L’uragano Harvey e il riscaldamento del Golfo del Messico: c’è un legame?

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L’uragano Harvey e il riscaldamento del Golfo del Messico: c’è un legame?

Che cosa ha reso la tempesta così distruttiva?  Alcuni estremi climatici ne hanno peggiorato la portata?
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L’uragano Harvey sopra al Texas, fotografato dalla ISS: molti astronauti di Esa e Nasa, inclusi Paolo Nespoli e Luca Parmitano, sono basati a Houston, tra le città più colpite dalla tempesta.|Nasa

Harvey, il più potente uragano ad abbattersi sugli Stati Uniti dal 2005 almeno, sta portando con sé da venerdì 25 agosto una scia di alluvioni che i meteorologi definiscono “senza precedenti”. In alcune aree del Texas sono attesi fino a 1200 mm di pioggia, intere città sono senza corrente elettrica e la maggior parte dei fiumi ha raggiunto la soglia di esondazione.

La quantità di precipitazioni è tale che il National Weather Service americano ha dovuto aggiungere nuovi colori alle sue mappe per descrivere una situazione tanto estrema.

Perché così devastante? Secondo gli esperti, alla pericolosità dell’uragano ha contribuito una combinazione letale di elementi climatici. Le alte temperature sul Golfo del Messico hanno intensificato la piovosità, e stanno continuando ad alimentare la tempesta; la mancanza di venti nell’alta atmosfera che potessero spingere Harvey lontano dalla terraferma ha fatto sì che il sistema si bloccasse per giorni sulla stessa regione.

Come se non bastasse, i venti dell’uragano hanno causato il temporaneo innalzamento del livello dell’acqua della Baia di Galveston (un grande estuario sulle coste del Texas, che si affaccia sul Golfo del Messico), impedendo il drenaggio della pioggia caduta.

Il ruolo del riscaldamento globale. Questa confluenza di cause ha reso gli effetti dell’uragano particolarmente distruttivi, ma quale ruolo può avere avuto, nell’evento, il riscaldamento delle acque del Golfo del Messico?

Un uragano è essenzialmente un motore atmosferico alimentato dall’umidità dell’aria e dalle calde acque oceaniche sottostanti. Con l’aumento delle temperature l’evaporazione atmosferica aumenta, ma questo fattore da solo non è sufficiente a spiegare la persistenza e la portata della tempesta.

La costa orientale degli Stati Uniti si trova nel bel mezzo della stagione degli uragani, e gli esperti avevano da tempo predetto la venuta di un persistente uragano sul Texas, ma nessuno si aspettava una simile quantità di pioggia.

L’ago della bilancia sarebbe stata la temperatura raggiunta dalle acque del Golfo del Messico la scorsa settimana: dagli 1,5 ai 4 °C sopra la media per l’area. Nutrendosi di questo calore in eccesso, Harvey è passato in sole 48 ore da tempesta tropicale a uragano di categoria 4, intensificandosi nell’arco di 12 ore prima di scagliarsi sulla terraferma, come non è mai accaduto nell’area da 30 anni almeno.

La stessa ragione avrebbe impedito all’uragano di indebolirsi (il fatto che sia stato poi declassato a tempesta tropicale non equivale, come si è visto, a una minore quantità di pioggia). Di norma, i forti venti di questi sistemi finiscono per raccogliere gli strati superficiali degli oceani, spingendo acqua calda in profondità e attingendo acqua fredda dal mare, che va a indebolire la tempesta.

I venti di Harvey hanno fatto altrettanto, ma l’acqua attinta a 100, 200 metri di profondità era ancora calda, e non ha tolto energia all’uragano. Il calore in eccesso avrebbe insomma reso l’evento più distruttivo e duraturo: in altre parole l’uragano si sarebbe verificato comunque, ma i cambiamenti climatici potrebbero aver contribuito al 30% circa del totale delle piogge cadute.

 

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