Decine di migliaia di persone muoiono d’inquinamento ogni anno al Nord, ma si crea il panico per il coronavirus

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Decine di migliaia di persone muoiono d’inquinamento ogni anno al Nord, ma si crea il panico per il coronavirus

Continua ad aumentare il bilancio dei contagiati, ma siamo ancora abbondantemente sotto le 1000 unità, contro le 76.200 morti premature l’anno dovute agli inquinanti atmosferici. Eppure la percezione del rischio è ribaltata, molto per colpa dei media, ma non solo
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Nel giro di un fine settimana l’Italia del nord si è trovata stretta sotto assedio dal nuovo coronavirus, con focolai d’infezione che – mentre scriviamo – hanno provocato poco meno di 400 casi di contagio e più di 10 morti legati alla sindrome simil-influenzale denominata Covid-19

«L’infezione, dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi – spiegano al proposito dal Cnr – causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva. Il rischio di gravi complicanze aumenta con l’età, e le persone sopra 65 anni e/o con patologie preesistenti o immunodepresse sono ovviamente più a rischio, così come lo sarebbero per l’influenza».

I focolai di Covid-19 sono però legati a un nuovo coronavirus, per contrastare il quale non abbiamo ancora vaccini a disposizione, e dunque per contenerne la diffusione le autorità sanitarie preposte stanno adottando misure straordinarie. Eppure l’Italia risulta il Paese europeo più colpito dal nuovo coronavirus: perché? «Troviamo tutti questi malati in questo momento, perché, semplicemente, abbiamo cominciato a cercarli», risponde la virologa Ilaria Capua, una lettura confermata dallo stesso premier Conte che sottolinea come nel nostro Paese siano stati effettuati finora circa 4mila tamponi alla ricerca del coronavirus contro i 400 effettuati in Francia. Inoltre il focolaio epidemico è partito da un ospedale, con i primi casi riscontrati in quello di Codogno, e questo ha contribuito ad amplificare la diffusione del coronavirus.

Ma in questa fase a creare più danni del Covid-19 è la percezione dei rischi collegati, che sta portando a difficoltà nella gestione stessa del fenomeno: «Nell’ambito delle attività messe in campo per fronteggiare l’emergenza coronavirus, la collaborazione dei cittadini è fondamentale – sottolineano non a caso dalla Protezione civile – Si invita pertanto la popolazione a recarsi nelle strutture sanitarie e ad utilizzare i numeri di emergenza solo se strettamente necessario».

In questo contesto è importante sottolineare la distanza che si è venuta a creare tra rischi effettivi per la salute e la loro percezione. Finora si contano nel nostro Paese 5 vittime legate al nuovo coronavirus, mentre ogni anno l’inquinamento miete 76.200 vittime secondo gli ultimi dati messi in fila dall’Agenzia europea dell’ambiente: l’Italia è infatti il primo in Europa per morti premature da biossido di azoto (NO2) con circa 14.600 vittime all’anno, ha il numero più alto di decessi per ozono (3.000) e il secondo per il particolato fine PM2,5 (58.600).

E i danni maggiori legati all’inquinamento atmosferico, paradossalmente, si registrano proprio nelle regioni del nord Italia che oggi si sentono sotto assedio a causa di un altro nemico “invisibile” come il nuovo coronavirus; circa il 95% degli europei sottoposti a sforamenti contemporanei nelle emissioni di particolato, biossido di azoto e ozono vive infatti nel nord del nostro Paese.

Interrogati al proposito, i cittadini della Pianura padana sembrano consapevoli dell’elevata presenza di inquinamento nell’aria che respirano ma sembrano poco disposti ad agire per limitare i rischi. Dopo aver coinvolto oltre 7mila residenti nell’area, il progetto europeo Life Prepair documenta infatti sia una percezione errata nel merito (che la qualità dell’aria sia in peggioramento, anche se i dati reali ci dicono che le emissioni dei principali inquinanti sono in diminuzione, nonostante le numerose vittime ancora collegate) sia una scarsa propensione a far fronte ai rischi collegati: i cittadini individuano infatti come prioritario intervenire su processi e prodotti industriali e solo nell’11,1% dei casi considerino rilevante attuare limitazioni al traffico, nonostante la corretta percezione dell’impatto dei trasporti come primaria causa di inquinamento (59,8%).

L’inquinamento dunque non fa paura, e anche quando la fa, si individuano i colpevoli sbagliati. Un’amara constatazione che richiama (anche) la responsabilità dei media a ridurre la distanza tra rischi reali e percepiti, in modo mettere in campo un’azione davvero efficace contro i pericoli da affrontare per la nostra salute e per quella del pianeta.

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