la gabbia rigida degli ossigeni.

Gli esperti dicono che la scoperta del ghiaccio superionico conferma le previsioni al computer, che potrebbero aiutare i fisici della materia a creare sostanze future con proprietà volute. E trovare quel ghiaccio richiedeva misurazioni ultraveloci e un controllo fine di temperatura e pressione, con tecniche sperimentali all’avanguardia. “Tutto questo non sarebbe stato possibile, per esempio, cinque anni fa”, ha detto Christoph Salzmann allo University College di Londra, che ha scoperto i ghiacciai XIII, XIV e XV. “Avrà un impatto enorme, sicuramente”.

A seconda della persona interpellata, il ghiaccio superionico va ad aggiungersi alla schiera già folta di avatar dell’acqua oppure è ritenuto qualcosa di ancora più strano. Poiché le sue molecole d’acqua si scindono, ha detto il fisico Livia Bove del Centre national de la recherche scientifique (CNRS) e dell’Università Pierre e Marie Curie di Parigi, non è una nuova fase dell’acqua. “È davvero un nuovo stato della materia – ha detto – ed è piuttosto spettacolare”.

Rompicapi di ghiaccio

I fisici studiano il ghiaccio superionico da anni, cioè da quando nel 1988 una pionieristica simulazione al computer guidata da Pierfranco Demontis aveva previsto che l’acqua avrebbe assunto questa forma strana, quasi metallica, se fosse stata spinta oltre il dominio delle fasi del ghiaccio note.

Le simulazioni avevano suggerito che, in condizioni estreme di pressione e calore, le molecole d’acqua si sarebbero scisse. Con gli atomi di ossigeno bloccati in un reticolo cubico, “gli idrogeni iniziano a saltare da una posizione a un’altra del cristallo, e poi ancora, e ancora”, ha detto Millot. I salti tra i siti del reticolo sono così veloci che gli atomi di idrogeno – che sono ionizzati, e quindi sostanzialmente sono protoni carichi positivamente – sembrano muoversi come un liquido.

Questo a sua volta aveva suggerito che il ghiaccio superionico avrebbe condotto elettricità, come un metallo, con gli idrogeni che giocavano il ruolo degli elettroni. Avere questi atomi di idrogeno liberi che fluiscono potrebbe anche aumentare il disordine del ghiaccio, o entropia. A sua volta, l’aumento di entropia renderebbe questo ghiaccio molto più stabile rispetto ad altri tipi di cristalli di ghiaccio, facendo aumentare il suo punto di fusione.

Ma tutto ciò era facile da immaginare e difficile da dimostrare. I primi modelli avevano usato una fisica semplificata e argomentazioni euristiche sulla natura quantistica delle molecole reali. Simulazioni successive erano state basate su più effetti quantistici, ma comunque avevano aggirato le reali equazioni richieste per descrivere più corpi quantistici interagenti, che sono troppo difficili da risolvere dal punto di vista computazionale. Invece, erano state basate su approssimazioni, aumentando la possibilità che l’intero scenario potesse essere solo un miraggio in una simulazione. Gli esperimenti, nel frattempo, non potevano produrre le pressioni necessarie senza anche generare un calore che fondesse questa sostanza resistente.

Mentre il problema rimaneva irrisolto, però, i planetologi iniziavano a sospettare che l’acqua potesse avere una fase di ghiaccio superionico. Proprio nel periodo in cui la fase è stata prevista per la prima volta, la sonda Voyager 2 viaggiava nel sistema solare esterno, scoprendo qualcosa di strano sui campi magnetici dei giganti di ghiaccio Urano e Nettuno.

I campi attorno agli altri pianeti del sistema solare sembrano costituiti da poli nord e sud fortemente definiti, senza molte altre strutture. È quasi come se avessero appena inserito magneti nei loro centri, allineati con i rispettivi assi di rotazione planetaria. Gli scienziati che studiano i pianeti attribuiscono questo effetto a una “dinamo”: regioni interne in cui i fluidi conduttivi emergono e si muovono in modo vorticoso mentre il pianeta ruota, generando enormi campi magnetici.

Al contrario, i campi magnetici generati da Urano e Nettuno apparivano più fitti e più complessi, con più di due poli. Inoltre non erano allineati così perfettamente alla rotazione dei rispettivi pianeti. Un modo per generarli sarebbe stato confinare in qualche modo il fluido conduttore responsabile della dinamo in un sottile involucro più esterno del pianeta, invece di lasciarlo scendere nel nucleo. Ma l’idea che questi pianeti potessero avere nuclei solidi, che non sono in grado di generare una dinamo, non sembrava realistica. Penetrando in questi giganti di ghiaccio, ci si aspetterebbe di incontrare prima uno strato di acqua ionica, in grado di fluire, condurre correnti e partecipare a una dinamo. Ingenuamente, si può pensare che anche il materiale più profondo, a temperature ancora più calde, sarebbe un fluido. “Ho sempre scherzato sul fatto che non è possibile che l’interno di Urano e quello di Nettuno siano effettivamente solidi”, ha dichiarato Sabine Stanley della Johns Hopkins University. “Invece ora si scopre che possono esserlo”.

