Nell’universo potrebbero splendere stelle fatte di antimateria

0

Nell’universo potrebbero splendere stelle fatte di antimateria

La presenza nello spazio di un certo numero di antiparticelle di elio, uno degli elementi più abbondanti nell’universo, solleva la possibilità che esistano intere stelle di antimateria. Anche se questa possibilità è ritenuta improbabile da astrofisici e cosmologi, la scoperta indica la necessità di nuove osservazioni
di Leto Sapunar/Scientific American
www.lescienze.it

L’antimateria può sembrare un concetto fantascientifico, soprattutto perché nel nostro universo è praticamente impossibile osservarla, nonostante le migliori teorie dei fisici suggeriscano che durante il big bang debba essere emersa nelle stesse quantità della materia normale.

Ma negli esperimenti vengono prodotte regolarmente particelle di antimateria e c’è un inizio di spiegazione sulla sua scarsità cosmica: ogni volta che l’antimateria e la materia normale si incontrano, si annichiliscono reciprocamente in un’esplosione di energia. Una minima sovrabbondanza di materia normale all’inizio del tempo avrebbe quindi di fatto spazzato via l’antimateria dai cieli, a eccezione di quella che è prodotta occasionalmente nelle collisioni dei raggi cosmici, negli acceleratori di particelle costruiti dagli esseri umani e forse in alcune interazioni teorizzate tra particelle di materia oscura.

Antielio nello spazio
Ecco perché i fisici erano rimasti molto perplessi quando, nel 2018, il direttore dell’esperimento Alpha Magnetic Spectrometer (AMS), montato all’esterno della Stazione spaziale internazionale, aveva annunciato che lo strumento aveva forse rilevato due nuclei di antielio, oltre ai sei che poteva aver rilevato in precedenza.

In ogni caso, appare difficile che i processi naturali conosciuti siano in grado di produrre tanto antielio da farne finire un po’ nei nostri rivelatori spaziali. Il più semplice di tutti questi complessi processi consisterebbe nel generare l’anti-elio all’interno di antistelle, le quali, ovviamente, non sembrano esistere. Anche se gli inaspettati risultati dell’AMS devono ancora essere confermati, per non parlare poi di essere pubblicati formalmente, i ricercatori li hanno presi molto sul serio e alcuni si stanno adoperando per trovare spiegazioni.

Traendo ispirazione dai risultati provvisori dell’AMS, un gruppo di ricercatori ha di recente pubblicato uno studio in cui viene calcolato il numero massimo di stelle di antimateria che potrebbero esserci nel nostro universo, basandosi su un conteggio delle sorgenti di raggi gamma attualmente inspiegabili trovate dal Fermi Large Area Telescope (LAT).

Lo spettrometro dell’esperimento Alpha Magnetic Spectrometer (AMS) montato all’esterno della Stazione spaziale internazionale (© NASA)

Simon Dupourqué, autore principale dello studio e dottorando in astrofisica all’Istituto di ricerca in astrofisica e planetologia dell’Università di Tolosa III-Paul Sabatier, in Francia, e al Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS), ha formulato la stima dopo aver cercato possibili antistelle in un decennio di dati del LAT.

Quattordici possibili antistelle
Le antistelle splenderebbero come quelle normali, producendo luce delle stesse lunghezze d’onda. Si troverebbero però all’interno di un universo dominato dalla materia e così, quando particelle e gas fatti di materia normale finiscono sotto l’influenza dell’attrazione gravitazionale di una di queste stelle ed entrano in contatto con la sua antimateria, l’annichilazione risultante produrrebbe un lampo di luce ad alta energia. Possiamo vedere questa luce come un colore specifico dei raggi gamma.

Il gruppo di ricerca ha analizzato dati registrati nel corso di dieci anni, corrispondenti a circa 6000 oggetti che emettono luce. I ricercatori hanno ridotto l’elenco alle fonti che emettevano la giusta frequenza gamma e che non erano attribuite a oggetti astronomici già catalogati. “Ci sono così rimasti 14 candidati che, secondo me e anche secondo i miei coautori, non sono antistelle”, afferma Dupourqué. Qualora però lo fossero tutte queste fonti, il gruppo ha stimato che nel nostro angolo di universo esisterebbe circa un’antistella ogni 400.000 stelle ordinarie.

Anziché essere dovuti a ipotetiche antistelle, dice Dupourqué, questi lampi gamma potrebbero provenire da pulsar o dai buchi neri supermassicci al centro delle galassie. Oppure potrebbero essere semplicemente una sorta di rumore del rivelatore. Il prossimo passo dovrebbe consistere nel puntare i telescopi verso le posizioni delle 14 sorgenti candidate per scoprire se somigliano a una stella o a un oggetto più prosaico che emette raggi gamma.

La posizione nel cielo delle fonti di raggi cosmici che potrebbero essere antistelle. I diversi colori indicano differenti intensità delle fonti (© Dupourqué/IRAP)

Partendo da alcune fonti di raggi gamma interessanti ma discutibili, calcolare un ipotetico “limite superiore” al numero di antistelle è una cosa ben lontana dalla scoperta effettiva di simili oggetti astrofisici; quindi la maggior parte dei ricercatori non condivide le conclusioni. “Sia secondo la teoria sia secondo le osservazioni dei raggi gamma extragalattici, non dovrebbero esserci antistelle nella nostra galassia… Dobbiamo aspettarci solo limiti superiori coerenti con il valore zero”, afferma Floyd Stecker, astrofisico del Goddard Space Flight Center della NASA, non coinvolto nella ricerca. “Tuttavia, è sempre bene avere ulteriori dati osservativi che lo confermino.”

