Un meteorite proveniente da un’altra stella ha colpito la Terra nel 2014

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Un meteorite proveniente da un’altra stella ha colpito la Terra nel 2014

Secondo una stima, nel vuoto della Via Lattea vaga un quadrilione di miliardi di piccoli oggetti, scagliati via da stelle e pianeti, circa mezzo miliardo dei quali avrebbe colpito la Terra nel corso della sua storia. Il bolide luminoso avvistato cinque anni fa al largo della Papua Nuova Guinea era uno di essi?
di Lee Billings / Scientific America
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Da quasi ogni punto di vista, lo spazio è straordinariamente vuoto: contiene in media un solo protone ogni quattro metri cubi di volume. In questo oceano cosmico, così incomprensibilmente vasto e desolato, intere galassie sono simili a sparse macchie di schiuma marina, per non parlare delle stelle, dei pianeti e di altri oggetti minori che appaiono evanescenti e insignificanti punti nel vuoto. Che gruppi casuali di materia alla deriva nelle profondità dello spazio si incontrino in qualche modo sembra al limite del miracoloso.

Eppure lo fanno, e in misura sorprendente. Come conseguenza inevitabile della meccanica orbitale, stelle e pianeti scagliano abitualmente piccoli oggetti nello spazio interstellare. E la recente scoperta di ‘Oumuamua – un oggetto interstellare misterioso, primo del suo genere, notato per caso lo scorso anno per caso quando è passato vicino al nostro Sole – lo conferma.

Le estrapolazioni statistiche suggeriscono che un quadrilione di miliardi di oggetti simili potrebbero nascondersi – ancora non visti – negli oscuri spazi tra le stelle della Via Lattea: un numero così elevato che dovrebbe esserci sempre qualche “passante” che attraversa la sfera immaginaria delimitata dall’orbita terrestre intorno alla nostra stella.

Con una dimensione stimata di circa mezzo chilometro, ‘Oumuamua rappresenta per certi versi la punta dell’iceberg interstellare; come su una spiaggia i granelli di sabbia superano di gran lunga il numero delle pietre grandi, così per ogni corpo delle dimensioni di ‘Oumuamua che vaga per la galassia ci dovrebbero essere moltissimi altri oggetti ancora più piccoli.

Un meteorite di un'altra stella colpì la Terra nel 2014?
© Science Photo Library / AGF

Gli scienziati già conoscono molti immigrati interstellari microscopici – raggi cosmici e granuli di polvere stellare delle dimensioni di qualche micron che occasionalmente colpiscono le navicelle spaziali – ma, a parte ‘Oumuamua non è mai stato scoperto con certezza nulla di più grande. Ma due ricercatori – Avi Loeb, docente di astronomia alla Harvard University, e il suo allievo Amir Siraj – dicono che le cose sono cambiate, affermando che un modesto meteorite osservato nel gennaio 2014 fosse in realtà un fuggiasco da un’altra stella.

I due descrivono i dettagli del loro risultato in un pre-print presentato per la pubblicazione sulle “Astrophysical Journal Letters”. Se fosse confermata, la scoperta potrebbe aiutare ad aprire una nuova frontiera nella rilevazione e nello studio dei meteoriti interstellari.

Un’affermazione iperbolica
“I precedenti approcci a questo problema somigliavano al cercare le chiavi sotto un lampione, dove il nostro Sole è la lampada che illumina l’ambiente circostante e gli oggetti interstellari di passaggio sono le chiavi”, spiega Loeb. “È una buona tecnica – è così che è stato trovato ‘Oumuamua – ma ti limita notevolmente, soprattutto se si cerca di capire la composizione di un oggetto.”

Nel loro studio, Loeb e Siraj hanno usato un metodo diverso, cercando prove di oggetti interstellari in più di tre decenni di dati raccolti dal Center for Near Earth Object Studies (CNEOS), un catalogo globale di meteoriti rilevato dalle reti di sensori installati per conto del governo americano e gestiti dalla NASA.

