Stelle solitarie in viaggio (quasi) alla velocità della luce

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Stelle solitarie in viaggio (quasi) alla velocità della luce

Le forze gravitazionali in gioco nella fusione di due galassie possono scagliare alcune stelle nello spazio più profondo a velocità prossime a quella della luce, e la stessa sorte può capitare anche a stelle che orbitano in prossimità di buchi neri supermassicci. Sarà compito di nuovi e potenti telescopi a disposizione degli astronomi indentificarne sempre di più
di Avi Loeb/Scientific American
www.lescienze.it

L’universo è carico di particelle elementari, ma forse non tutti sanno che è anche pieno di stelle che vagano liberamente nello spazio a velocità incredibili, come barracuda nell’oceano. Sono espulse da fionde gravitazionali che si formano nel punto focale di fusioni galattiche – dove cioè coppie di buchi neri supermassicci posti al centro di queste galassie si uniscono e scagliano stelle dalla galassia ospite, come fa un battitore con una serie di fuoricampo. Via via che la coppia in fusione si serra, la sua velocità orbitale aumenta, e può fornire una spinta sempre più potente.

Prima o poi questo processo lancia una o più stelle a velocità prossime a quella della luce, in accordo con la teoria della relatività speciale di Albert Einstein. In questo caso gli astrofisici parlano di “stelle relativistiche”.

Nel 2014 io e il post-dottorando James Guillochon abbiamo valutato la quantità di stelle relativistiche nello spazio intergalattico, e le difficoltà insite nell’individuarle a grandi distanze. Sarebbe senz’altro eccitante vivere su un pianeta che orbita attorno a una di queste stelle espulse, e assistere al suo viaggio nell’universo. L’itinerario comincia al centro della galassia madre, supera diversi punti di interesse e culmina nello spazio intergalattico, mentre nel corso di miliardi di anni passa accanto a oggetti cosmologici che possiamo a malapena intravedere con i nostri telescopi.

Le stelle relativistiche sarebbero il pacchetto vacanze perfetto per un’ipotetica agenzia turistica spaziale. Sono perfino salutari: andare a velocità prossime a quelle della luce garantisce la dilatazione temporale come vantaggio extra, rallentando i processi di invecchiamento naturale dei viaggiatori rispetto a tutti coloro che si sono lasciati alle spalle.

In assenza di fusioni galattiche, anche le stelle sottoposte all’intensa forza gravitazionale di un buco nero al centro di una galassia potrebbero raggiungere la velocità della luce. Metà del premio Nobel per la fisica del 2020 è stata assegnata a Reinhard Genzel e Andrea Ghez per il loro programma in grado di monitorare le stelle che viaggiano a una piccola percentuale della velocità della luce in prossimità di Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio della Via Lattea. Si ipotizza che anche molte altre galassie abbiano stelle relativistiche legate gravitazionalmente ai buchi neri al loro centro.

Se due stelle relativistiche in un nucleo galattico si scontrano, la collisione può produrre un’esplosione molto più potente di una tipica supernova (l’esplosione provocata dal collasso di una stella massiccia quando esaurisce il combustibile del suo nucleo). Affinché questo tipo di collisioni possa avvenire a velocità così elevate, il buco nero centrale deve pesare più di 100 milioni di masse solari.

Raffigurazione di posizione e traiettoria di 20 stelle iperveloci della Via Lattea, la nostra galassia, identificate dalla missione Gaia dell’Agenzia spaziale europea. Le stelle in arancione, provengono probabilmente da un’altra galassia, quelle in rosso sono in procinto di sfuggire dalla nostra (ESA/NASA/ESA/Hubble; fonte Marchetti et al. 2018)

Per masse inferiori (è il caso di Sagittarius A*, di “solo” quattro milioni di masse solari), l’intensa forza mareale del buco nero riduce a “spaghetti” le stelle in avvicinamento. Le stelle disgregate si disperdono in un flusso di gas molto prima di ritrovarsi a una distanza tale dall’orizzonte del buco nero da raggiungere la velocità della luce, come ha dimostrato il mio ex-studente Nick Stone nella sua tesi di dottorato.

Per masse più grandi e sull’orizzonte degli eventi, la marea gravitazione (inversamente proporzionale al quadrato della massa del buco nero) non è abbastanza intensa da disgregare la stella in transito. Le stelle che invece orbitano a distanze maggiori dal buco nero (indipendentemente dalla sua massa) si muovono a velocità minori, e producono collisioni più deboli, come ho mostrato in un articolo, in prestampa, in collaborazione con il mio ex-studente Doug Rubin e in un altro articolo di approfondimento (anch’esso in prestampa) con Shmuel Balberg e Re’em Sari, entrambi dell’Università ebraica di Gerusalemme.

Che cosa succede nelle vicinanze dei buchi neri più massicci, dove le stelle possono orbitare quasi alla velocità della luce senza che la forza mareale le disgreghi? In un nuovo articolo, la mia studentessa Betty Hu e io mostriamo che in questo caso le collisioni di stelle innescano le esplosioni più potenti dell’universo, capaci di rilasciare energia migliaia di volte superiore a quella di una tipica esplosione di supernova. La telecamera Legacy Survey of Space and Time (LSST) dell’Osservatorio “Vera C. Rubin”, che diventerà operativa nei prossimi due anni, dovrebbe riuscire a cogliere queste deflagrazioni superluminose nei nuclei galattici ai margini dell’universo.

Esiste anche un’altra possibilità per lanciare stelle ad altissima velocità dai centri galattici. Un sistema binario di stelle che si ritrovi nelle vicinanze di un buco nero supermassiccio può essere scisso dalla marea gravitazionale, che spingerà una delle due stelle verso il buco nero, espellendo l’altra ad alta velocità, secondo quanto previsto teoricamente da Jack Hills nel 1988. La spinta della prima stella potrebbe spiegare la genesi delle stelle più vicine a Sagittarius A*, scoperte da Genzel e Ghez.

Un buco nero supermassiccio può rompere un sistema stellare binario che orbiti nelle vicinanze, fagocitando una delle due stelle, che lascerà una scia luminosa di gas mentre spiraleggia verso di esso, e lanciando nello spazio per effetto fionda l’altra stella (© NASA/S. Gezari/The Johns Hopkins University, J. Guillochon /University of California, Santa Cruz)

L’espulsione delle loro compagne invece è l’origine probabile delle stelle iperveloci scoperte nel 2005 da Warren Brown e dai suoi collaboratori nell’aureola della Via Lattea. Le stelle iperveloci possono raggiungere velocità prossime al due per cento della velocità della luce, e portarsi dietro un sistema di pianeti che, liberati dal processo di espulsione, formeranno una popolazione di pianeti iperveloci, secondo quanto avevo teorizzato in un articolo del 2012 scritto in collaborazione con il mio ex-studente Idan Ginsburg.

A ben vedere, i nuclei galattici offrono un sito di lancio per le più veloci piattaforme abitabili che la natura possa offrire. Non sarebbe sorprendente se civiltà tecnologicamente avanzate scegliessero di trasferirsi più vicine al centro della propria galassia per le stesse ragioni per cui astronauti e spettatori si spostano a Cape Canaveral in Florida durante i lanci di razzi. Tenendo a mente questa possibilità, la ricerca di intelligenza extraterrestre non dovrebbe trascurare i segnali radio provenienti da eventuali passeggeri di stelle iperveloci. E chissà, potremmo perfino notare i fuochi d’artificio di festeggiamento dei loro parenti nel centro galattico ogni volta che una stella viene espulsa a grande velocità.

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