Gli incendi devastanti in Australia sono il segnale che abbiamo superato un punto di non ritorno climatico

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Gli incendi devastanti in Australia sono il segnale che abbiamo superato un punto di non ritorno climatico

Nessuno aveva previsto arrivasse così presto. “E’ probabile che le foreste non torneranno come le conoscevamo”
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Mentre l’Australia continua a battere record di caldo estremo e giganteschi incendi divorano da mesi ampie aree dell’isola/continente, contrariamente a quel che continua testardamente a dire il premier liberaldemocratico e negazionista climatico Scott Morrison, gli scienziati affermano che stiamo assistendo a come il riscaldamento globale può spingere gli ecosistemi forestali oltre un punto di non ritorno e che, con il riscaldamento globale in corso, alcune delle foreste bruciate non si riprenderanno. E la cosa non riguarda solo la remota Australia: gli esperti sono convinti che in altre regioni percorse da violenti incendi negli ultimi anni, come le aree semi-aride del West Usa e il bacino del Mediterraneo, alcuni habitat forestali post-incendio si trasformeranno in praterie o vegetazione bassa.

Un drastico cambiamento di habitat che non avrà ripercussioni solo sulla fauna. Come spiega Bob Berwin su Iside Climate News, «I corsi d’acqua e la vegetazione cambieranno e quando gli alberi in fiamme rilasciano carbonio  e restano meno alberi vivi per estrarre CO2 dell’aria e immagazzinarla, le emissioni di carbonio aumenteranno. In molti modi, è la definizione di un punto di non ritorno, poiché gli ecosistemi si trasformano da un tipo a un altro».

Il rapido susseguirsi di incendi boschivi sempre più grandi e distruttivi, dall’Artico ai Tropici, ha sorpreso anche gli scienziati che studiano le foreste e gli incendi e che avevano già messo in guardia sul p raggiungimento di questi punti di non ritorno, ma su tempi che, visti oggi, sembravano remoti. Come ha detto Iside Climate News David Breashers, un climatologo dell’università dell’Arizona, era «qualcosa che sarebbe accaduto in un futuro molto più lontano. Ma sta succedendo adesso. Nessuno l’aveva visto arrivare così presto, anche se era come un treno merci. E’ probabile che le foreste non ritorneranno come le conosciamo». E, smettendo Morrison e i molti negazionisti climatici al lavoro in questi giorni per diffondere fake news nel tentativo di nascondere l’evidenza, affermato  Nerilie Abram, una ricercatrice climatica dell’ Australian National University (ANU), aggiunge: «Il legame tra riscaldamento globale, foreste e incendi è sfaccettato ma molto chiaro. L’aumento delle temperature prosciuga il carburante e porta a più giorni di condizioni favorevoli agli incendi estremi. Lo spostamento verso l’esterno   dell’emisfero sud dei venti occidentali sta allontanando le piogge invernali dall’Australia meridionale, causando una tendenza all’essiccamento a lungo termine che rende il territorio più vulnerabile alle fiamme».

Un ciclo infernale che si autoalimenta: «La siccità e la perdita di foreste causano temperature più elevate sulla terreno e una bassa umidità – spiega ancora la Abram – il che a sua volta peggiora le condizioni dell’incendio. E non c’è motivo per non pensare che un aumento graduale della temperatura provocherà un simile graduale aumento del rischio di incendi». La scienziata australiana si riferisce ai risultati dello studio “Observed Impacts of Anthropogenic Climate Change on Wildfire in California”, pubblicato nell’agosto 2019 su Earth’s Future da un team di ricercatori statunitensi, che dimostra che un riscaldamento climatico incrementale aumenta esponenzialmente il danno da incendio, prosciugando le foreste che fungono da carburante. Il principale autore di questo studio , Park Williams del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, ha scritto su Twitter che «Ogni grado di riscaldamento ha un effetto maggiore sugli incendi boschivi rispetto al precedente grado di riscaldamento» – E ina recente intervista ad ABC News, la televisione australiana, il famoso climatologo Michael Mann della Pennsylvania State University ha affermato che «La straziante perdita delle insostituibili foreste in Australia è un chiaro segno di un punto di svolta climatico che si sta manifestando sotto i nostri occhi. Scenari simili sono evidenti nelle foreste di tutto il mondo».

