L’impronta del riscaldamento globale sulla siccità del pianeta
La relazione fra l’aumento delle temperature globali e della siccità è stata dimostrata da una ricerca, che spiega per la prima volta perché fra il 1950 e il 1980 c’è stata una pausa nell’inaridimento dei suoli, ripreso poi a un ritmo ancora più sostenuto. In futuro la regione mediterranea sarà fra quelle che dovranno
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Per la prima volta è stato chiaramente identificato il complesso legame fra l’aumento delle temperature globali e della siccità, spiegando perché la siccità è aumentata tra il 1900 e il 1949, per poi diminuire tra il 1950 e il 1975 e quindi riprendere a un ritmo ancora più accelerato. Lo studio, realizzato da ricercatori del Goddard Institute for Space Studies della NASA; del Lawrence Livermore National Laboratory e della Colubia University, è pubblicato su “Nature”.
Per condurre lo studio, Kate Marvel e colleghi hanno guardato al cosiddetto “idroclima” nel suo complesso, e in particolare ai livelli di umidità del suolo, fattore chiave dei processi di desertificazione. In questo modo i ricercatori hanno evitato le incertezze di ricerche precedenti, che si basavano solo sull’andamento delle precipitazioni.
Il rapporto fra aumento delle temperature e umidità del suolo è complesso perché un’aria più calda può trasportare più umidità, e quindi più pioggia o neve, ma l’aria più calda può anche far evaporare più umidità dal suolo, tanto da superare l’apporto delle precipitazioni. Il fatto che il bilancio idrico in una certa regione penda in un senso o nell’altro dipende da molti elementi: modelli di ventosità, stagioni, nuvolosità, distribuzione temporale delle pogge, topografia e vicinanza agli oceani che producono umidità.

Per distinguere fra le diverse situazioni locali i ricercatori si sono serviti, oltre che delle registrazioni dei parametri meteorologici classici, anche dell’andamento della crescita degli anelli degli alberi.
L’analisi degli anelli permette infatti di risalire alle condizioni del terreno in cui quegli alberisono vissuti. Questi dati forniscono inoltre una linea di base per valutare le variazioni meteorologiche prima che l’uomo iniziasse a influenzarle. Marvel e colleghi hanno usato a questo scopo i cosiddetti “atlanti dendrocronologici” – di recente pubblicazione – che riportano i dati relativi ad alberi, viventi e fossili (fino a 2000 anni fa), provenienti da migliaia di siti in tutto il mondo.
I ricercatori hanno così’ stabilito che dal 1900 al 1949, periodo in cui ha iniziato a essere chiaramente rilevabile il progressivo riscaldamento globale, c’è stata una riduzione dell’umidità del suolo in Europa (Russia occidentale compresa) e nell’area mediterranea, in gran parte dell’America centro-settentrionale, nel sud-est asiatico e in Australia. L’umidità del suolo è invece aumentata in Asia centrale, nel subcontinente indiano, in Indonesia e nel Canada centrale.
Dal 1950 al 1975 si sono poi manifestati cambiamenti apparentemente casuali, che però sembrano in correlazione con l’aumento esorbitante di fumi e aerosol di origine industriale. Questi possono influenzare la formazione di nubi regionali, le precipitazioni e la temperatura, bloccando, tra l’altro, la radiazione solare e fornendo i nuclei di condensazione per le gocce di pioggia.
