Ispra: l’Italia non sta facendo abbastanza contro i cambiamenti climatici

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Ispra: l’Italia non sta facendo abbastanza contro i cambiamenti climatici

Presentato alla Camera il nuovo Annuario dei dati ambientali. Nello «scenario a politiche correnti» non sarà rispettato l’obiettivo europeo al 2030. Eppure per il premier Conte c’è «il sostegno italiano a un approccio ambizioso dell’Ue ai cambiamenti climatici»
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L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha presentato alla Camera l’edizione 2018 dell’Annuario dei dati ambientali, aggiornando così una banca dati composta da oltre 300 indicatori e in grado di fornire un quadro dettagliato sullo stato di salute ambientale del Paese. Si tratta di una pubblicazione che esce a pochi giorni dallo sciopero globale per il clima portato venerdì scorso in piazza da migliaia di giovani in tutta Italia, con un’adesione record a livello globale: una forte richiesta di “cambiamento” contro il riscaldamento globale, che ancora però non si è concretizzata come testimoniano i dati Ispra.

Nonostante le emissioni totali di gas a effetto serra italiane siano diminuite del 17,5%, nel periodo 1990- 2016 – un risultato spiegato «anche dalla recessione economica, che ha frenato i consumi negli ultimi anni» –, nel 2017 l’anomalia della temperatura media in Italia è stata di +1,30 °C, superiore a quella globale sulla terra ferma (+1,20 °C). E se in questa pubblicazione l’Ispra non aggiunge dati più recenti, recentemente è stato il Cnr a informare che il 2018 risulta per l’Italia l’anno più caldo da oltre due secoli.

Sebbene questi dati confermino come il riscaldamento globale faccia già sentire i suoi effetti in modo più intenso nel nostro Paese rispetto al resto del mondo, l’Italia continua a non prendere sul serio la minaccia. Nonostante l’attuale quadro climatico individuato in sede europea assegni all’Italia l’obiettivo di conseguire entro il 2030 una riduzione pari al 33% dei gas serra rispetto al 2005, le proiezioni delle emissioni secondo «lo scenario a politiche correnti» elaborate dall’Ispra mostrano chiaramente come il Paese non sia ancora sulla strada giusta per centrare l’obiettivo: «Considerando tale scenario – argomenta l’Istituto – le riduzioni previste nelle emissioni di gas serra totali (ad esclusione del Lulucf) stimate per il 2020 e 2030, rispetto al 2005, risultano rispettivamente pari a -26,5% e -32,3%. Con riferimento ai settori Non-Ets e allo scenario elaborato per il 2030, l’obiettivo di riduzione del 33% non viene raggiunto, essendo per tali settori la riduzione stimata rispetto ai livelli del 2005 di circa il 24%». E se questo è lo scenario dell’impegno italiano al 2030, la strategia climatica per un’Unione europea a impatto climatico zero proposta dalla Commissione Ue con orizzonte 2050 non può che essere ancora più distante.

Fatti che si discostano dalle parole pronunciate oggi stesso dal premier Conte, intervenuto nell’Aula della Camera per le comunicazioni in vista del prossimo Consiglio europeo; nell’occasione il premier ha dedicato un importante passaggio alla questione climatica, affermando che c’è «il sostegno italiano a un approccio ambizioso dell’Ue ai cambiamenti climatici». Dichiarazioni che del resto arrivano sulla scia di quelle del vicepremier Di Maio, intervenuto a sostegno dello sciopero globale per il clima: «Questi giovani che manifestano – afferma Di Maio – parlano a noi e parlano di futuro. Anche coloro che nel passato hanno fatto scelte drammatiche scenderanno in piazza per il clima. Ne hanno diritto, per carità. Ma permettetemi di dire che è facile aderire a manifestazioni per il clima, ma poi dare il via libera a trivelle, inceneritori, discariche… l’ipocrisia al potere fa più danni dell’inquinamento».

Eppure su questo fronte il “cambiamento” tarda ad arrivare. Come testimonia anche Edo Ronchi, ex ministro dell’Ambiente e oggi presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, «nel 2018, secondo le stime di Ispra, le emissioni di gas serra sono state pari a 426 MtCO2eq: praticamente ferme al livello del 2014. Senza contare che per l’Italia le emissioni di gas serra, non contabilizzate nell’inventario azionale, connesse al saldo import-export di prodotti realizzati con consumo di energia fossile e quindi che hanno generato emissioni di gas serra, sono stimate (nel 2014 ultimo anno disponibile) in circa 120 MtCO, quindi il 35% in più delle emissioni nazionali contabilizzate di anidride carbonica. Per essere in traiettoria con l’Accordo di Parigi e avere emissioni nette pari a zero entro la metà del secolo, nel prossimo trentennio l’Italia dovrebbe tagliare, in media ogni anno, le proprie emissioni di gas serra di circa 13 MtCO2eq: un tasso di riduzione dal quale siamo stati ben lontani egli ultimi 4 anni, anche se inferiore a quello registrato nel decennio 2005-2014. Per stare in questa traiettoria l’Italia dovrebbe produrre ogni anno circa 1,5 Mtep di energia da fonte rinnovabile in più e ridurre i consumi energetici finali di altrettanti, mentre negli ultimi 4 anni la crescita delle rinnovabili è stata di circa 0,5 Mtep, un terzo del necessario, e i consumi di energia sono addirittura aumentati».

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