L’eruzione del Geldingadalir eldingadalur: una finestra incandescente sulla comparsa della vita

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L’eruzione del Geldingadalir: una finestra incandescente sulla comparsa della vita

In Islanda una singolare eruzione nata da una fessura nel terreno sta portando alla nascita di un nuovo vulcano. Il meccanismo di formazione e il magma fluido che sgorga attirano l’attenzione dei vulcanologi, ma anche di biologi, interessati alla colonizzazione microbica del nuovo suolo, e di planetologi che notano una somiglianza con le antiche condizioni geologiche del Pianeta Rosso
di Robin George Andrews/QuantaMagazine
www.lescienze.it

Dopo 15 mesi di terremoti sempre più intensi e dirompenti, sulla penisola islandese di Reykjanes la pressione si è finalmente allentata: il 19 marzo la lava ha eruttato dalla superficie della valle disabitata di Geldingadalir. È la prima volta in 800 anni che questa striscia di terra nel sud ovest dell’isola subisce lo schianto di un’eruzione.

I vulcanologi non stanno nella pelle, ma lo spettacolo non è solo un’opportunità per esplorare l’incandescente realtà sotterranea dell’Islanda. È anche una finestra su un mondo completamente diverso. “A mio parere l’eruzione offre una fantastica analogia con Marte”, sostiene Christopher Hamilton, planetologo all’Università dell’Arizona.

Sappiamo che Marte è un pianeta vulcanico. Gli immensi vulcani delle sue prime ere geologiche ne hanno deformato la superficie, e vi fu un momento in cui innalzarono la temperatura del pianeta di 20 gradi. La formazione di nuovi vulcani rallentò gradatamente, ma Marte ha continuato a produrre piccoli vulcani e a emettere lava per gran parte della sua storia. Può darsi perfino che sia vulcanicamente attiva ancora oggi, con il magma che gorgoglia sottoterra e forse si prepara a erompere.

L’eruzione nella valle di Geldingadalur rilascia circa 5,5 metri cubici di lava al secondo (© Christopher Hamilton)

Ma la verità è che ancora non comprendiamo appieno origini, evoluzione e comportamento del vulcanismo marziano, e questo è uno dei motivi per cui i ricercatori sono così emozionati dall’idea di usare l’eruzione di Geldingadalur come analogia.

Nel corso della sua storia, mentre si formavano enormi province vulcaniche e il pianeta si raffreddava e restringeva, alcune zone della superficie di Marte sono finite una contro l’altra, e altre si sono separate. Nei punti in cui la crosta si apriva, il magma erompeva dalle fessure. Anche l’eruzione di Geldingadalur è nata da una fessura. Nelle ultime due settimane la lava è emersa ribollendo a tasso costante da un cono di forma insolita, e ha ricoperto piano piano la valle. Come spesso accade in questo tipo di eruzioni, il 5 aprile una seconda fessura si è formata appena a nord della prima, con le sue fontane e i suoi fiumi, e forse ne seguiranno altre.

Christopher Hamilton, planetologo all’Università dell’Arizona, usa uno strumento di rilevazione laser per misurare i flussi di lava (© Christopher Hamilton)

Questo scoppio in miniatura è stato reso possibile dalla posizione della penisola: si trova proprio sopra la dorsale medio-atlantica, quel rift vulcanico che allontana le Americhe da Europa e Africa. Di solito questa separazione tettonica avviene alla velocità con cui crescono le unghie, ma le furibonde scosse tettoniche che hanno preceduto l’eruzione fanno pensare che abbia subìto un’accelerazione temporanea, che ha permesso al magma di risalire nei vuoti creatisi all’interno della sottile crosta.

Se il condotto al magma sottostante resterà aperto, l’eruzione di Geldingadalur potrebbe portare alla formazione di un piccolo vulcano a scudo (un cumulo magmatico molto largo con una pendenza molto bassa). Secondo Hamilton, una struttura di questo tipo sarebbe confrontabile con quelle presenti su Marte, e permetterebbe agli scienziati di assistere in tempo reale alla sua formazione sulla Terra.

Un’altra somiglianza con Marte è nella presenza di basalto, un magma con viscosità simile a quella del miele. Il basalto è comune a moltissime eruzioni, ma quello di Geldingadalur ha una consistenza particolarmente liquida, e attraversa la crosta partendo direttamente dal mantello. “Non ristagna molto a lungo nel suo percorso verso la superficie” afferma Tracy Gregg, vulcanologa all’Università di Buffalo. “Si è formato, e sapeva già dove andare e cosa fare.”

Anche le eruzioni su Marte consistevano spesso in un basalto estremamente fluido. Si pensa perciò che alcuni suoi vulcani avessero un sistema di condotti simile a quello islandese. Ma la correlazione tra Marte e Islanda forse più interessante è l’influenza che l’attività vulcanica può avere sulla biologia.

