Conosciamo solo lo 0,001 per cento del fondo marino della Terra. Ecco che cosa significa davvero

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Conosciamo solo lo 0,001 per cento del fondo marino della Terra. Ecco che cosa significa davvero

Da una nuova revisione dei dati oceanici emerge che oltre il 99,999 per cento del fondo marino globale non è mai stato osservato dagli esseri umani. Ma che cosa vuol dire rispetto alla nostra conoscenza dell’oceano profondo?
di Gayoung Lee/Scientific American
www.lescienze.it

Solo negli anni settanta sono stati scoperti i fiorenti ecosistemi che si sviluppano in prossimità delle bocche idrotermali sottomarine come quelle dell’arcipelago delle Isole Eolie. Nella foto, scattata nei fondali dell’isola di Panarea, sono visibili macchie bianche che rivelano la presenza di batteri primitivi, particolarmente resistenti a condizioni fisico-chimiche estreme e variabili (© Alexis Rosenfeld/Getty Images)

Che cosa sappiamo davvero dell’oceano profondo? Che l’oceano terrestre sia un paradiso ecologico pieno di animali selvatici o un misterioso e tempestoso mondo sotterraneo dove si nascondono misteri marini mitologici, va da sé che la nostra ignoranza degli abissi acquatici ha plasmato la nostra percezione di ciò che potrebbe esistere lì. Ma per quanto riguarda l’effettivo conteggio di quello che sappiamo sui fondali marini profondi, la verità è finora sfuggita.

“Negli studi scientifici, alcune persone affermavano che abbiamo esplorato il cinque o il dieci o l’uno per cento dell’oceano profondo, e non c’era consenso”, dice Katy Croff Bell, scienziata marina e fondatrice della Ocean Discovery League. Perciò si è chiesta: “Qualcuno ha effettivamente calcolato questo dato?”. E aggiunge: “Non sono riuscita a trovare nulla. Così quattro o cinque anni fa circa ho iniziato a fare stime iniziali, e i numeri sembravano incredibilmente piccoli: lo 0,001 per cento visitato ed esplorato negli ultimi 70 anni circa”.


Non poteva essere vero, ricorda Bell. Ma le indagini successive hanno confermato i suoi sospetti: noi esseri umani avevamo osservato direttamente meno dello 0,001 per cento del fondale marino globale, un’area totale pari a quella di Rhode Island [poco più di tre volte la superficie del Comune di Roma, NdT]. Si tratta di una quantità incredibilmente piccola, se si considera che ora siamo riusciti a ottenere immagini ad alta risoluzione di praticamente tutte le superfici della Luna e di Marte.

Come dettagliato in uno studio pubblicato su “Science Advances”, Bell e i suoi coautori hanno confrontato 43.681 registrazioni di spedizioni sottomarine effettuate da istituzioni di 14 paesi e territori e che avevano raggiunto un minimo di 200 metri sotto le onde. Oltre alla nostra comprensione generalmente limitata del fondo marino globale, Bell e i suoi colleghi hanno anche riscontrato una significativa distorsione nelle regioni che hanno avuto una ricognizione visiva. Non sorprende che la maggior parte delle osservazioni dirette delle profondità marine sia avvenuta nelle acque intorno ai paesi ricchi in grado di effettuarle, soprattutto Stati Uniti, Giappone e Nuova Zelanda.

Questa mappa termica mostra la concentrazione delle immersioni in acque profonde conosciute con osservazioni visive nelle zone economiche esclusive degli Stati Uniti (© Ocean Discovery League)

Ma che cosa significa davvero lo “0,001 per cento” di Bell? Conosciamo davvero i fondali marini meno di quanto conosciamo la Luna o Marte? La risposta corretta, secondo i ricercatori, è no, anche se questa risposta è accompagnata da importanti avvertenze. Innanzitutto, vale la pena notare che la statistica del 99,999 percento rappresenta esplicitamente ciò che non abbiamo “visto direttamente” fondali marini profondi, ossia tutto quello che non abbiamo rilevato tramite immagini visive. Ciò è diverso dalla mappatura, che può misurare la topografia del fondo marino con o senza la raccolta di dati visivi.

“‘Vedere’ non è nemmeno la stessa cosa di ‘campionare’, la raccolta di materiali geologici o biologici da una particolare area. Questi tre elementi, immagini visive, mappatura del terreno e campionamento fisico, costituiscono la piena ‘esplorazione’ di un ambiente sconosciuto”, sottolinea Bell.


Tenendo conto di ciò, non è così sorprendente che il numero di Bell sia così basso, afferma Alfred McEwen, ricercatore principale dell’High Resolution Imaging Experiment sul Mars Reconnaissance Orbiter della NASA e geologo planetario all’Università dell’Arizona, non coinvolto nel nuovo lavoro. La sorveglianza orbitale ci ha effettivamente permesso di creare mappe visive straordinariamente dettagliate della superficie della Luna e di Marte che superano di gran lunga quelle che abbiamo per i fondali oceanici della Terra. Ma questo è diverso dalla comprensione, dice McEwen.