Esplosione ghiacciata
Ora, finalmente, Coppari, Millot e il loro gruppo hanno messo insieme i pezzi del puzzle. In un precedente esperimento, pubblicato lo scorso febbraio, i fisici hanno ottenuto prove indirette del ghiaccio superionico. Hanno spremuto una goccia d’acqua a temperatura ambiente tra le estremità appuntite di due diamanti. Quando la pressione è arrivata a circa 1 gigapascal, circa 10 volte quella presente sul fondo della Fossa delle Marianne, l’acqua si è trasformata in un cristallo tetragonale chiamato ghiaccio VI. A circa 2 gigapascal, è passata a ghiaccio VII, una forma cubica più densa, trasparente a occhio nudo, che gli scienziati hanno scoperto di recente anche in piccole tasche all’interno di diamanti naturali.

Ghiaccio nero e caldo: è così l'acqua più comune in natura?
Un’immagine di Urano ripresa dalla sonda Voyager 2. (Credit: NASA/JPL-Caltech)

A quel punto, usando il laser OMEGA del Laboratory for Laser Energetics, Millot e colleghi hanno preso di mira il ghiaccio VII, ancora tra le punte diamantate. Quando il laser ha colpito la superficie del diamante, ha vaporizzato materiale verso l’alto, facendo oscillare efficacemente il diamante nella direzione opposta e facendo propagare un’onda d’urto attraverso il ghiaccio. La squadra di Millot ha scoperto che il loro ghiaccio super-pressurizzato si era fuso a circa 4700 gradi Celsius, più o meno come previsto per il ghiaccio superionico, e che conduceva l’elettricità grazie al movimento dei protoni carichi.

Una volta sistemate le previsioni sulle proprietà del ghiaccio superionico, il nuovo studio guidato da Coppari e Millot ha fatto il passo successivo per confermarne la struttura. “Se si vuole davvero dimostrare che qualcosa è cristallino, allora c’è bisogno della diffrazione a raggi X”, ha detto Salzmann.

Il loro nuovo esperimento ha tralasciato il ghiaccio VI e il VII: il gruppo ha semplicemente bersagliato l’acqua con impulsi laser tra le punte di diamante. Un miliardesimo di secondo dopo, quando le onde d’urto si sono propagate e l’acqua ha iniziato a cristallizzarsi in cubetti di ghiaccio di dimensioni nanometriche, gli scienziati hanno usato altri 16 raggi laser per vaporizzare un sottile frammento di ferro accanto al campione. Il plasma caldo risultante ha inondato l’acqua cristallizzata con raggi X, che poi sono stati diffratti dai cristalli di ghiaccio, permettendo al gruppo di distinguere la loro struttura.

Gli atomi nell’acqua si erano riorganizzati nell’architettura da tempo prevista ma mai osservata, ghiaccio XVIII: un reticolo a celle cubiche con atomi di ossigeno a ogni vertice e al centro di ogni faccia. “È una vera una svolta”, ha detto Coppari.

“Il fatto che l’esistenza di questa fase non sia un artefatto di simulazioni delle dinamiche quantistiche molecolari, ma sia reale, è molto confortante”, ha affermato Bove. E il successo di questo tipo di controllo incrociato dietro le simulazioni e il ghiaccio superionico reale suggerisce che il più ambizioso “sogno” dei ricercatori di fisica dei materiali potrebbe essere presto a portata di mano. “Se mi dici quali sono le proprietà che vuoi in un materiale, possiamo metterci al computer e capire per via teorica quale materiale e quale tipo di struttura cristallina ti servirà”, ha affermato Raymond Jeanloz, membro del gruppo di ricercatori dell’Università della California a Berkeley autore della scoperta. “Tutto il settore si sta avvicinando a questo”.

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Nettuno ripreso da Voyager 2. (Credit: NASA/JPL)

Secondo le nuove analisi, anche se il ghiaccio superionico conduce un po’ di elettricità, è un solido poco denso. Nel corso del tempo può scorrere, ma non rimescolarsi. All’interno di Urano e Nettuno, quindi, gli strati fluidi potrebbero fermarsi a circa 8000 chilometri di profondità, dove inizia un enorme mantello di ghiaccio inerte e superionico come quello prodotto dal gruppo di Millot. Questo limiterebbe la maggior parte dell’azione della dinamo a profondità più basse, rendendo conto degli insoliti campi dei pianeti.

Probabilmente altri pianeti e lune nel sistema solare non hanno al loro interno le peculiari condizioni di temperatura e pressione che permettono l’esistenza del ghiaccio superionico. Mentre potrebbero averle molti esopianeti ghiacciati di dimensioni gigantesche, suggerendo che questo tipo di ghiaccio potrebbe essere comune all’interno di mondi ghiacciati in tutta la galassia.

Certo, però, nessun pianeta reale contiene solo acqua. I giganti di ghiaccio nel nostro sistema solare vi mescolano anche specie chimiche come metano e ammoniaca. Fino a che punto il comportamento superionico si verifica effettivamente in natura “dipende dal fatto che queste fasi esistano ancora quando si mescolano acqua e altri materiali”, ha detto Stanley. Questo per ora non è chiaro, anche se altri ricercatori hanno sostenuto che dovrebbe esistere anche l’ammoniaca superionica.

Oltre a estendere la loro ricerca ad altri materiali, il gruppo spera di continuare a concentrarsi sulla strana, quasi paradossale dualità dei cristalli superionici. La sola osservazione del reticolo degli atomi di ossigeno “è chiaramente l’esperimento più impegnativo che abbia fatto”, ha detto Millot. Non hanno ancora visto il fantasmatico e sfuggente flusso di protoni attraverso il reticolo. “Tecnologicamente, non ci siamo ancora arrivati – ha detto Coppari – ma il settore sta crescendo molto velocemente”.
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(L’originale di questo articolo è stato pubblicato da QuantaMagazine.org l’8 maggio 2019, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze.Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

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