Anche Christopher Brack, un climatologo dell’ANU, è convinto che «Alcune delle foreste andate perse a causa degli incendi in corso in Australia non sono in grado di ritornare presto. Questi incendi che bruciano lungo le Southern Alps, attualmente stanno ribruciando frassini alpini e montani che si stavano rigenerando dagli incendi di meno di 20 anni fa. Nel clima in riscaldamento, è probabile che le attuali foreste vengano sostituite da cespugli e altre specie più basse e più infiammabili che intensificheranno il ciclo degli incendi».

Se non cambierà rapidamente qualcosa, con gli impegni climatici presi finora dai governi di tutto il mondo, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) ha avvertito che entro la fine del secolo ci saranno circa 3,5 gradi Celsius in più e la frequenza degli incendi dovrebbe aumentare su oltre il 60%. Un rapporto Ipccc del 2018 che identificava l’Australia meridionale, il Centro e Sud America, il Sud Africa e il West Usa come le aree più a rischio di incendi, ma anche l’Europa meridionale, Itala compresa è a fortissimo rischio.

A firefighter manages a controlled burn near Tomerong, Australia, Wednesday, Jan. 8, 2020, in an effort to contain a larger fire nearby. Around 2,300 firefighters in New South Wales state were making the most of relatively benign conditions by frantically consolidating containment lines around more than 110 blazes and patrolling for lightning strikes, state Rural Fire Service Commissioner Shane Fitzsimmons said. (AP Photo/Rick Rycroft)

Berwin ricorda che «L’attività antropica ha anche contribuito ad aumentare il rischio di incendio in altri modi. Le concessioni di taglio possono prosciugare le foreste e rendere gli alberi rimanenti più vulnerabili al fuoco, e la costruzione di più strade e aree residenziali nelle foreste significa che ci sono più possibilità di incendi che si innescano partendo da linee elettriche o automobili, così come più danni alla proprietà e persone a rischio di incendio».

Cam Walker, coordinatore di Friends of the Earth Melbourne e vigile del fuoco volontario australiano, sottolinea che, dove opera lui «E’ un paesaggio subalpino dominato dagli snow gums, un tipo di eucalipto. Questa zona è stata bruciata tre volte in circa 12 anni e gli snow gums hanno una capacità limitata di far fronte ad incendi ripetuti».

Gli incendi stanno anche minacciando alcune delle foreste più antiche della Terra, veri e propri fossili viventi risalenti a 180 milioni di anni fa, quando tutti i continenti del pianeta erano uniti nel supercontinente Gondwana. Le umide foreste pluviali del Gondwana, con microclimi umidi sotto le loro fitte chiome, nel passato hanno subito pochi incendi, ma ora il riscaldamento globale le sta prosciugando. Walker fa notare che «Dato che le condizioni sono così secche, stiamo assistendo a un numero sempre maggiore di queste aree in fiamme. Questo è successo anche nella vegetazione subalpina relitta in Tasmania, dove stiamo assistendo a eventi di siccità estrema sempre più regolari. Per noi in Australia, i costi dell’inazione sui cambiamenti climatici saranno catastrofici. Già gli scienziati ci stanno avvertendo che, negli scenari ad alte emissioni, gli ecosistemi collasseranno».

David Bowman, direttore del Fire Center Research Hub dell’università della Tasmania, conferma che «La ricerca degli ultimi anni rafforza tale opinione. Il cambiamento climatico globale sta stressando la vegetazione molto più di quanto pensassimo. La vegetazione stressata recupera più lentamente e sono possibili rapidi cambiamenti da foresta a non-foresta. L’aumento della frequenza degli incendi riduce la capacità delle foreste di riprendersi dopo incendi ricorrenti».

