I primi scatti del Rubin Observatory tracciano la via dell’astronomia del futuro
Non più scatti statici dell’universo ma un cielo dinamico e aggiornato in tempo reale sarà quello offerto nei prossimi dieci anni dal Vera C. Rubin Observatory. Ospitato nelle Ande Cilene e con un campo visivo estremamente largo, nelle sue prime ore di osservazione il telescopio ci ha dato un assaggio delle inedite e rivoluzionarie potenzialità per il quale è stato costruito
di Emiliano Ricci
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Il 23 giugno 2025 il Vera C. Rubin Observatory ha diffuso le sue prime immagini scientifiche, accompagnate da video, dando prova delle incredibili potenzialità di questo strumento, il cui scopo è sviluppare il progetto denominato LSST (Legacy Survey of Space and Time), il cui inizio ufficiale è previsto per i prossimi mesi. Ma definirle “immagini” è riduttivo. In appena dieci ore di osservazioni di prova, il telescopio ha immortalato milioni di galassie, miriadi di stelle della Via Lattea e migliaia di asteroidi (2104, per la precisione), compresi sette oggetti vicini alla Terra mai osservati prima. E queste immagini rappresentano solo un assaggio di ciò che sarà la Legacy Survey of Space and Time: una mappa dinamica del cielo in alta definizione, costruita nell’arco di dieci anni.
Un video pubblicato, realizzato combinando oltre 1100 immagini, conduce in un viaggio all’interno dell’ammasso di galassie della Vergine, il più vicino a noi, partendo da un primo piano ravvicinato di due galassie fino a rivelare circa dieci milioni di galassie – appena lo 0,05 per cento di quelle che Rubin prevede di registrare complessivamente (approssimativamente 20 miliardi). Singoli fotogrammi dell’ammasso, già ad altissima risoluzione, riportano frazioni dell’intero campo di vista del telescopio, mostrando un livello di dettaglio senza precedenti. In un’altra immagine composita, realizzata unendo 678 scatti in poco più di sette ore, emergono dettagli straordinari della nebulosa Trifida e della nebulosa Laguna, strutture di gas e polveri distanti migliaia di anni luce in direzione della costellazione del Sagittario, visibili con una chiarezza mai raggiunta prima. Queste prime immagini non sono soltanto spettacolari: sono scientificamente rivoluzionarie. Si tratta di mosaici di miliardi di pixel, costruiti da più esposizioni in filtri diversi, che restituiscono frammenti di un universo in continua trasformazione.
“Fra le immagini che verranno rilasciate prossimamente ci aspettiamo anche i cosiddetti campi profondi, o deep drilling fields, come li chiamano gli statunitensi”, commenta Gabriele Rodeghiero, dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF) – Osservatorio di astrofisica e scienza dello spazio di Bologna, coordinatore del gruppo italiano di supporto all’integrazione, test e commissioning del telescopio Rubin. Un deep drilling field è costituito da una somma di centinaia di immagini di una porzione ristretta di cielo, ripresa nelle diverse bande fotometriche di Rubin, che coprono l’intervallo spettrale tra 350 nanometri e 1000 nanometri, ovvero dall’ultravioletto al vicino infrarosso. “Questa somma di immagini – prosegue Rodeghiero – ciascuna di 30 secondi, consente di vedere oggetti extragalattici estremamente deboli, e sarà una delle tante attività previste fra quelle che Rubin realizzerà sistematicamente sull’intero cielo australe nell’arco di dieci anni di scansioni ripetute durante la survey LSST.”
Il Rubin, ospitato nelle Ande cilene, sulla vetta del Cerro Pachón, a 2682 metri di altezza, non è semplicemente un grande telescopio: è stato progettato fin dall’inizio per scrutare l’intero cielo visibile dall’emisfero australe ogni pochi giorni, per un periodo di dieci anni. Lo fa con una combinazione unica di ampia apertura e campo visivo estremamente largo. Il cuore ottico dello strumento – denominato Simonyi Survey Telescope, in onore dei donatori privati Charles e Lisa Simonyi – è un sistema a tre specchi, con uno specchio primario di 8,4 metri e un secondario convesso di 3,4 metri, il più grande mai costruito di questo tipo. L’intero sistema fornisce un campo visivo di 9,6 gradi quadrati, equivalente a circa 40 volte la dimensione apparente della Luna piena. La fotocamera LSST (LSSTcam), installata sul telescopio, è un oggetto da record: la più grande mai realizzata per l’astronomia. Pesa quasi tre tonnellate, misura 1,65 metri di diametro e contiene 189 sensori CCD, per un totale di 3,2 miliardi di pixel. Le immagini prodotte sono talmente ricche che, per visualizzarne una sola a piena risoluzione, servirebbero circa 400 schermi 4K affiancati.

