Un PRISMA per studiare il clima e le attività dell’uomo attraverso i colori della Terra

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Un PRISMA per studiare il clima e le attività dell’uomo attraverso i colori della Terra

Dopo il rinvio della scorsa settimana, il lancio del satellite italiano PRISMA dalla base di Kourou, nella Guiana Francese, è stato fissato alle prime ore del 22 marzo. Realizzato dall’Agenzia spaziale italiana, studierà i cambiamenti climatici e gli effetti delle attività umane sull’ambiente grazie a un innovativo strumento che analizza la luce proveniente dalla Terra dividendola in un’ampia gamma di bande spettrali
di Emiliano Ricci
www.lescienze.it

Chissà se il fotografo e designer inglese Storm Elvin Thorgerson, quando disegnò la copertina di “The dark side of the moon”, l’album dei Pink Floyd del 1973, si rese conto di aver forse realizzato il prisma più famoso della storia, non solo della musica, ma dell’umanità.

Con l’immagine di quella copertina, che mostra la dispersione dei colori dello spettro visibile causata appunto da un prisma ottico, Thorgerson voleva rappresentare in sintesi la sperimentazione che il celebre gruppo rock britannico faceva con le luci durante i propri concerti.

Un PRISMA per studiare i colori della Terra

Forse ripensando all’idea del designer inglese, l’Agenzia spaziale italiana (ASI) ha disegnato il logo della missione PRISMA, un satellite volto allo studio della Terra con tecniche spettroscopiche, interamente progettato e costruito in Italia, appunto sotto la guida dell’ASI.

Il nome della missione si riferisce naturalmente al fatto che il prisma è proprio lo strumento impiegato per disperdere la luce nelle sue componenti spettrali, ma è anche acronimo di PRecursore IperSpettrale della Missione Applicativa. Questo perché, spiega a “Le Scienze” Piero Benvenuti, commissario straordinario dell’ASI, «la missione PRISMA è una missione preoperativa che è inserita nella “roadmap” delle missioni iperspettrali. ASI sta infatti lavorando già da oltre due anni sulla seconda generazione dello strumento, che sarà tecnologicamente più avanzato, per la successiva missione Shalom, realizzata in cooperazione bilaterale con l’Agenzia spaziale israeliana».

Intanto, la missione PRISMA farà il lavoro di preparazione. Il lancio, inizialmente previsto per febbraio e poi nuovamente rinviato la scorsa settimana, adesso è imminente: il satellite, grazie al lanciatore VEGA dell’Agenzia Spaziale Europea

(ESA), prenderà il volo dalla base spaziale di Kourou, nella Guiana Francese, quando in Italia saranno le 2:50 del 22 marzo, per una missione il cui obiettivo è studiare il nostro pianeta dallo spazio, sia osservando le risorse naturali, che analizzando i principali processi ambientali, come le interazioni fra atmosfera, biosfera e idrosfera.

Un PRISMA per studiare i colori della Terra
Interpretazione artistica di PRISMA in orbita intorno alla Terra (Cortesia ASI)

Dal punto di vista scientifico, queste osservazioni offriranno nuovi dati per lo studio dei cambiamenti climatici a livello globale e permetteranno di studiare gli effetti delle attività dell’uomo sull’ambiente. Ma le osservazioni di PRISMA saranno importanti anche dal punto di vista applicativo: grazie ai suoi strumenti potremo per esempio raccogliere informazioni importanti a supporto di opere di prevenzione rispetto ai rischi naturali (come quello idrogeologico) ed antropici (tra cui l’inquinamento del suolo). Non solo: PRISMA potrà infatti contribuire al monitoraggio di beni culturali, attività agricole e risorse minerarie, oltre che supportare azioni di ausilio alle crisi umanitarie.

Per quanto questo satellite sia semplicemente un “precursore”, sarà comunque in grado di svolgere osservazioni e misure di grande rilievo su scala globale, grazie a uno strumento iperspettrale innovativo, che permetterà di raccogliere e analizzare la luce proveniente dal nostro pianeta suddividendola in una grande quantità di bande spettrali, strette e contigue, disposte dal visibile al vicino infrarosso (VNIR, Visible and Near InfraRed), per estendersi fino all’infrarosso a onde corte (SWIR, Short Wave InfraRed).