“Voglio dire, si può mappare la topografia e le variazioni di luminosità e di colore e avere mappe di bell’aspetto”, aggiunge. “Ma questo non significa che si capisca cosa c’è lì in termini di composizione, processi rilevanti e così via.”

Inoltre, parlare di osservazione diretta del fondo marino della Terra rispetto alle superfici di Marte e della Luna “è un po’ un confronto tra mele e arance”, afferma Mathieu Lapôtre, geofisico della Stanford University, anch’egli non coinvolto nello studio. Il primo è nascosto sotto chilometri di acqua fredda, scura e pressurizzata, mentre il secondo può essere visto chiaramente da una navicella spaziale che passa molto in alto.

Questa mappa termica mostra la concentrazione delle immersioni profonde conosciute con osservazioni visive nell’Oceano Pacifico (© Ocean Discovery League)

Ma siamo riusciti a trovare modi molto intelligenti per svelare le profondità dell’oceano, sottolinea Lapôtre. Per esempio, usando altimetri sui satelliti o la tecnologia sonar, è più che possibile costruire un modello piuttosto accurato di come appare il fondo del mare. In questo senso, probabilmente “capiamo” più cose sul fondo dell’oceano – in particolare sul suo ruolo nel modellizzare i sistemi terrestri – di quante ne capiamo sulla superficie della Luna o di Marte, dice McEwen. E almeno in parte, in virtù della nostra vicinanza e familiarità con l’oceano e tutte le sue complessità, aggiunge, ci sembra un luogo più ricco e vibrante, con “ambienti che cambiano dinamicamente, camini idrotermali e così via: c’è molto di più da capire sulla Terra”.

Anche se di fatto “conosciamo” gli oceani della Terra meglio della superficie di qualsiasi corpo ultraterreno, questo non significa che sappiamo tutto o che non ci siano vantaggi per i dati ottici a più alta risoluzione delle profondità marine, spiega Brett Denevi, planetologo del Johns Hopkins Applied Physics Laboratory, che è coinvolto con il Lunar Reconnaissance Orbiter della NASA e non ha partecipato al nuovo lavoro.

Con il miglioramento delle nostre mappe lunari, spiega Denevi, non abbiamo risolto tutti i misteri della Luna, ma ne abbiamo rivelati di nuovi. Quanto più impariamo e vediamo, tanto più sembra che possiamo individuare dettagli ambientali più piccoli e sottili che altrimenti potrebbero sfuggire a una mappatura o a un campionamento a grana più grossa.

Questa mappa termica mostra la concentrazione delle immersioni profonde conosciute con osservazioni visive nell’Atlantico settentrionale (© Ocean Discovery League)

“E spesso le cose più piccole possono essere quelle importanti, giusto?”, chiede Lapôtre. “Il fondo dell’oceano, lo sappiamo, è molto complesso. Presenta tutte queste caratteristiche che sono affascinanti per molte ragioni, per esempio le origini della vita, la tettonica a placche, le zone di subduzione e tutte queste cose: è un terreno complesso. E al momento ci sfugge gran parte di questa complessità.”

“Immaginate di avere una casa e di non scendere mai in cantina per capire come funziona il riscaldamento o l’impianto elettrico”, spiega Bell. Per esempio, solo negli anni settanta l’umanità ha scoperto i fiorenti ecosistemi intorno alle bocche idrotermali, una scoperta che ha dimostrato che la biologia può prosperare anche nelle profondità oceaniche senza luce del Sole e “ha cambiato la nostra comprensione della vita sulla Terra”. La mappatura indiretta effettuata con il sonar e altre tecniche permette di “vedere” le dorsali medio-oceaniche che ospitano alcune di queste bocche. Ma l’individuazione delle bocche è stata una scoperta casuale, resa possibile solo dalle telecamere di profondità.

E, sottolinea Bell, viste le meraviglie di cui siamo già stati testimoni visitando direttamente solo lo 0,001 per cento del fondo marino, le prospettive per ulteriori osservazioni rivoluzionarie sono buone. La cifra abissalmente bassa della nostra conoscenza visiva degli abissi è motivo di eccitazione, non di sgomento, dice Bell. Insieme ai progressi tecnologici che rendono l’esplorazione sottomarina migliore, più economica e più sicura, la valutazione di Bell è un invito a iniziare ad avere “uno sguardo imparziale e più rappresentativo sul fondo marino globale”.

“Per quanto riguarda l’esplorazione, il nuovo studio pone davvero le basi per definire un’iniziativa globale che dovremmo intraprendere nei prossimi 10-20 anni”, conclude Bell. “Essere in grado di esplorare, o almeno accelerare, l’esplorazione del restante 99,999 per cento dell’oceano profondo ci darà davvero una straordinaria opportunità di porre nuove domande a cui non avevamo mai pensato prima.”

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