L’impatto della produzione di cibo sui cambiamenti climatici

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L’impatto della produzione di cibo sui cambiamenti climatici

Cibo o clima? L’aumento delle emissioni globali di protossido di azoto – un gas serra 300 volte più potente dell’anidride carbonica – dovute ai fertilizzanti agricoli minaccia gli accordi sul clima di Parigi. L’esigenza di soddisfare la domanda alimentare globale si scontra quindi con quella di mitigare il cambiamento climatico, come sottolinea una nuova e dettagliata mappa delle sorgenti di protossido di azoto nel mondo
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L’uso sempre più diffuso di fertilizzati agricoli dovuto alla crescente necessità di cibo è responsabile dell’incremento dei livelli atmosferici di protossido di azoto, un gas serra 300 volte più potente dell’anidride carbonica ed estremamente persistente. E il problema è così grave da mettere in forse gli obiettivi internazionali sulla mitigazione del cambiamento climatico stabiliti con gli accordi di Parigi nel 2015.

È quanto emerge da uno studio pubblicato su “Nature” da Hanqin Tian dell’Università di Auburn, in Australia, e colleghi di una collaborazione di 48 istituti di ricerca di 14 paesi, che hanno prodotto la mappa più ampia e particolareggiata di tutte le sorgenti e i “pozzi” di protossido di azoto del mondo, colmando così una lacuna di conoscenza su questo particolare tema.

Studi condotti in passato avevano infatti documentato che negli ultimi 150 anni le concentrazioni atmosferiche di questo gas sono aumentate al ritmo del 2 per cento per decennio, contribuendo alla riduzione dello strato di ozono stratosferico e al cambiamento climatico. Le stime a livello nazionale non forniscono però un quadro completo delle emissioni: mancavano i dati relativi alle fonti naturali c’erano limiti metodologici per l’analisi delle fonti antropiche.

Tenendo conto delle sorgenti sia naturali sia antropiche, gli autori hanno stabilito che tra il 2007 e il 2016 le emissioni sono state di circa 17 milioni di tonnellate di azoto all’anno. Le emissioni globali indotte dagli esseri umani, dominate dall’uso di fertilizzanti agricoli, sono aumentate del 30 per cento negli ultimi quattro decenni fino a raggiungere 7,3 milioni di tonnellate di azoto all’anno. La conclusione è che questo contributo è il principale responsabile della crescita del carico atmosferico.

“Il fattore dominante dell’aumento del protossido di azoto atmosferico è l’agricoltura, e la crescita della domanda di cibo e mangimi aumenterà ulteriormente le emissioni globali”, ha spiegato Tian. “C’è quindi un conflitto tra la necessità di sfamare la popolazione mondiale e quella di stabilizzare il clima”.

Lo studio ha anche stabilito i diversi contributi regionali. Le maggiori emissioni in termini assoluti hanno origine in Asia orientale e meridionale, Africa e Sud America. Le emissioni dovute ai fertilizzanti sintetici sono particolarmente elevate in Cina, India e Stati Uniti, mentre quelle legate all’uso del letame come fertilizzante sono alte in Africa e Sud America. I tassi di crescita più elevati delle emissioni si riscontrano nelle economie emergenti, in particolare in Brasile, Cina e India, dove sono aumentati coltivazioni e capi di bestiame.

Ma il risultato più sorprendente è che le attuali tendenze delle emissioni di protossido di azoto non sono compatibili con gli obiettivi climatici dell’accordo di Parigi. “Le emissioni attuali stanno portando a un aumento della temperatura globale superiore a 3°C, il doppio di quanto stabilito”, ha sottolineato Robert Jackson, della Stanford University, coautore dell’articolo.

L’unica nota positiva è che fortunatamente esistono gli strumenti per ridurre le emissioni di protossido di azoto: l’Europa – unica regione al mondo – ci è riuscita nell’arco degli ultimi due decenni

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