La storia del Monte Nuovo, l’ultima eruzione dei Campi Flegrei

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La storia del Monte Nuovo, l’ultima eruzione dei Campi Flegrei

di Giulia Francisconi, Micol Todesco e Cecilia Ciuccarelli
ingvvulcani.com

Quando un’eruzione vulcanica avviene in un’area densamente popolata, le conseguenze possono essere gravi, anche se si tratta di piccoli eventi. Una buona conoscenza dei fenomeni eruttivi e del loro impatto resta uno dei migliori strumenti che abbiamo per difenderci, consentendoci di elaborare strategie per mitigare gli effetti che questi eventi possono avere sulle nostre comunità. Per questo motivo, l’eruzione del Monte Nuovo del 1538, l’ultima avvenuta all’interno della caldera Flegrea e l’unica avvenuta in epoca storica, per la quale siano disponibili i racconti scritti dei testimoni, riveste un grande interesse nell’ambito degli studi vulcanologici. La ricostruzione di un’eruzione come questa può essere a più voci, basata su studi geologici, vulcanologici e petrologici e sull’analisi attenta di documenti e fonti storiche. Senza approfondire i principali aspetti vulcanologici, in questo articolo racconteremo le informazioni basate sui documenti storici.

La ricerca storica 

L’eruzione del Monte Nuovo è stata studiata nel dettaglio da un punto di vista geologico, ma per comprenderne meglio l’evoluzione, recentemente la ricerca storica ha messo in luce preziosi testi anche manoscritti mai studiati prima (Guidoboni e Ciuccarelli, 2011). Questi documenti consentono di integrare quello che per decenni era stato il contributo più significativo pubblicato nel 1944-45 da Antonio Parascandola. Professore di mineralogia e geologia presso l’Università di Napoli. Parascandola  aveva ricostruito l’eruzione di Monte Nuovo combinando i dati derivanti da alcune fonti storiche edite con quelli raccolti da analisi di terreno.

L’eruzione del 1538 suscitò grande curiosità e interesse tra i contemporanei ed è menzionata in moltissimi testi, a partire dalla metà del XVI secolo in poi, a causa dell’assoluta eccezionalità e imprevedibilità dell’evento, ma anche per l’unicità dell’area interessata: si tratta dei Campi Flegrei, una regione celebrata e frequentata con continuità sin dall’antichità per la bellezza dei luoghi e per il termalismo, che nel corso del medioevo si era sempre più specializzato con stabilimenti, ospedali e perfino l’affermazione di una vera e propria scuola medica a Pozzuoli. Documenti amministrativi istituzionali ed ecclesiastici, dispacci e lettere diplomatiche, lettere private, cronache, relazioni e avvisi a stampa in forma di lettera, trattati naturalistici, resoconti di viaggio sono le testimonianze emerse dalla ricerca storica in archivi e biblioteche.

L’evento fu visto e descritto da diversi punti di osservazione: Pozzuoli, Napoli, dall’area sottostante il nuovo cratere, o dal mare, come fece il genovese Ambrogio Curia, proprietario di una nave ormeggiata nel golfo di Pozzuoli.

La formazione culturale e la curiosità personale di chi descrisse l’evento portarono ognuno dei testimoni a porre l’attenzione su aspetti particolari. Ci fu chi – è il caso di due anonimi giovani, forse novizi di conventi napoletani – scrisse delle lettere già il giorno dopo l’evento e raccontò il momento dell’eruzione. Altri, come l’editore milanese Francesco Marchesino e il finanziere fiorentino Francesco Del Nero, cognato di Niccolò Machiavelli, momentaneamente a Napoli per motivi di lavoro, aspettarono qualche giorno e riferirono sia i preziosi racconti degli abitanti di Pozzuoli, che erano andati a mettersi in salvo in città, sia le loro personali osservazioni durante le escursioni vicino al nuovo cratere (figura 1).

Fig1_Letera de novi avisi
Figura 1 – Prima pagina della versione a stampa pubblicata anonima, della lettera scritta da Francesco del Nero, rarissima stampa conservata alla Bayerische Staats bibliothek di Monaco di Baviera.