Quei fastidiosi rilevamenti di antielio

Se gli scienziati, inclusi gli autori, sono scettici sull’esistenza stessa delle antistelle, perché vale la pena discuterne? Il mistero sta in quei fastidiosi possibili rilevamenti di antielio ottenuti dall’AMS, che rimangono inspiegabili. A quel che ne sappiamo oggi, le antiparticelle possono essere create da due fonti naturali – i raggi cosmici e la materia oscura – ma, per ognuna delle due, la probabilità di esserne effettivamente responsabili sembra infima.

Via via che le dimensioni di un atomo aumentano, diventa sempre più difficile produrlo come antiparticella, spiega Vivian Poulin, cosmologo del CNRS a Montpellier, in Francia. Questo “significa che è sempre più raro che si verifichi, ma è permesso dalla fisica”. Un antiprotone è relativamente facile da formare, ma qualunque cosa più pesante, come l’antideuterio (un antiprotone più un antineutrone) o l’antielio (due antiprotoni più, tipicamente, uno o due antineutroni), diventa sempre più difficile da produrre via via che aumenta la massa. In un articolo pubblicato nel 2019, Poulin aveva usato i potenziali rilevamenti di antielio dell’AMS per calcolare una stima approssimativa dell’abbondanza di antistelle, che ha ispirato il nuovo studio di Dupourqué.

Per un fenomeno detto spallazione, i raggi cosmici ad alta energia provenienti dalle stelle che esplodono possono interagire con le particelle di gas interstellari, spiega Pierre Salati, astrofisico delle particelle al Laboratorio di fisica delle particelle di Annecy-le-Vieux, che ha collaborato allo studio di Poulin del 2019. Il gruppo responsabile dei rilevamenti di antiparticelle dell’AMS afferma di aver individuato sei nuclei di antielio-3 [isotopo con 3 antineutroni, NdR], che sarebbero prodotti di spallazione incredibilmente rari, e due nuclei di antielio-4, la cui formazione dai raggi cosmici sarebbe statisticamente quasi impossibile, afferma Salati. (La differenza tra i due isotopi è la presenza di un antineutrone in più.)

Per quanto riguarda la materia oscura, alcuni modelli prevedono che le sue particelle possano annichilirsi a vicenda, un processo che potrebbe anche creare antiparticelle. Ma anche in questo modo sarebbe difficile che si produca antielio-4 in quantità abbastanza elevate da darci una possibilità realistica di osservarlo (se questi modelli ipotetici riflettono la realtà). Ecco perché continua a suscitare interesse l’ipotesi delle antistelle. I rilevamenti verificati di antielio sarebbero un buon indicatore dell’esistenza di antistelle, ma finora l’AMS è l’unico esperimento ad aver offerto prove di questo genere, e deve ancora superare la peer review ed essere pubblicato, osserva Salati.

“È un’analisi molto impegnativa perché, per ogni evento di antielio, ci sono 100 milioni di eventi di elio regolari”, afferma Ilias Cholis, astrofisico all’Università di Oakland, che ha lavorato allo studio di Poulin. Secondo lui e altri è possibile che i rilevamenti si rivelino un baco di un’analisi molto complessa.

Samuel Ting, fisico del Massachusetts Institute of Technology e premio Nobel, è a capo del gruppo AMS e nel 2018 ha presentato pubblicamente gli ultimi due possibili rilevamenti di antielio, quelli relativi ai possibili antielio-4. “Non siamo ancora pronti a pubblicare risultati significativi sull’antimateria”, dice. “Stiamo raccogliendo ulteriori dati prima di fare altri annunci.”

Alla ricerca di una conferma

È possibile che un esperimento diverso possa dare risposte prima. L’esperimento General AntiParticle Spectrometer (GAPS) è un rivelatore portato in quota da un pallone sonda che quest’anno cercherà antiparticelle sopra l’Antartide. Secondo Cholis, una rilevazione di antiparticelle – e in particolare di antideuteroni o addirittura di antielio – con il rivelatore GAPS renderebbe i risultati dell’AMS molto più convincenti.

Se si scoprisse che la causa sono effettivamente le antistelle, questa scoperta richiederebbe un importante riesame dell’evoluzione dell’universo: non potremmo più relegare le antistelle e altri ipotetici oggetti astrofisici composti da antimateria ai margini dei nostri ragionamenti. In ogni caso le antistelle, anche se esistono, probabilmente non stanno continuando a formarsi, dice Salati, perché per le ipotetiche nubi di antidrogeno in cui si sarebbero formate sarebbe stato arduo evitare l’annichilazione negli ultimi 13 miliardi di anni.

Quindi, se anche venissero scoperte delle antistelle probabilmente sarebbero un residuo antichissimo dell’universo primordiale. In questo caso, un mistero profondo verrebbe sostituito da un altro: come hanno fatto, di preciso, a sopravvivere fino a oggi questi antichi residui? Come spesso accade, una nuova scoperta porta a molte più nuove domande che risposte.

————————-
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 7 giugno 2021. Traduzione di Daniele A. Gewurz, editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

Share.

Leave A Reply