Ecco come cresce un pianeta gassoso

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Ecco come cresce un pianeta gassoso

Osservare direttamente un pianeta in formazione in ultravioletto, e stimare il tasso di accrescimento in massa dovuto alla caduta di gas e polveri su di esso, non era mai stato fatto prima. Grazie alle osservazioni di Hubble, questo è stato possibile per un pianeta di circa 5 milioni di anni a 370 anni luce dalla Terra. Si apre così un nuovo filone nella ricerca esoplanetaria
di Valentina Guglielmo
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Una stella nana arancione – Pds70 – nella costellazione del Centauro, a 370 anni luce dalla Terra. Nella coltre di gas e polvere che la circonda, un pianeta gassoso e gigante in formazione – Pds70b . Infine, una nuova tecnica d’osservazione, nell’ultravioletto, che ha consentito di vedere direttamente il processo di caduta della materia nel pianeta durante il suo processo di accrescimento. Sono questi i tratti caratteristici di una nuova ricerca pubblicata su The Astrophysical Journal, che deve tutta la sua novità e tutto il suo potenziale a un telescopio che nuovo non è, ma rimane – per certi versi – assolutamente ineguagliabile: Hubble.

È una cucina, quella in cui si forma un pianeta, in cui l’impasto è ancora separato: la farina galleggia nell’aria e l’acqua è ancora poco amalgamata. Nel caso di Pds70b, gas e polvere vengono lentamente attirati man mano che il pianeta in formazione accumula massa, in un processo d’impasto che dura da circa cinque milioni di anni.

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La prima immagine di un pianeta in formazione attorno a una stella nana è stata catturata dal Very Large Telescope dell’Eso, in Cile, nel 2018. Si trattava di Pds70b, il bagliore a destra. La luce della stella è oscurata mediante un coronografo. Crediti: Eso, Vlt, André B. Müller (Eso)

«Non sappiamo molto su come crescono i pianeti giganti», spiega Brendan Bowler, ricercatore dell’Università del Texas e coautore dello studio. «Questo sistema planetario ci dà la prima opportunità di assistere alla caduta di materiale su un pianeta. I nostri risultati aprono una nuova area per questa ricerca».

Ma facciamo un passo indietro nella ricerca degli esopianeti. È questo un filone cresciuto moltissimo negli ultimi anni, sia a livello di tecniche che di strumentazione e di scoperte. Tuttavia, nonostante siano stati catalogati oltre 4000 esopianeti finora, solo circa 15 sono stati direttamente ripresi dai telescopi. Fra questi, nessuno era mai stato osservato in ultravioletto. Osservare a questa lunghezza d’onda ha consentito ai ricercatori di vedere direttamente la radiazione emessa dal gas caldo che cade sul pianeta e, con essa, di stimare la velocità con la quale il pianeta sta accrescendo massa.

Pds70b ha una massa un po’ superiore a Giove e orbita attorno alla propria stella a una distanza paragonabile a quella di Urano dal Sole. Nel corso della sua breve – astronomicamente, s’intende – vita, il pianeta è cresciuto fino a cinque volte la massa di Giove in un periodo di circa 5 milioni di anni. Il tasso di accrescimento attuale misurato nello studio è però diminuito, al punto che se rimanesse costante per un altro milione di anni, il pianeta aumenterebbe solo di circa 1/100 della massa di Giove. Questo quadro sembrerebbe suggerire che il pianeta sia alla fine del suo processo di formazione. Le osservazioni di Hubble però – sottolineano gli autori – non sono che un’istantanea della situazione e per estrapolare l’andamento temporale del tasso di accrescimento occorrono misure ripetute.

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Immagine di Pds70b scattata da Hubble, la prima immagine diretta di un esopianeta in ultravioletto. Crediti: Nasa, Esa, Joseph DePasquale (STScI)

Pds70b non è solo con la sua stella. Il sistema era infatti precedentemente noto per avere altri due pianeti in formazione all’interno dell’enorme disco di polveri e gas che circonda la stella. Il nuovo pianeta trovato è inoltre circondato da un proprio disco di gas e polvere che trafuga materiale dal disco circumstellare. I ricercatori ipotizzano che le linee di campo magnetico si estendano dal suo disco circumplanetario fino all’atmosfera dell’esopianeta e stiano incanalando materiale sulla superficie del pianeta. Una prima conseguenza di questo flusso sarebbe la formazione di punti caldi (dall’inglese hot spots) locali, almeno dieci volte più caldi della temperatura del pianeta e brillanti alle lunghezze d’onda ultraviolette.

Nel sistema in formazione però, chi brilla di più è certamente la stella. Alle lunghezze d’onda osservate da Hubble, essa è più di 3000 volte più luminosa del pianeta. Durante l’analisi dei dati, gli autori dello studio si sono trovati quindi a dover rimuovere la luce della stella per mettere in risalto la componente planetaria.

«Trentun’anni dopo il lancio, stiamo ancora trovando nuovi modi per usare Hubble», conclude Bowler. «La strategia di osservazione di Yifan – primo autore dello studio, e ricercatore dell’Università del Texas e del McDonald Observatory – e la tecnica di post-elaborazione apriranno nuove finestre per studiare sistemi simili, o addirittura lo stesso sistema, ripetutamente con Hubble. Con le osservazioni future, potremmo potenzialmente scoprire quando la maggior parte del gas e della polvere cade sui pianeti in formazione e se lo fa a un ritmo costante».

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