L’ossigeno può ingannare nella ricerca di vita extraterrestre

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L’ossigeno può ingannare nella ricerca di vita extraterrestre

È considerato una delle firme biologiche più promettenti per forme di vita aliene, ma c’è il rischio di trovare falsi positivi
di Amedeo Balbi
www.lescienze.it

Se vogliamo cercare la vita fuori dalla Terra, una delle cose da capire è se esistano indizi affidabili che possano dirci se un mondo è abitato osservandolo da lontano. Nei prossimi decenni, nuovi telescopi riusciranno a scrutare l’atmosfera di pianeti rocciosi in orbita intorno ad altre stelle, permettendo di stabilirne la composizione chimica. Sarà cruciale, quindi, identificare «firme biologiche» (o biosignatures, in inglese), ovvero elementi o molecole che possano essere collegati in modo diretto all’attività di organismi viventi.

Usando il nostro pianeta come guida, astrofisici e astrobiologi hanno da tempo messo in cima alla lista delle firme biologiche più promettenti l’ossigeno. Nell’atmosfera terrestre, come si sa, l’ossigeno molecolare è molto abbondante, principalmente a causa dell’attività fotosintetica di piante e batteri. Dunque, la sua presenza nell’atmosfera di un altro pianeta potrebbe essere la prova che anche da quelle parti la vita ha trovato il modo di sfruttare la luce a suo vantaggio. A rendere la faccenda allettante c’è anche il fatto che l’ossigeno atmosferico è facilmente identificabile tramite osservazioni astronomiche.

Tre scenari di accumulo

 Tutto molto incoraggiante, ma bisogna stare attenti a non prendere lucciole per lanterne. C’è infatti il problema dei «falsi positivi», ovvero processi non biologici in grado di rilasciare ossigeno nell’atmosfera, dando l’illusione di aver scoperto un mondo abitato anche quando non è vero.
Il problema è stato recentemente esplorato in uno studio, guidato da Joshua Krissansen-Totton, del Dipartimento di astronomia e astrofisica dell’Università della California a Santa Cruz, e colleghi, pubblicato sulla rivista “AGU Advances”. Il gruppo ha mostrato che anche un pianeta roccioso privo di vita, in orbita attorno a una stella simile al Sole, può avere abbastanza ossigeno nell’atmosfera da essere confuso per un gemello della Terra.

Un processo ben noto, in grado di rilasciare ossigeno libero anche in assenza di attività biologica, è la fotodissociazione di molecole di acqua causata dalla radiazione ultravioletta negli strati più alti dell’atmosfera. Krissansen-Totton e colleghi hanno usato modelli realistici dell’evoluzione di un pianeta roccioso nei miliardi di anni successivi alla sua formazione, identificando almeno tre scenari in cui l’ossigeno prodotto in questo modo potrebbe accumularsi nell’atmosfera.

Il primo è quello di un mondo che contiene molta più acqua della Terra, e in cui i processi geologici non riescono a rimuovere abbastanza velocemente l’ossigeno libero. Il secondo è un mondo più secco del nostro, ma con una crosta che si solidifica rapidamente, impedendo al magma di legarsi con l’ossigeno. Infine, il terzo scenario prevede un mondo con molta più anidride carbonica che acqua, e con un effetto serra molto marcato: l’accumulo di vapore acqueo nell’alta atmosfera produrrebbe, di nuovo, un aumento della concentrazione di ossigeno.

Valutare il contesto

 Significa dunque che dobbiamo rinunciare a considerare l’ossigeno una firma biologica valida? Non proprio.  
 In realtà, il messaggio di questo e di altri studi simili è un altro: nessun elemento, preso singolarmente, può essere un’evidenza sufficiente a stabilire che un mondo è abitato. Bisogna valutare il contesto, capire in grande dettaglio l’evoluzione complessiva del pianeta e l’interazione con la sua stella, studiare quali altre molecole sono presenti e in quali quantità. E, allo stesso tempo, dobbiamo migliorare i nostri modelli teorici, per essere pronti a interpretare le osservazioni. Insomma, non possiamo aspettarci di scoprire la vita su un altro pianeta nel giro di una notte.

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