Ma, anche senza incendi, il riscaldamento globale sta uccidendo gli alberi un po’ in tutto il mondo: durante le ondate di caldo o di siccità estrema possono formarsi delle bolle d’aria nel loro sistema di trasporto dell’acqua, provando una sorta di embolia mortale. Il riscaldamento globale ha portato anche all’aumento delle infestazioni di insetti – spesso invasivi ed esotici – che uccidono intere foreste. E il disboscamento, così come gli incendi da disboscamento in Amazzonia stanno minacciando di spingere quell’essenziale ecosistema forestale oltre un punto di non ritorno, con implicazioni globali per il ciclo del carbonio.

Di fronte a questa accelerata e straziante morte di alberi, Breshears evidenzia che «Dieci anni fa, non pensavo che saremmo stati in questa situazione. Sono ancora un po’ scioccato da quanto sta accadendo». Craig D. Allen, dell’ US Geological Survey, fa notare che «Una serie di studi negli ultimi 10 anni aiuta a spiegare la mortalità globale degli alberi. Esistono prove del fatto che la maggior parte delle specie di alberi in tutto il mondo sopravvivono regolarmente vicino a soglie dannose di stress idrico e che non sono in grado di far fronte all’aumento della frequenza e dell’intensità degli estremi di caldo».

Lo studio “Moisture availability limits subalpine tree establishment”, pubblicato nel febbraio 2018 d su Ecology da un team di ricercatori statunitensi, aveva dimostrato come la diminuzione della copertura nevosa e l’aumento delle temperature estive impediscono la ricrescita degli alberi delle foreste subalpine. Le conifere hanno bisogno di estati fresche e umide per prosperare, ma quelle condizioni si verificano meno frequentemente con il riscaldamento globale. Di conseguenza, alcune foreste delle Montagne Rocciose sono già vicinissime al punto di non ritorno con «cambiamenti da foreste a tipi di vegetazione non forestale lungo una vasta gamma di altitudini nelle foreste del Front Range».

Per Diana Dix, un’entomologa forestale dell’università del Montana «Alcuni punti di non ritorno potrebbero essere meno improvvisi di quanto pensiamo ed essere già in corso. Le foreste più vecchie sono già state create e possono avere un bell’aspetto. Ma cosa succede quando muoiono? Cosa rinasce?. Su un pianeta in fase di riscaldamento, non c’è alcuna garanzia che quelle foreste più antiche, con forte sequestro di carbonio, si rigenerino: in effetti ci sono molte ricerche che suggeriscono che molti non lo faranno. Anche limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius come previsto dall’accordo sul clima di Parigi potrebbe non essere sufficiente per salvare alcune foreste. Con i cambiamenti e l’estinzione che stiamo vedendo ora, direi di no. Ma in futuro andrà meno male che se lasciassimo stare le cose come stanno».

I molti studi sugli aumenti della lunghezza della stagione degli incendi e sulle dimensioni e l’intensità, sul declino delle foreste e sulle infestazioni di parassiti dimostrano che gli ecosistemi forestali, essenziali per la sopravvivenza degli esseri umani sul pianeta, sono sottoposti a forti stress.

Alistair Jump, a capo del dipartimento scienze biologiche e ambientali dell’università britannica di Stirling, conclude: «Il cambiamento climatico sta esacerbando in maniera massiccia il rischio di incendi catastrofici e ne stiamo vedendo le conseguenze a livello globale. Anche laddove il fuoco non sta eliminando le foreste, stiamo assistendo a un aumento del rischio di mortalità causato dalla siccità. A ciò si aggiungono le mutevoli distribuzioni di parassiti e patogeni e la deforestazione dilagante, E gli alberi sono davvero nei guai proprio nel momento in cui ne abbiamo maggiormente bisogno. C’è un grande rischio che il carbonio già stoccato venga rilasciato in un batter d’occhio. Diamo per scontate le foreste, ma possiamo vedere quanto velocemente possiamo cambiare il modo in cui le foreste funzionano e quanto seriamente questo può avere un impatto su di noi».

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