Molte eruzioni marziane sono state caratterizzate dall’incontro tra magma e ghiaccio. E quale posto migliore dell’Islanda per chi vuole studiare questa combinazione? “L’Islanda è un luogo incredibile, uno dei migliori equivalenti di Marte sul nostro pianeta”, afferma Arola Moreras Marti, ricercatrice all’Università di St. Andrews, che si occupa di tracce biologiche su Marte. L’ampio ghiacciaio islandese di Vatnajökull, per esempio, si estende sulla sommità di un certo numero di vulcani. Il magma al loro interno alimenta diverse pozze idrotermali in superficie, dove Moreras Marti va a caccia dei microrganismi, secondo le sue parole, “più incredibili che ci siano”.

Quando il magma dell’eruzione di Geldingadalur raggiunge le falde acquifere crea nuove sorgenti idrotermali in superficie, ma anche pozze e rivoli bollenti sotterranei. È proprio ciò che accadeva in passato (e forse ancora oggi) su Marte, quando il magma fondeva le rocce rilasciando idrogeno, anidride carbonica, metano, ferro, solfati e altri composti utili alla sopravvivenza dei microrganismi. Anche nell’intriso sottosuolo di Geldingadalur stanno scorrendo questi materiali, e creano squilibri su cui prosperano i microrganismi. Il magma è decisamente letale per noi, ma secondo Moreras Marti i microrganismi al di sotto di Geldingadalur “se la stanno spassando”.

La penisola di Reykjanes è accessibile solo a piedi o con speciali fuoristrada usati dai ricercatori per trasportare le apposite apparecchiature (© Christopher Hamilton)

La superficie di Marte è ormai da lungo tempo un deserto irradiato e inadatto alla vita. Ma ciò che avviene oggi a Geldingadalur è avvenuto, e forse avviene ancora, su Marte. Ogni volta che negli ultimi 4,5 miliardi di anni la roccia incandescente ha incontrato l’acqua, è spuntata una rete idrotermale. Essendo protetti dalle radiazioni letali che bombardano la superficie, questi rifugi nel sottosuolo costituiscono ambienti relativamente abitabili.

Marte inoltre era molto più umido nelle sue prime fasi, con un’atmosfera più spessa che bloccava le radiazioni. È possibile che in passato la sua superficie abbia ospitato microrganismi. Correnti di lava sterilizzanti estinguevano periodicamente queste forme di vita – proprio ciò che sta avvenendo a Geldingadalur: la lava uccide i microbi già presenti nel suolo. Nei prossimi mesi e anni, dalle ceneri di questo ecosistema ne nascerà uno completamente nuovo.

È questa una delle ragioni che hanno spinto Hamilton sulla penisola. Quando i segnali di un’eruzione si sono moltiplicati, Hamilton e i suoi colleghi si sono messi all’opera. “Appena abbiamo osservato i primi sciami sismici siamo venuti a campionare le diverse aree per farci un’idea dell’ecologia microbica di base.”

Hamilton e altri studiosi continueranno a prelevare campioni di microrganismi dal suolo e anche dall’aria, perché i microbi invasori potrebbero preferire il volo al nuoto. (I campioni andranno prelevati anche dagli stivali, aggiunge Hamilton, per individuare eventuali intrusi, un problema tutto terrestre, che di certo non si verifica su Marte.)

I ricercatori preleveranno campioni anche dalla lava: a poche settimane dall’eruzione islandese di Eyjafjallajökull, nel 2010, gli scienziati avevano scoperto che i microrganismi avevano colonizzato non solo il terreno circostante, ma perfino i nuovi flussi di lava. “La lava era ancora calda” ha spiegato Mario Toubes-Rodrigo, microbiologo alla Open University, che ricorda l’estrema cautela degli scienziati in quell’occasione. “Mi sembra che un paio di stivali si fusero…”

L’aspetto forse più importante è che i ricercatori riusciranno a tracciare l’evoluzione di un ecosistema sotterraneo fin dalla prima comparsa del nuovo habitat. Per questo motivo, il tumulto nel sottosuolo di Geldingadalur è un’immagine biologica rara e quasi ideale di ciò che forse è successo un tempo su Marte, e, chissà, magari succede ancora.

L’eruzione potrebbe smorzarsi nei prossimi giorni o settimane, o al contrario continuare per anni e addirittura decenni, come avvenne per l’eruzione del cono vulcanico Pu’u ‘O’o sui fianchi del vulcano Kilauea nelle Hawaii, durata 35 anni. In questo caso il sito diventerebbe un punto d’attrazione per planetologi e astrobiologi da tutto il mondo: un laboratorio naturale sicuro e facilmente accessibile in cui comprendere meglio due pianeti al prezzo di una sola eruzione.

C’è però una differenza cruciale: la scala degli eventi. I flussi di lava su Marte erano spaventosamente imponenti: spesso si produceva una quantità di lava sufficiente a ricoprire nel giro di poche settimane una massa continentale delle dimensioni del Regno Unito.

L’eruzione di Geldingadalur è quindi, secondo Tobias Dürig, vulcanologo all’Università d’Islanda, il “modellino di un campo lavico”, un’eruzione marziana in miniatura. A ben vedere, forse è meglio così.

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(L’originale di questo articolo è stato pubblicato il 6 aprile 2021 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione di Antonio Casto, editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

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