Il “soffio gassoso” dei vulcani che potrebbe avvertirci di una prossima eruzione

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Il “soffio gassoso” dei vulcani che potrebbe avvertirci di una prossima eruzione

Secondo una nuova ricerca di geologia applicata, monitorando il degassamento di un vulcano, cioè la fuoriuscita di gas dall’edificio vulcanico, sarebbe possibile prevedere in tempo utile l’arrivo di una prossima eruzione esplosiva
di Enrico Nicosia
www.lescienze.it

Quando ci sarà una nuova eruzione? Difficile dirlo con certezza. Da anni gli scienziati lavorano per sviluppare dei modelli in grado di prevedere l’attività dei vulcani, ma la nostra capacità predittiva è limitata all’osservazione di alcuni fenomeni che accompagnano un’eruzione. Adesso, la ricerca di un team internazionale pubblicata su “Nature Communications”, apre una nuova possibilità di prevedere un evento vulcanico, almeno per quel che riguarda le eruzioni esplosive.

Gli scienziati dell’Università Tecnica di Monaco (TUM), insieme a ricercatori tedeschi, francesi, inglesi e indonesiani, hanno osservato che la permeabilità dello strato roccioso più esterno di un duomo di lava – l’edificio vulcanico che si forma sopra al cratere di un vulcano – cambia nel tempo. Poco prima di un’eruzione, secondo il loro studio, arriverebbe a essere fino a quattro volte più impermeabile del normale, impedendo così la fuoriuscita di gas dal vulcano. Da qui l’ipotesi di aver trovato un altro indicatore di un’imminente eruzione.

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Il vulcano Merapi, la “montagna di fuoco” dell’isola di Giava, in Indonesia, ha fatto da laboratorio. È un vulcano a cono, ad attività prevalentemente esplosiva e considerato fra i più pericolosi del mondo. Qui i ricercatori hanno prelevato sei campioni di lava solidificata – uno proveniente da un’eruzione del 2006, mentre gli altri risalgono a un’eruzione del 1902 – di cui hanno studiato la densità, la composizione minerale e il volume dei pori al loro interno.

È emersa così una netta riduzione della permeabilità di queste rocce con il passare del tempo, causata dai minerali di nuova formazione. I principali responsabili del fenomeno sembrano essere il solfato di potassio e l’allume di potassio, che vanno a sigillare le microfratture e i pori nelle rocce.

Edifici distrutti dal flusso piroclastico della serie di eruzioni del Merapi tra ottobre e novembre 2010 (© SPL/AGF)

Ma perché questa maggiore impermeabilità rocciosa sarebbe un campanello di allarme di un’imminente eruzione? Albert Gilg, docente di geologia applicata alla TUM e coautore della ricerca, spiega che i cambiamenti di permeabilità della roccia sono legati all’esplosività del vulcano: “Subito dopo un’eruzione, la lava è abbastanza permeabile. Questa permeabilità però decresce con il tempo e lo strato di roccia che si forma diventa impermeabile, intrappolando i gas in risalita emessi dal magma. Con il tempo la pressione esercitata da questi gas aumenta fino a far scoppiare il duomo di lava sopra il cratere, provocando così una violenta esplosione”.

A preannunciare la nuova eruzione quindi sarebbe una consistente riduzione della fuoriuscita di gas, che indica una fase di massima pressione sotto gli strati di roccia del cono vulcanico.

Le simulazioni svolte dal gruppo di ricerca confermano questo comportamento dei vulcani. Uno stratovulcano (o vulcano a cono), come il Merapi – ma anche i nostri Etna, Stromboli o Vesuvio, solo per citarne alcuni – attraversa tre diversi stadi fra un’eruzione esplosiva e l’altra. Inizialmente, dopo una prima eruzione, quando la lava è ancora permeabile, è possibile osservare una consistente fuoriuscita di gas in una sorta di sbuffo o soffio grigio del vulcano. In una seconda fase, il duomo diventa impermeabile ai gas, che smettono di fuoriuscire. Infine, la pressione esercitata dai gas intrappolati diventa tale da provocare l’eruzione successiva. “Nella successione di queste fasi, quindi, la riduzione della fuoriuscita di gas può essere considerata un buon indicatore di un’imminente eruzione”, afferma Gilg.

Questa sequenza di fasi è stata osservata e documentata durante l’eruzione del Merapi nel maggio del 2018. Il soffio gassoso dei vulcani potrebbe dunque essere davvero la chiave per prevederne l’esplosione.

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