Ecco che fine fanno gli imballaggi in plastica immessi nel commercio al consumo in Italia

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Ecco che fine fanno gli imballaggi in plastica immessi nel commercio al consumo in Italia

Nonostante le iniziative “plastic free” nel 2018 ne abbiamo consumate 2.292.000 tonnellate, più dell’anno precedente: il 44,5% a stato avviato a riciclo, il 43% a recupero energetico e il 12,5% in discarica
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Lo sdegno verso la plastica si presenta oggi come uno dei principali trending topic nella coscienza ambientalista nazional-popolare, ma i numeri ci informano che in realtà ne consumiamo più di prima (almeno sotto forma di imballaggi). L’assemblea ordinaria di Corepla – il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli Imballaggi in plastica – ha approvato il bilancio dell’esercizio 2018 e la nuova edizione del Rapporto di sostenibilità, che fotografa i principali trend del settore: il primo, che condiziona tutti gli altri, è che nell’ultimo anno in Italia sono state immesse al consumo 2.292.000 tonnellate di imballaggi in plastica, in crescita rispetto alle 2.271.000 del 2017 e di quelle di almeno sei anni a questa parte.

Naturalmente questo non significa che una volta cestinate siano tutte andate ad inquinare i nostri mari; questo accade appunto quando i rifiuti vengono gettati all’aria aperta anziché conferiti attraverso la raccolta differenziata alla filiera industriale che è chiamata a gestirli con responsabilità. Tutto questo ha un costo, abbisogna di impianti industriali dedicati sul territorio e di un mercato in grado di assorbire i prodotti riciclati.

L’attività di Corepla ad esempio è stata finanziata nel 2018 attraverso ricavi pari a 639,241 milioni di euro, di cui solo il 22% derivanti da vendite per riciclo (un dato comunque in crescita del 35,5%) e per circa il 72% dal Cac (Contributo ambientale Conai); a sua volta Corepla ha girato ai Comuni oltre 351 milioni di euro «per sostenere i maggiori costi della raccolta differenziata», che appunto è tutt’altro che gratis (e più il servizio si fa complesso, come nel caso del porta a porta, più costa).

È bene ricordare al proposito che la raccolta differenziata non è un fine in sé, ma «rappresenta lo strumento indispensabile per giungere al fine del riciclo». Nel 2018 la differenziata ha superato le 1,2 milioni di tonnellate (+13,6% sul 2017), e in parallelo è cresciuto anche il suo avvio a riciclo, pari a a 643.544 tonnellate (+9,7%), mentre 383.057 ton sono andate a recupero energetico – per il 71% nei cementifici e per il 29% nei termovalorizzatori dove sono presenti, dunque soprattutto al nord –, e altre 89.421 in discarica (tutti tonnellaggi in crescita, dato l’incremento dell’immesso al consumo). Aggiungendo poi alle 643.544 tonnellate i quantitativi di imballaggi in plastica riciclati da operatori industriali indipendenti, provenienti dalle attività commerciali e industriali (376.000 t), si ottiene il quantitativo complessivamente riciclato di imballaggi in plastica a livello nazionale: 1.019.544 tonnellate.

È importante sottolineare che non è possibile riciclare al 100% tutto il contenuto che vediamo nel cassonetto o nel mastello in cui buttiamo i nostri rifiuti: insieme agli imballaggi in plastica c’è un’ampia fetta di frazione estranea (oltre 110mila tonnellate), poi altri scarti di processo, e anche il riciclo – come ogni processo industriale – crea nuovi rifiuti; per questo la gerarchia europea dei rifiuti prevede passaggi successivi, e dopo il riciclo ricomprende anche recupero energetico e discarica. Aumentare la raccolta differenziata da sola non basta, anzi: «Il ricorso allo smaltimento in discarica – precisa Corepla – è risultato necessario sia per l’aumento della frazione estranea non riciclabile e non recuperabile energeticamente presente nella raccolta differenziata, sia per i residui prodotti in aree in cui gli impianti di termovalorizzazione e/o i cementifici mancano, oppure non sono in condizione di ricevere tali frazioni».

Il metodo più efficace per ridurre i rifiuti in plastica è semplicemente quello di consumare meno plastica, e la direttiva europea che mette al bando alcuni prodotti monouso entro il 2021 guarda proprio in questa direzione (con alcune importanti aziende, come Unicoop Firenze, che stanno già anticipando i tempi); perché la mossa sia davvero ecologica è necessario però incoraggiare l’impiego di imballaggi riutilizzabili, non semplicemente spostare il consumo dai prodotti monouso in plastica tradizionale a quelli monouso in plastica biodegradabile, o verso altri prodotti monouso in cartone, alluminio, etc. Questo però non sempre è possibile, e in ogni caso rappresenta una sfida importante per le aziende di settore – in Italia occupano 110mila persone – che necessitano di essere accompagnate nella transizione verso modelli di consumo più sostenibili. Ecco dunque tornare l’importanza del riciclo (sottolineata anche dalla sopracitata direttiva Ue) e della necessità di incentivarlo concretamente: alla Camera è allo studio una pdl che introduce per la prima volta crediti d’imposta sia il riuso che il riciclo degli imballaggi, e sarà interessante seguirne gli sviluppi. Finora purtroppo sono sempre finiti con un buco nell’acqua.

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