Il progetto LSST è pensato per esplorare ciò che nel cielo cambia: supernove, stelle variabili, asteroidi in avvicinamento, galassie che collidono, nuclei galattici attivi. Ogni notte Rubin scatterà centinaia di immagini, inviando al mondo circa dieci milioni di allerte per oggetti che si muovono o mutano luminosità. Nessun osservatorio ha mai prodotto un tale flusso di dati in tempo reale. “Rubin ha già cambiato il modo in cui si fa astronomia. La comunità si è preparata da anni, sviluppando infrastrutture digitali, automazione dei telescopi e algoritmi di intelligenza artificiale per selezionare le allerte più interessanti tra i milioni che arriveranno ogni notte”, spiega Federica Bianco, della University of Delaware, Stati Uniti, e Deputy Project Scientist nel progetto di costruzione dell’Osservatorio Rubin. Questo nuovo paradigma ha portato già da tempo alla creazione di “broker” astronomici, piattaforme che incroceranno i dati del Rubin con quelli di altri osservatori e aiuteranno i ricercatori a filtrare solo le segnalazioni più promettenti.
“Le priorità della ricerca in astronomia sono spesso guidate dai fenomeni più noti (per esempio, la formazione stellare, l’evoluzione delle galassie)”, commenta Massimo Brescia, dell’INAF – Osservatorio astronomico di Capodimonte (Napoli), Program Lead del contributo in-kind dell’INAF al progetto. “Il flusso di dati del Rubin Observatory potrebbe spostare l’attenzione scientifica verso eventi transienti e dinamici (come lampi radio veloci, sorgenti di onde gravitazionali o impatti di asteroidi) che potrebbero essere stati trascurati in passato.” [I contributi in-kind al progetto LSST condotto dal Rubin Observatory sono apporti forniti da istituzioni partner internazionali – come l’INAF, appunto – sotto forma di strumenti tecnologici, sviluppo software, supporto per l’analisi dei dati, infrastrutture informatiche o personale altamente qualificato in cambio dell’accesso privilegiato ai dati scientifici del telescopio; NdA.]
L’obiettivo è agire in tempo reale, attivando altri strumenti e osservatori per seguire eventi fugaci prima che svaniscano. Infatti, uno dei problemi chiave, oggi, non è la mancanza di dati, ma il rischio opposto: perdersi l’anomalia dentro la sovrabbondanza. Eventi rari, mai visti prima, potrebbero essere persi nel rumore. “In questa abbondanza – aggiunge Bianco – solo una piccola frazione dei fenomeni che cambiano nel tempo potrà essere seguita, e come sceglierli è una domanda importantissima. La promessa più eccitante di LSST è che aprendo regioni dell’universo che non abbiamo ancora esplorato potrà scoprire nuovi fenomeni, addirittura una fisica diversa da quella che oggi sappiamo descrivere. Fenomeni nuovi saranno quasi sicuramente rari, e dobbiamo assicurarci di non perderli.”
La combinazione di osservazioni frequenti e su larga scala apre infatti la possibilità di scoprire comportamenti stellari inediti, esplosioni (outburst) pre-supernove o oggetti transienti con curve di luce mai osservate. In particolare, Rubin osserverà decine di migliaia di supernove, tra cui circa 10.000 supernove superluminose (contro le circa 200 conosciute a oggi) e fino a 50 chilonove (contro le due di ora). Numeri sufficienti per passare dallo studio di singoli casi a una vera statistica delle esplosioni cosmiche.

Ma il Rubin Observatory (il cui nome in origine era Large Synoptic Survey Telescope – LSST, appunto, acronimo poi riutilizzato per il nome del progetto) non si chiama così per caso. Dedicato all’astrofisica statunitense Vera C. Rubin (1928-2016), che a partire dagli anni settanta, grazie allo studio delle curve di rotazione delle galassie, fornì una prova cruciale dell’esistenza della materia oscura, sarà naturalmente impegnato anche nella mappatura di questa e dell’energia oscura. “Un primo filone di indagine, in questo senso – commenta Brescia – sarà la misurazione dell’effetto di lente gravitazionale, ossia la deflessione della luce proveniente da galassie distanti dovuta all’influenza gravitazionale della massa interposta (appunto la materia oscura) tra sorgente osservata e osservatore.” Misurandolo con precisione, Rubin permetterà così di ricavare la distribuzione della materia oscura lungo la linea di vista.