Poiché dovrebbero esserci molti più oggetti interstellari di dimensioni più piccole, dice Loeb, “c’è una buona probabilità che ci appaiano come meteoriti, poiché le possibilità di incrociare la Terra sono più alte”.

Il monitoraggio della scia luminosa di un meteorite che brucia nell’atmosfera del nostro pianeta può rivelare non solo le dimensioni e la composizione dell’oggetto, ma anche la sua traiettoria e velocità rispetto alla Terra e al Sole. Se la velocità di ingresso di un meteorite supera i 42 chilometri al secondo circa – la velocità di fuga dal sistema solare nelle vicinanze della Terra – la sua traiettoria potrebbe essere considerata “iperbolica”, e ciò significa che potrebbe trattarsi di un passante interstellare “non legato” che si muove troppo velocemente per essere catturato dalla gravità del Sole.

Un solo evento del database CNEOS ha soddisfatto i prudenti criteri di Loeb e Siraj: un bolide luminoso osservato l’8 gennaio 2014 al largo delle coste di Papua Nuova Guinea. Secondo l’analisi dei dati CNEOS fatta dai due, il meteorite aveva un diametro di mezzo metro e una massa di quasi 500 chilogrammi, e sarebbe entrato nell’atmosfera terrestre a quasi 44 chilometri al secondo prima di esplodere sopra l’oceano Pacifico.

La scia del meteorite ha dimostrato che non c’è stato un impatto frontale con la Terra, come ci si aspetterebbe per un oggetto nativo in rapido movimento ma in orbita retrograda attorno alla nostra stella. Sembrava piuttosto piombato da dietro, mentre superava il nostro pianeta in movimento intorno al Sole, suggerendo che la sua velocità effettiva rispetto al nostro sistema solare fosse superiore ai 60 chilometri al secondo. Ricostruendo il percorso più probabile dell’oggetto verso la Terra, Loeb e Siraj non hanno trovato precedenti incontri ravvicinati con Giove o altri grandi corpi che avrebbero potuto aumentarne la velocità.

Un meteorite di un'altra stella colpì la Terra nel 2014?
Raffigurazione artistica di ‘Oumuamua. (© Science Photo Library / AGF)

Incappare in un meteorite proveniente da un’altra stella sembrava quasi troppo bello per essere vero, soprattutto perché i dati CNEOS vanno interpretati con cautela.

Le fonti primarie del catalogo sono satelliti di osservazione della Terra “classificati”, gestiti dall’esercito statunitense, che possono registrare la luminosità, l’orientamento e la durata dei bolidi che entrano nell’atmosfera del nostro pianeta. Per ragioni di sicurezza nazionale, il governo rifiuta di rilasciare informazioni su potenziali fonti di incertezza nelle misurazioni dei satelliti.

“All’inizio non ci credevo”, dice Siraj. Per una settimana, lui e Loeb hanno  controllato ripetutamente la loro analisi dei dati CNEOS, giungendo sempre alla stessa conclusione: il meteorite doveva aver avuto un’origine interstellare. Alla fine hanno deciso di testare i loro metodi su un evento diverso, molto più studiato: il meteorite di 20 metri esploso nel 2013, che scatenò il caos nella città russa di Chelyabinsk. Usando le registrazioni video del bolide di Chelyabinsk, “abbiamo derivato la sua orbita con i nostri metodi, e abbiamo rilevato una corrispondenza molto stretta [con i dati CNEOS]”,” dice Siraj. “Quando l’ho visto, ho pensato: ‘Oh mio Dio, ci siamo’.

Un’origine interstellare della vita?
La velocità estrema stimata del meteorite non solo era molto più alta di quella degli oggetti in orbita intorno al Sole, ma anche ben al di sopra di quella tipica di altri sistemi vicini che turbinano attraverso il sottile disco di stelle della Via Lattea. Questo, dice Loeb, significa che le sue presunte origini interstellari sono decisamente esotiche. “O proveniva da una stella nel disco spesso della galassia [un piccolo e diffuso sottoinsieme di stelle veloci che circondano come un alone il disco sottile]– dice – oppure, se proveniva dal disco sottile della galassia, era dalle regioni interne di un sistema planetario, dove gli oggetti orbitano a velocità più alte.”

