Il disastro climatico annunciato della diga dell’Uttarakhand: dal 1970 quadruplicate le inondazioni estreme

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Il disastro climatico annunciato della diga dell’Uttarakhand: dal 1970 quadruplicate le inondazioni estreme

L’85% dei distretti dell’Uttarakhand sono vulnerabili a eventi estremi. Una situazione sempre più diffusa nelle montagne di tutto il mondo
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Mentre nello Stato indiano himalayano dell’Uttarakhand prosegue quella che ormai è solo la ricerca dei corpi delle vittime (probabilmente circa 200) causate dal crollo di una parte del ghiacciaio Nanda Devi che il 7 febbraio ha causato  una massiccia inondazione nel fiume Rishi Ganga/Dhauliganga che ha travolto due dighe, viene fuori che non solo si tratta di una tragedia annunciata ma che qualcuno – non solo gli abitanti dei villaggi lungo il fiume – aveva lanciato un pressante allarme inascoltato.

Infatti, secondo il rapporto “Preparing India for Extreme Climate – Mapping Hotspots and Response Mechanisms” pubblicato nel dicembre 2020 dal Council on Energy, Environment and Water (CEEW),  «Oltre l’85% dei distretti dell’Uttarakhand, che ospitano oltre 9 milioni di persone, sono hot spot di inondazioni estreme e degli eventi loro associati. Dal 1970, la frequenza e l’intensità degli eventi di inondazione estremi nell’Uttarakhand sono quadruplicati. Allo stesso modo, anche gli eventi di inondazione associati come frane, bombe d’acqua,  esplosioni di laghi glaciali, ecc. Sono aumentati di 4 volte durante questo periodo, causando enormi perdite e danni. I distretti statali di Chamoli, Haridwar, Nainital, Pithoragarh e Uttarkashi sono i più vulnerabili alle inondazioni estreme». E l’ultima tragedia si è verificata proprio nel distretto di Chamoli.

Abinash Mohanty, responsabile programmi del CEEW, ha sottolineato che «La recente devastante alluvione improvvisa nell’Uttarakhand è un’ulteriore prova che la crisi climatica non può più essere ignorata. Negli ultimi 20 anni, l’Uttarakhand ha perso più di 50.000 ettari di copertura forestale, portando a cambiamenti microclimatici nella regione. Ciò a sua volta ha innescato un aumento degli eventi climatici estremi nello Stato. Un focus sul ripristino delle foreste basato sull’uso del suolo potrebbe non solo invertire lo squilibrio climatico, ma anche contribuire a promuovere il turismo sostenibile nello Stato. Altrettanto importante sarebbe l’impermeabilità climatica di infrastrutture, investimenti e politiche. Questa non è più un’opzione, ma piuttosto è un imperativo nazionale per affrontare tali eventi estremi e garantire perdite e danni minimi».

L’amministratore delegato del CEEW, Arunabha Ghosh, ha aggiunto: «La tragedia nell’Uttarakhand ribadisce la necessità di fare valutazioni dettagliate del rischio climatico a livello distrettuale e di potenziare le capacità di adattamento e resilienza ai vari livelli amministrativi. Inoltre, dato che le comunità vulnerabili sono spesso le più colpite dagli eventi climatici estremi, devono essere rese parte integrante della pianificazione della valutazione del rischio. Infine, con la crescente frequenza degli eventi climatici estremi, l’India deve sviluppare con urgenza un sistema di sorveglianza e gestione digitale delle emergenze in tempo reale a livello nazionale, ma decentralizzato e strutturato. In conclusione, non possiamo continuare con la follia di un modello di sviluppo business-as-usual. Questo sta costando vite umane, mezzi di sussistenza e miliardi di danni alle infrastrutture».

Secondo un rapporto pubblicato nel 2020 dal ministero delle scienze della terra dell’India, durante il periodo 1951-2014, l’Hindu Kush -Himalaya ha registrato un aumento della temperatura di circa 1,3° C che nell’Uttarakhan ha portato a micro-cambiamenti climatici e un ritiro dei ghiacciai più rapido, innescando frequenti e ricorrenti inondazioni improvvise. Lo stesso rapporto avvertiva che nei prossimi anni, questo potrebbe anche avere un impatto su 32 importanti progetti infrastrutturali in corso nello Stato. Ed è proprio quello che è successo alla diga del Rishiganga Hydroelectric Project.

Già nel 2015 il  CEEW e altri partner internazionali, in una valutazione del rischio climatico aveva indicato un aumento di 6 volte della frequenza delle inondazioni nel bacino del Gange, nel corso di questo secolo se il livello di emissioni di gas serra resterà elevato. Un altro studio CEEW pubblicato nel 2020 aveva rilevato che il 75% dei distretti e metà della popolazione indiana sono vulnerabili a eventi climatici estremi.

