Il magnetismo é l’ingrediente segreto della formazione planetaria

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Il magnetismo é l’ingrediente segreto della formazione planetaria

Da molto tempo i planetologi cercano di spiegare la formazione dei pianeti più comuni nel cosmo considerando, nei loro modelli, la gravità come unico parametro importante. Ora però una nuova simulazione, condotta con il supercomputer più potente d’Europa, mostra che l’ingrediente mancante potrebbe essere il magnetismo
di Robin George Andrews/Quanta Magazine
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Ci piace pensare a noi stessi come unici. Questa presunzione può essere vera anche quando si tratta del nostro vicinato cosmico: nonostante il fatto che i pianeti tra le dimensioni della Terra e Nettuno sembrano essere i più comuni nel cosmo, nel sistema solare non si trovano pianeti di massa intermedia.

Il problema è che le nostre migliori teorie sulla formazione dei pianeti – plasmate sugli schemi di quello che osserviamo nel nostro cortile – non sono state sufficienti a spiegare veramente come essi si formano. Un nuovo studio, tuttavia, pubblicato su “Nature Astronomy”, dimostra che prendendo in considerazione il magnetismo, gli astronomi potrebbero essere in grado di spiegare la sorprendente diversità dei pianeti che orbitano attorno a stelle aliene.

È troppo presto per dire se il magnetismo sia l’ingrediente chiave mancante nei nostri modelli di formazione dei pianeti, ma il recente lavoro è comunque “un nuovo risultato molto affascinante”, ha dichiarato Anders Johansen, planetologo dell’Università di Copenhagen, non coinvolto nello studio.

Fino a poco tempo fa, a dominare la scena era la gravità. Nella teoria più comunemente citata su come si formano i pianeti, nota come accrescimento del nucleo, rocce pesanti che orbitano attorno a un giovane Sole si scontrano violentemente più e più volte, attaccandosi l’una all’altra e diventando più grandi nel tempo. Alla fine creano oggetti con abbastanza gravità da raccogliere sempre più materiale, diventando prima un piccolo planetesimo, poi un protopianeta più grande, poi forse un pianeta vero e proprio.

Eppure la gravità non agisce da sola. La stella emette costantemente radiazioni e venti che spingono il materiale verso lo spazio. I materiali rocciosi sono più difficili da espellere, quindi si fondono in pianeti rocciosi vicino al Sole. Ma la radiazione spinge elementi e composti più facilmente vaporizzabili – vari ghiacci, idrogeno, elio e altri elementi leggeri – verso le lontane frontiere del sistema stellare, dove formano giganti gassosi, come Giove e Saturno, e giganti di ghiaccio, come Urano e Nettuno.

Ma un problema chiave con questa idea è che, per la maggior parte degli aspiranti sistemi planetari, i venti rovinano la festa. La polvere e il gas necessari per creare un gigante gassoso sono spazzati via più velocemente di quanto un mondo pesante e gassoso possa formarsi. Nel giro di pochi milioni di anni, questa materia o cade nella stella ospite o viene spinta dai venti stellari nello spazio profondo e inaccessibile.

Da qualche tempo, gli scienziati sospettano che anche il magnetismo possa avere un ruolo. Quello che fanno i campi magnetici, in particolare, è rimasto poco chiaro, in parte a causa della difficoltà di includere i campi magnetici accanto alla gravità nei modelli al computer usati per studiare la formazione dei pianeti. In astronomia, ha detto Meredith MacGregor, astronoma dell’Università del Colorado, Boulder, c’è un ritornello comune: “Non consideriamo i campi magnetici, perché sono difficili”.

Eppure i campi magnetici sono comuni attorno ai planetesimi e ai protopianeti, provenienti dalla stella stessa o dal movimento di gas e polvere spazzati via dalla luce delle stelle. In termini generali, gli astronomi sanno che i campi magnetici possono essere in grado di proteggere i pianeti nascenti dal vento di una stella, o forse rimescolare il disco e spostare il materiale planetario. “Sappiamo da molto tempo che i campi magnetici possono essere usati come scudo ma anche come elemento di disturbo”, ha detto Zoë Leinhardt, una scienziata planetaria dell’Università di Bristol, non coinvolta nel lavoro. Ma i dettagli sono scarsi, e la fisica dei campi magnetici a questa scala è poco compresa.

“È già abbastanza difficile modellizzare la gravità di questi dischi con una risoluzione abbastanza alta e capire che cosa sta succedendo”, ha dichiarato Ravit Helled, planetologa dell’Università di Zurigo. L’aggiunta di campi magnetici è una sfida decisamente più ardua.

Nel nuovo lavoro, Helled, insieme al suo collega di Zurigo Lucio Mayer e Hongping Deng dell’Università di Cambridge, ha utilizzato il supercomputer Piz Daint, il più potente d’Europa, per eseguire simulazioni ad altissima risoluzione che incorporano campi magnetici insieme alla gravità.

Il magnetismo sembra avere tre effetti chiave. Innanzitutto, i campi magnetici proteggono certi ammassi di gas – quelli che possono crescere fino a diventare piccoli pianeti – dall’influenza distruttiva della radiazione stellare. Inoltre, questi bozzoli magnetici rallentano anche la crescita di quelli che sarebbero diventati pianeti supermassicci. La pressione magnetica che spinge verso lo spazio “ferma il collasso di nuova materia – ha detto Mayer – forse non completamente, ma la riduce molto”.

Il terzo effetto apparente è sia distruttivo sia creativo. I campi magnetici possono rimescolare il gas. In alcuni casi, questa influenza disintegra gli ammassi protoplanetari. In altri, spinge il gas più vicino l’uno all’altro, il che incoraggia l’aggregazione.

Considerate insieme, queste influenze sembrano portare a un maggior numero di mondi più piccoli e a un minor numero di giganti. E mentre queste simulazioni hanno esaminato solo la formazione di mondi gassosi, in realtà questi mondi prototipici possono accogliere anche materiale solido, forse diventando così mondi rocciosi.

Complessivamente, queste simulazioni suggeriscono che il magnetismo può essere in parte responsabile dell’abbondanza di esopianeti di massa intermedia là fuori, che si tratti di piccoli Nettuno o di grandi Terre.

“Mi piacciono i loro risultati; penso che siano promettenti”, ha affermato Leinhardt. Ma anche se i ricercatori avevano un supercomputer dalla loro parte, la risoluzione dei singoli mondi rimane sfumata. In questa fase, non possiamo essere totalmente sicuri di quello che sta accadendo con i campi magnetici su scala protoplanetaria. “Si tratta più di una prova di concetto, che possono fare questo, possono mettere insieme la gravità e i campi magnetici per fare qualcosa di molto interessante che non ho visto prima.”

I ricercatori non sostengono che il magnetismo sia l’arbitro del destino di tutti i mondi. Ma piuttosto che sia solo un altro ingrediente nel potpourri della formazione dei pianeti. In alcuni casi, può essere importante; in altri, non così tanto. Il che ha un senso, se si considerano i miliardi e miliardi di pianeti singoli là fuori solo nella nostra galassia. “Questo è ciò che rende questo settore così eccitante e vivace”, ha concluso Helled: “Non c’è mai, né ci sarà mai, una mancanza di curiosità astronomiche da esplorare e capire”.

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