L’analisi dei due ricercatori suggerisce anche che oggetti interstellari di questa scala colpiscano la Terra almeno una volta al decennio, il che significa che nel corso dei suoi 4,5 miliardi di anni di storia sul nostro pianeta ne dovrebbero essere piovuti quasi mezzo miliardo. Secondo le stime di Loeb e Siraj, le stelle vicine alla nostra dovrebbero espellere da 0,2 a 20 masse terrestri di oggetti simili nel corso della loro vita, e in qualsiasi momento all’interno dell’orbita terrestre intorno al Sole dovrebbero essercene nell’ordine del milione.

Uno scenario di questo tipo ha implicazioni profonde. “Potenzialmente, alcuni di questi oggetti potrebbero trasferire la vita tra sistemi planetari”, dice Loeb, riferendosi a una teoria conosciuta come panspermia (in greco antico “tutti i semi”), che postula che la vita iniziata nello spazio esterno possa facilmente migrare tra i pianeti.

In linea di principio, microbi alieni – al riparo all’interno di rocce espulse nello spazio da un impatto gigantesco subito da qualche mondo portatore di vita – potrebbero sopravvivere a un viaggio interstellare e a un ingresso infuocato nell’atmosfera di un pianeta. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che questo potrebbe spiegare anche la precoce comparsa della vita sulla Terra, un evento che secondo i dati fossili si verificò con una rapidità scioccante più di quattro miliardi di anni fa, praticamente appena il nostro pianeta divenne abbastanza freddo da permettere la presenza di acqua allo stato liquido. “Se questo meteorite è davvero interstellare, ci fornisce una prova di principio”, dice Loeb. Certo, quel meteorite è andato in fumo, ma quelli più grandi e più rari non lo farebbero. E per inseminare la Terra primordiale non era necessario un impatto ogni dieci anni.”

Un meteorite di un'altra stella colpì la Terra nel 2014?Un frammento del meteorite di Chelyabinsk arrivato al suolo. (© Science Photo Library / AGF)

Altri esperti della panspermia, argomento per la verità piuttosto arcano, suggeriscono che, se anche il meteorite di Loeb e Siraj fosse riuscito a raggiungere la superficie terrestre, non avrebbe portato con sé nulla di vivo. “Più probabilmente, questo oggetto non proviene da un corpo abitabile (e ancor meno da uno abitato), ma si tratta di un frammento di un corpo congelato, simile a una cometa”, dice Benjamin Weiss, planetologo ed esperto di meteoriti del Massachusetts Institute of Technology. Ma il punto centrale, dice Weiss, è che l’affermazione che questa particolare roccia spaziale avesse un’origine interstellare è problematica. “Il catalogo dei meteoriti che [Loeb e Siraj] hanno usato non riporta dati sulle incertezze relative alla velocità di arrivo”, osserva. “Queste incertezze devono essere quantificate prima che il meteorite possa essere accettato come interstellare.”

Incertezze sconosciute
Questo è anche il punto di vista di Paul Chodas, responsabile del catalogo CNEOS al Jet Propulsion Laboratory della NASA. “Noi del CNEOS pubblichiamo semplicemente i dati sui bolidi che ci vengono segnalati; non abbiamo informazioni sulle incertezze”, dice.

Nel marzo di quest’anno, dice Chodas, lui e altri collaboratori di CNEOS hanno segnalato il meteorite Papua Nuova Guinea 2014 come potenzialmente interstellare sulla base dei loro calcoli dell’orbita, ma non hanno pubblicato quel risultato a causa dei dubbi sulla qualità dei dati. L’affermazione “abbastanza straordinaria” e “altamente speculativa” di Loeb e Siraj, dice, “si basa su pochi numeri che sono probabilmente molto incerti”. (Nel loro articolo, Loeb e Siraj citano lavori precedenti secondo i quali l’incertezza tipica del catalogo CNEOS per la velocità di meteoriti delle dimensioni di un metro è inferiore a un chilometro al secondo, una discrepanza insignificante rispetto all’enorme velocità misurata del loro candidato interstellare.)

