Le attività umane favoriscono le malattie trasmesse da animali (zoonosi)

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Le attività umane favoriscono le malattie trasmesse da animali (zoonosi)

Convertire gli habitat naturali in terreni agricoli o aree urbane sta favorendo le specie di roditori, pipistrelli e uccelli che fanno da serbatoio per le malattie infettive trasmissibili agli esseri umani. Lo conferma una nuova ampia e rigorosa analisi che riporta l’attenzione sulla necessità di un’attenta gestione dei territori
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Le zoonosi, le malattia infettive che passano dagli animali agli esseri umani, sono un concetto divenuto purtroppo familiare anche ai non addetti ai lavori poiché una di esse è all’origine dell’attuale pandemia di COVID-19. Un nuovo studio pubblicato su “Nature” da Kate Jones dello University College di Londra e colleghi, riferisce ora che si verificano con maggiore probabilità negli ecosistemi gestiti dall’uomo che negli habitat selvatici a causa delle crescenti opportunità di contatto tra le persone e i potenziali ospiti, cioè le specie che fanno da serbatoio naturale delle malattie.

Lo studio conferma in modo quantitativo e rigoroso un’ipotesi già ampiamente condivisa tra gli ecologi, e cioè che il cambiamento di destinazione d’uso di un terreno – per esempio, la conversione di habitat naturali in terreni agricoli o in paesaggio urbano – influenza il rischio e l’emergere di malattie zoonotiche.

Alcuni vertebrati, tipicamente quelli di grandi dimensioni, sono fortemente dipendenti dal loro habitat, e tendono a scomparire quando le attività umane lo limitano o lo distruggono. Ma altri animali, più piccoli, numerosi sia come specie sia come popolazioni e con una vita molto breve, trovano condizioni più favorevoli in prossimità delle attività umane. E sono proprio questi  – roditori, pipistrelli e uccelli – a fare da veicolo per le malattie zoonotiche nella maggior parte dei casi.

Per stimare l’influenza dell’alterazione degli habitat nello sviluppo delle zoonosi, Jones e colleghi hanno considerato il database del progetto PREDICTS, che contiene 3,2 milioni di dati registrati in 666 studi in cui sono stati censite popolazioni di animali in rapporto all’uso dei terreni in tutto il mondo.

Sono così riusciti ad analizzare ben 6801 sistemi ecologici e 376 specie ospiti, dimostrando che lo sfruttamento dei terreni ha effetti globali e sistematici sulle comunità faunistiche locali: negli ecosistemi gestiti dagli esseri umani ci sono più specie e un numero maggiore di ospiti zoonotici noti rispetto agli habitat rimasti intatti. L’effetto è particolarmente evidente per roditori, pipistrelli e uccelli passeriformi, il che può aiutare a spiegare la loro importanza come serbatoi d’infezione.

Il risultato sottolinea la necessità di misure di conservazione ambientale. “Il cambiamento globale dell’uso del suolo è caratterizzato principalmente dalla conversione dei paesaggi naturali per l’agricoltura, in particolare per la produzione di cibo: i nostri risultati sottolineano la necessità di gestire i paesaggi agricoli in modo da proteggere la salute della popolazione locale e garantire al tempo stesso la sicurezza alimentare”, ha commentato Jones. “Poiché si prevede che i terreni agricoli e urbani continueranno ad espandersi nei prossimi decenni, dovremmo rafforzare la sorveglianza delle malattie e l’assistenza sanitaria in quelle aree che stanno subendo molte alterazioni del territorio, poiché è sempre più probabile che vi siano animali che potrebbero ospitare agenti patogeni dannosi”.

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