Infine, alcuni eruditi e naturalisti, sempre testimoni diretti dell’evento, ragionarono più a lungo sull’eruzione, lasciandoci testimonianze più strutturate. A loro si devono interi trattati sull’eruzione, che inquadrano le osservazioni dell’evento all’interno delle teorie interpretative del tempo. Tra questi testimoni particolari, ricordiamo il medico e filosofo napoletano Simone Porzio (1497-1557), autore di tre testi sull’eruzione, che osservò i fenomeni e cercò di spiegarli con le concezioni aristoteliche; l’erudito ecclesiastico Marco Antonio Delli Falconi e il medico e trattatista spagnolo Pietro Giacomo da Toledo.

Lo studio approfondito di tutte queste fonti storiche, molte delle quali inedite, ha portato a rivedere con metodo critico lo svolgimento cronologico dei fenomeni, anche in riferimento agli eventi che hanno preceduto e seguito l’eruzione del 1538, le crisi sismiche e i movimenti bradisismici.

I fenomeni precursori

Quali fenomeni si verificarono in area flegrea negli anni precedenti l’eruzione? Una ricostruzione di quanto è avvenuto è possibile grazie a diverse testimonianze scritte nel corso di vari decenni. Queste fonti raccontano diversi fenomeni che ben si inquadrano nel contesto vulcanologico dell’area, come l’occorrenza di terremoti, l’incremento dell’attività fumarolica, o la deformazione del suolo.

Già a partire dal 1470 si verifica una crisi sismica che si protrae per un paio d’anni, con eventi in grado di causare danni agli edifici. Questa attività si accompagna ad un aumento delle emissioni gassose alla Solfatara, altro cratere dei Campi Flegrei, a causa delle quali la vegetazione viene danneggiata. La sofferenza della vegetazione, spontanea e coltivata, attorno al cratere della Solfatara è un’informazione interessante, che può indicare un’estensione dell’area esalante verso zone inizialmente libere dal gas.

Nei decenni successivi, il sollevamento del suolo è tale da fare emergere dal mare porzioni di territorio precedentemente sommerso: questo rende necessari ben due editti dei viceré di Napoli, nel 1503 e nel 1511, per l’attribuzione al demanio delle nuove terre su cui si estesero le attività antropiche della comunità di Pozzuoli. Negli anni precedenti a questi editti vengono poi segnalati diversi terremoti di intensità sufficiente a causare danni.

Nel biennio precedente l’eruzione l’attività sismica a Pozzuoli divenne progressivamente più frequente e l’intensità delle scosse crebbe con il passare del tempo, tanto che alla vigilia dell’eruzione moltissimi edifici della città erano gravemente danneggiati e tutti gli abitanti avevano da tempo abbandonato le loro case, circostanza che in seguito evitò vittime o ferimenti di persone. Le fonti testimoniano anche un ulteriore aumento delle emissioni gassose in Solfatara, senza però menzionare effetti sulla vegetazione.

Nel corso dell’estate del 1538, l’attività sismica si intensifica, interessando anche Napoli oltre che Pozzuoli. L’intensità aumenta in modo eccezionale negli ultimi dieci giorni prima dell’eruzione, quando le fonti riportano che il suolo si scuoteva continuamente e a Napoli venivano percepiti da 5 a 10 terremoti al giorno.

Poco più di 30 ore prima dell’eruzione, viene osservato un fenomeno descritto come il disseccamento del mare, fra il lago di Averno e il Monte Barbaro. Interpretato dai naturalisti dell’epoca come un “riassorbimento” del mare, il fenomeno si può verosimilmente imputare ad un sollevamento di un tratto del fondale marino ad alcune decine di metri dalla costa, associato a una sismicità intensissima (figura 2).

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Figura 2 – Il Monte Nuovo rappresentato nel frontespizio del testo di Marco Antonio delli Falconi, dedicato all’eruzione. È evidente la scritta Termine del mare de prima a indicare dove si trovava la linea di costa prima dell’evento.

La deformazione del suolo lascia all’asciutto, su fondale emerso, una grande quantità di pesci, che alcuni abitanti di Pozzuoli andarono a vendere nei mercati di Napoli. Le cause esatte di questa moria di pesci non sono note. Si può ipotizzare che la rapidità del sollevamento abbia intrappolato i pesci fuori dall’acqua; oppure che la morte sia stata dovuta alla presenza di gas vulcanici che, filtrando attraverso il fondo del mare, potrebbero aver alterato le condizioni dell’acqua.
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