Un secondo filone sarà quello legato all’identificazione e all’analisi degli ammassi di galassie come traccianti della materia oscura. “Gli ammassi di galassie sono dei perfetti ed enormi laboratori in cui studiare gli effetti gravitazionali reciproci nella popolazione di galassie – prosegue Brescia –, da cui si possono ricavare le interazioni fra materia ordinaria e materia oscura e la densità complessiva di quest’ultima negli ammassi.” A questi due filoni principali se ne aggiungono altri, come, per esempio, l’impiego dell’enorme quantità di supernove di tipo Ia che verranno rivelate da Rubin come indicatori di distanze cosmiche, capaci pertanto di perfezionare i modelli di accelerazione cosmica nell’espansione dell’Universo, influenzata sia dalla materia che dall’energia oscura.

Ma il Rubin Observatory – un’iniziativa congiunta della National Science Foundation (NSF) e del Department of Energy’s Office of Science degli Stati Uniti – rappresenta anche un cambio di paradigma nel modo in cui si fa scienza. I dati saranno pubblici e distribuiti, accessibili da Cile e Stati Uniti fin dal primo momento, e completamente aperti al resto del mondo dopo due anni. Più di 30 paesi partecipano al progetto, tra cui l’Italia, che contribuisce con risorse osservazionali e sviluppo software. “È davvero un progetto che ha il potenziale per democratizzare la scienza del cielo”, commenta Bianco.
Oltre al suo valore intrinseco, il Rubin è anche un precursore dell’astronomia del futuro: distribuita, automatizzata, multimodale e orientata all’analisi di big data. In questo contesto, l’osservazione del cielo non sarà più questione di puntare un telescopio, ma di saper interrogare al meglio un archivio cosmico vivo e dinamico, aggiornato in tempo reale. Con Rubin, l’universo non è più una collezione di immagini statiche, ma una sequenza temporale estesa, un film ad altissima risoluzione della volta celeste. Guardarlo significherà osservare stelle che si accendono e si spengono, galassie che si fondono, asteroidi minacciosi che passano vicini alla Terra, e, forse, fenomeni che non rientrano ancora nei modelli noti.
“La combinazione di alta cadenza e campo largo permette di espandere i limiti di altri telescopi”, spiega Sara (Rosaria) Bonito, dell’INAF – Osservatorio astronomico di Palermo, che rappresenta l’INAF nel Board of Directors della LSST Discovery Alliance del Vera C. Rubin Observatory ed è co-chair della Transients and Variable Stars Science Collaboration (TVSSC). “Per la prima volta sia variabilità in tempo reale che oggetti deboli o distanti saranno accessibili nello stesso tempo e a grande scala. Ciò vale dalle regioni di formazione stellare fino a eventi rari.” Per esempio, per le stelle in formazione, Rubin sarà ideale per investigare tutti i tempi scala, dalla variabilità su scale temporali corte, dell’ordine di minuti, ore o giorni, sia quella su scale temporali lunghe, come tutta la durata della survey di circa dieci anni, per una descrizione di oggetti astrofisici complessi. In questo senso, Rubin non è soltanto un telescopio, ma una lente temporale sull’universo, pensata per scoprire ciò che cambia, ciò che sfugge e ciò che, finora, nessuno aveva mai pensato di cercare.
Come commenta ancora Bonito, la tecnologia innovativa, dalla camera più grande costruita finora, alla velocità di puntamento, alla capacità di acquisizione di 20 terabyte (20 TB) di dati per notte e distribuzione in pochi minuti di circa dieci milioni di allerte a notte, trasformerà la nostra conoscenza: una singola campagna osservativa per rispondere a temi scientifici molto vasti, dalla nostra galassia alla materia oscura, dal nostro sistema solare al cielo transiente e variabile. Si tratta di un insieme di dati senza precedenti per conoscere l’universo profondo e dinamico e creare un filmato del nostro universo nello spazio e nel tempo. “Ma è anche un progetto ideale come investimento per le generazioni future di ricercatrici e ricercatori, anche le persone che proprio adesso stanno decidendo di intraprendere un percorso STEM: risultati scientifici rivoluzionari per il prossimo decennio che iniziano proprio oggi”, conclude Bonito.