I cani da slitta, guardiani delle Svalbard a 20 gradi sottozero (FOTOGALLERY)
Nelle isole abitate più a nord della Terra, anche se sei un turista non esistono mezze misure. E gli ostacoli si superano insieme
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Non credete a quella massima che vorrebbe la vita fatta a scale, perché non è così. La vita non è affatto una successione di scale, siano ascendenti o discendenti non importa. La vita è fatta di sentieri, tortuosi, impervi, raramente dritti, chiari o appena visibili. Sentieri che dobbiamo spesso lasciare, perché conducono a scelte che sono – nella maggior parte dei casi – obbligate, non rinviabili e non derogabili.
La vita è un dedalo di viuzze, vicoli, porticine strette, piccoli anfratti in cui ci troviamo a dover passare, a disagio, tenendo faticosamente a bada sentimenti claustrofobici o paure ancestrali.

A meno naturalmente di non star conducendo una slitta trainata da 6 cani uggiolanti nelle isole abitate più a nord della Terra, cercando di contenerne l’animalesco e gioioso entusiasmo. Perché in quel caso, cambia tutto. In quel caso percepisci chiaramente che quelle scelte, quei sentieri, non sono dipendenti solo dalla tua volontà, dal tuo libero arbitrio, ma sono condizionati da fattori imprevedibili.
La machiavellica “fortuna” cui contrapporre, forse, la “virtù”. Oppure, più genericamente, il “destino”. O ancora, nel caso della slitta di cui sopra, una muta di sei cani che corrono a perdifiato cercando di farti cadere.

Le lame della slitta approfondiscono solchi tracciati da altri, in una metafora abbastanza chiara della vita. Anche noi procediamo, spesso, su solchi tracciati da coloro che ci hanno preceduto, nel tentativo di mantenerci entro quelle linee sicure, confortevoli, di rado arrischiandoci a tracciare una nuova pista. I nuovi solchi, nella neve fresca, promettono una maggiore velocità, un tragitto più breve, la classica scorciatoia. Ma possono nascondere – più spesso di quanto vorremmo – insidie ed ostacoli.
Cerco di evitare i sassi che sembrano emergere all’improvviso dal terreno, bilanciando il peso da una parte o dall’altra. Non sempre ci riesco, e a farne le spese è il mio passeggero, del tutto incolpevole. E inconsapevole che parte della mia sicurezza è solo apparente. Ogni tanto calco il peso sulla piastra dentata per smorzare gli entusiasmi canini, sopratutto in discesa. È spaventoso pensare alla velocità che potrebbero raggiungere se non lo facessi. Spaventoso immaginare cosa potrebbe succedere se lasciassi che le cose accadessero, semplicemente. Follia – splendida follia –, forse, è essere qui. Cercare di controllare la situazione, invece, è solo buon senso. E a volte paura.
La prima volta che mi sono messo alla guida non mi aspettavo una spinta tanto forte, cosicché mi sono trovato disteso nella neve, mentre la slitta si allontanava. Errore di valutazione da non ripetere. «I cani da slitta – dice la guida in inglese con un forte accento che più tardi scoprirò essere polacco – concepiscono solo due velocità: stop e massima velocità. Per loro non ci sono vie di mezzo».

D’intorno solo montagne, di un candore accecante. Nell’aria, il pulviscolo di mille fiocchi di neve smossi dalle zampe della muta mi sferza la faccia, dandomi sollievo. Mentre ci avviciniamo alla salita, sposto i piedi dai pattini e comincio a correre per aiutare i cani che, altrimenti, non riuscirebbero da soli. Non ti poni neanche la questione del se ce la farai o meno. È come se fossi in simbiosi con loro. Non importa che il cuore batta all’impazzata. O che tu senta il calore insopportabile dell’adrenalina farsi largo nella tuta che ti protegge dalla gelida temperatura esterna. Niente importa, salvo il superamento dell’ostacolo. Tu e i cani. Solo questo. Insieme.
Le cose sono semplici alle Svalbard. Anche se sei un turista. Non esistono mezze misure. Una volta che sei in ballo, devi ballare. Non ci sono ripensamenti, incertezze, o dubbi. Una volta che sei su quella slitta, la devi condurre sulla pista. E non ci sono patenti che ti preparino. Come la vita.
Mentre superiamo la salita, col respiro accelerato e mille punture d’ago sulle spalle, guardo davanti a me.