Interrogato sulle incertezze del catalogo CNEOS, Lindley Johnson, “funzionario della difesa planetaria” della NASA, nota che i dati sono stati usati “in un modo che in origine non era mai stato contemplato”.

Pur essendo stato inizialmente concepito come un semplice elenco di tempi, luoghi e livelli di energia dei bolidi luminosi, più di un decennio fa il catalogo ha iniziato a incorporare anche stime sulla velocità e la direzione degli eventi per i quali si avevano più dati, nella speranza che i ricercatori potessero usare quelle proiezioni per individuare i campi di detriti meteoritici a partire dalle grandi scie infuocate osservate da terra. Ben presto, analisti particolarmente audaci hanno iniziato a usare quelle proiezioni per risalire nel tempo, ricostruendo le potenziali storie orbitali dei meteoriti per collegarle fra loro e a possibili famiglie di famiglie di asteroidi. “Già questo estendeva l’affidabilità dei dati al di là di qualsiasi estrapolazione scientificamente valida”, dice Johnson. “Ora sulla base di dati così tenui [Loeb e Siraj] speculano che alcuni di essi potrebbero essere oggetti interstellari? Per me, questo supera il punto di rottura della credibilità.”

Peter Brown, planetologo ed esperto di meteoriti alla Western University canadese, dice che anche se il catalogo CNEOS è in media di altissima qualità, la validità di ciascun singolo dato, e in particolare quelli relativi ai meteoriti più piccoli, rimane discutibile. “Statisticamente, penso che le orbite, le velocità e le traiettorie del catalogo nel complesso siano a posto”, dice. “Ma semplicemente non sappiamo quali siano buone e quali cattive”. Inoltre, dice Brown, fra le migliaia di piccoli bolidi precedentemente rilevati da altre osservazioni indipendenti che usano telecamere a terra e stazioni radar, nessuno ha mostrato chiaramente una traiettoria iperbolica. “Se un decimo o un ventesimo di un punto percentuale di quella popolazione fosse iperbolico, come sostengono Loeb e Siraj, ci si aspetterebbe di avere un discreto numero di oggetti iperbolici nei dati provenienti dalle reti a terra, ma non è così.”

Tuttavia, aggiunge Brown, “è fantastico che ricercatori che provengono da discipline diverse applichino i propri approcci a questo ricco insieme di dati…”. I meteoriti interstellari devono colpire l’atmosfera terrestre e i bolidi luminosi sono il modo naturale per cercarli. Dobbiamo solo trovarli in maniera convincente, in modi che non possano essere liquidati come incertezze nelle misurazioni.”

Questo, naturalmente, fa parte del grande piano di Loeb e Siraj. Il passo successivo nella ricerca di meteoriti interstellari, dicono, è quello di garantire che i bolidi potenzialmente iperbolici possano essere non solo rilevati ma anche caratterizzati. Osservata con la giusta attrezzatura, la luce di una bolide può essere suddivisa in uno spettro multicolore che funziona come un “codice a barre” per rivelare la composizione chimica dell’oggetto, un indizio cruciale per capire se si è formato o meno intorno al nostro Sole.

“Dovremmo incappare in uno di questi meteoriti iperbolici ogni pochi anni”, dice Loeb. “Se gli osservatori segnalassero i bolidi con velocità eccessive, dovremmo essere in grado di impostare indagini spettroscopiche per ottenere lo spettro di ciascuno di essi mentre brucia nell’atmosfera e dimostrare un’origine esterna al nostro sistema solare. Sicuramente è qualcosa in cui vale la pena investire”.

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L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 23 aprile 2019. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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