In pratica, l’intervallo di lunghezze d’onda su cui PRISMA è in grado di indagare va da 400 nanometri a 2500 nanometri. (Il termine iperspettrale si riferisce appunto alla capacità di uno strumento di raccogliere su ciascun elemento di immagine dati relativi all’intero spettro della radiazione emessa da un particolare bersaglio e non solo relativi a una singola frequenza o lunghezza d’onda.)

In particolare, il sensore elettro-ottico montato a bordo di PRISMA è in grado di acquisire simultaneamente dati su ben 240 canali diversi, corrispondenti a 239 bande spettrali distinte, oltre al canale pancromatico, ovvero il canale di raccolta della luce bianca. Un avanzamento significativo della tecnologia spettroscopica, se si pensa che gli attuali sensori ottici satellitari impiegati per lo studio della radiazione solare riflessa dal nostro pianeta sono in grado di lavorare su un numero piuttosto limitato di bande spettrali, tipicamente una decina al massimo.

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PRISMA nell’hangar della base di lancio europea di Kourou (Cortesia ASI)

Considerato che l’analisi spettrale permette non solo di determinare le condizioni fisiche di un determinato obiettivo, ma anche di valutarne la composizione chimica, «ci si aspetta un impulso alla ricerca e allo sviluppo di applicazioni di osservazione della Terra basato proprio sulla capacità dei dati iperspettrali di fornire informazioni sulle caratteristiche chimico-fisiche delle aree osservate», spiega Benvenuti. «Agricoltura di precisione, studio e controllo della vegetazione, inquinamento atmosferico, monitoraggio delle acque costiere, analisi delle proprietà del suolo e controllo delle aree urbane sono tra i settori che potranno beneficiare delle informazioni ottenute dai prodotti iperspettrali di PRISMA».

Per lavorare nelle migliori condizioni di illuminazione delle aree che di volta in volta saranno oggetto delle indagini iperspettrali, il satellite, con una massa complessiva di 830 chilogrammi, verrà collocato su un’orbita eliosincrona a un’altitudine media di circa 615 chilometri, un’inclinazione di quasi 98° (orbita polare retrograda) e un periodo di 96 minuti.

L’orbita eliosincrona è infatti un particolare tipo di orbita geocentrica tale da garantire al satellite il passaggio sopra un determinato punto della superficie terrestre sempre alla stessa ora solare locale. In pratica, con questa tecnica si permette al satellite di osservare una certa zona del nostro pianeta approssimativamente sempre nelle stesse condizioni di illuminazione, così da poter raccogliere dati omogenei a ogni relativo passaggio orbitale.

La missione è un progetto interamente sviluppato dall’ASI, e vede coinvolte importanti realtà industriali del nostro Paese, come OHB Italia, responsabile della missione e della gestione dei tre principali segmenti (terra, volo e lancio), e Leonardo, che ha realizzato la strumentazione elettro-ottica, che al momento rappresenta lo strumento iperspettrale operativo più potente al mondo.

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Vega sulla rampa di lancio nella base europea di Kourou (ESA/M. Pedoussaut)

E anche il lanciatore VEGA dell’ESA, prodotto da AVIO, è stato progettato e viene costruito prevalentemente in Italia. Infine, il centro di controllo della missione è stato realizzato da Telespazio, mentre l’acquisizione e l’elaborazione dei dati avverrà dal Centro Spaziale di Matera. «La vita operativa della missione sarà di 5 anni», spiega ancora Benvenuti, «e il “decommissioning” avverrà a fine vita in linea con le linee guida internazionali e sarà effettuato con una manovra dedicata per la quale sono state previste risorse dedicate».

Il futuro di PRISMA, come accennato prima, sarà la missione Shalom, a vocazione commerciale, il cui lancio è previsto nel 2024. «Questa missione sarà caratterizzata da migliori prestazioni: infatti, a parità di bande acquisite, la risoluzione spaziale sarà di soli 10 metri a fronte dei 30 metri di PRISMA, con un satellite di massa dimezzata rispetto a quella di PRISMA», conclude Benvenuti. Ma intanto godiamoci i risultati che arriveranno da questo “precursore”, capace di offrire una nuova e più accurata visione del nostro pianeta e degli effetti che la presenza dell’uomo ha sui diversi ecosistemi naturali, come foreste e aree costiere, e artificiali, come aree urbane e zone agricole.

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