Quindi, l’alluvione mortale nel nord dell’India non è stato un incidente isolato, come si è affrettato a far credere i governo della destra induista indiano, ma il risultato di una politica infrastrutturale sciagurata in una delle aree più fragili di un pianeta in rapido riscaldamento. E scienziati ed esperti avvertono che, a meno che non vengano prese misure drastiche per rallentare il cambiamento climatico, quanto successo nell’ Uttarakhand. È solo l’esempio di quello che accadrà nell’area himalayana.

Anche l’United Nations environment programme (Unep) sottlolinea che «I dati suggeriscono che, nei prossimi anni, il riscaldamento globale farà sì che le temperature delle montagne aumentino due volte più velocemente della media globale», facendo scomparire i ghiacciai e mettendo in pericolo le comunità che vivono nell’Himalaya e a valle.

Matthias Jurek, esperto di ecosistemi montani dell’Unep, conferma: «I ghiacciai di tutto il mondo sono sotto assedio. A meno che non possiamo limitare il riscaldamento globale, sostenere il monitoraggio, il preallarme e le misure di adattamento, disastri come quello in Uttarakhand, purtroppo, diventeranno più comuni».

Uno dei partner chiave dell’Unep in Asia è l’International Centre for Integrated Mountain Development (ICIMOD), che, tra le altre cose, monitora la copertura di ghiaccio e i laghi glaciali dell’Hindukush-Himalaya.

All’ICIMOD spiegano che «In regioni come l’Himalaya, il problema dell’aumento delle temperature è triplice: porta allo scioglimento dei ghiacciai di montagna, il che può provocare alluvioni. Diminuisce anche la copertura glaciale, il che porta a una riduzione della disponibilità a lungo termine di acqua per le persone, l’agricoltura e l’energia idroelettrica. Infine, man mano che la copertura del ghiacciaio diminuisce e l’area viene sostituita da acqua o terra, diminuisce anche l’albedo,  la quantità di luce che viene riflessa senza essere assorbita su una superficie. Ciò potrebbe far aumentare l’energia solare assorbita, portando a un maggiore riscaldamento».

I ghiacciai sono spesso indicati come le “torri d’acqua” del mondo, e metà delle popolazione mondiale dipende dalle montagne per soddisfare il proprio fabbisogno idrico. Il solo altopiano tibetano è la sorgente di 10 dei più grandi fiumi asiatici e fornisce acqua a 1,35 miliardi di persone, ovvero il 20% della popolazione mondiale.

Il World Glacier Monitoring Service, che lavora a stretto contatto con l’Unep, monitora il cambiamento glaciale globale e i sui dati dimostrano che «Negli anni ’60 i ghiacciai erano in gran parte in uno stato stazionario ma dagli anni ’70 la perdita glaciale è aumentata rapidamente, quasi raddoppiando ogni decennio fino ad oggi. Questa perdita di ghiaccio non lascia dubbi sul fatto che il cambiamento climatico sia in corso».

Nell’ambito del programma Adaptation at Altitude finanziato dall’Agenzia svizzera per lo sviluppo e la cooperazione, l’Unep e i suoi partner stanno lavorando a soluzioni innovative per adattarsi a un pianeta in via di riscaldamento e Jessica Troni, a capo della Climate Change Adaptation Unit dell’Unep, sottolinea che «Negli ecosistemi montani, i nostri  progetti di adattamento basati sull’ecosistema stanno ripristinando foreste e arbusti sui pendii delle montagne, il che aiuta a  prevenire sia le inondazioni che le frane  tenendo insieme il suolo e regolando il flusso del deflusso delle acque superficiali».

Anche se i progetti di adattamento basati sull’ecosistema non possano fermare lo scioglimento dei ghiacciai, possono però ridurre in modo significativo i suoi impatti disastrosi e aiutare le comunità montane ad adattarsi a un clima più caldo, ad esempio promuovendo colture resistenti alla siccità.

Ma non è solo lo scioglimento dei ghiacciai a causare frane e inondazioni nelle regioni montuose. L’Unep fa l’esempio del Nepal, dove «L’aumento delle piogge monsoniche e la diminuzione delle piogge invernali, conseguenza dei cambiamenti climatici, hanno portato a perdite di raccolto dovute a siccità e inondazioni, mettendo le comunità a rischio di insicurezza alimentare». Il progetto come EbA South  sostenuto dall’Unep sta lavorando per combattere gli impatti delle piogge fuori stagione e ha già piantato oltre 840.000 alberi che, grazie anche al loro apparato radicale, agiscono come spugne, assorbendo l’acqua durante le piogge intense e conservandola nei periodi di siccità.

Jurek  conclude: «Con l’aumento del riscaldamento globale, è probabile che le perdite dei raccolti e le tragedie come quella nell’Uttarakhand diventino più frequenti, rendendo il lavoro dell’Unep e dei suoi partner sull’adattamento basato sull’ecosistema ancora più importante per costruire la resilienza delle comunità montane ai cambiamenti climatici».

Ma è esattamente quello che l’India non sta facendo nell’Himalaya continuando a costruire dighe e scacciando gli abitanti dei villaggi.

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