C’è un nuovo candidato per il Pianeta Nove
Una ricerca rilancia la caccia al pianeta nascosto nelle oscurità più remote del sistema solare, con dati d’archivio e valutazioni caute da parte della comunità scientifica. In attesa che potenti, nuovi osservatori come il telescopio Vera Rubin possano dirimere la questione della sua esistenza
di Emiliano Ricci
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Una ricerca rilancia la caccia al pianeta nascosto nelle oscurità più remote del sistema solare, con dati d’archivio e valutazioni caute da parte della comunità scientifica. In attesa che potenti, nuovi osservatori come il telescopio Vera Rubin possano dirimere la questione della sua esistenza
Da quasi un decennio, una delle ipotesi più affascinanti e controverse dell’astronomia moderna riguarda l’esistenza di un pianeta nascosto, chiamato “Pianeta Nove” (così chiamato dopo la riclassificazione di Plutone a pianeta nano, ma noto anche come “Pianeta X”), un corpo massiccio che orbiterebbe nelle oscurità più remote del nostro sistema solare. La sua possibile presenza è stata proposta per spiegare un enigma celeste: lo strano comportamento di alcuni oggetti della fascia di Kuiper, i cosiddetti TNO (Trans-Neptunian Objects, oggetti trans-nettuniani), il cui raggruppamento orbitale e le anomalie nei moti sembrano spiegabili solo con la presenza di un corpo massivo esterno.
L’ipotesi è stata formalizzata nel 2016 da due ricercatori del California Institute of Technology (Caltech) di Pasadena, negli Stati Uniti, Konstantin Batygin e Michael (Mike) Brown. Per inciso, quest’ultimo è noto per aver partecipato alla “detronizzazione” di Plutone, contribuendo proprio alla sua riclassificazione come pianeta nano. Ironia della sorte, oggi Brown è diventato il principale promotore dell’idea che esista un vero nono pianeta da scoprire, non uno qualsiasi: secondo i modelli, dovrebbe essere almeno dieci volte la massa della Terra e orbitare a una distanza media di 700 unità astronomiche dal Sole, oltre 23 volte la distanza che separa Nettuno dalla nostra stella. (L’unità astronomica, UA, è la distanza media Terra-Sole, pari a circa 150 milioni di chilometri.)
Tuttavia, trovare questo presunto pianeta si è rivelato estremamente difficile. Diverse survey ottiche hanno esplorato il cielo in cerca di tracce, senza successo. Il problema è che a quelle distanze il Pianeta Nove rifletterebbe pochissima luce solare. Per questo motivo, gli occhi degli astronomi si stanno spostando verso un’altra lunghezza d’onda: l’infrarosso. E proprio in questa direzione si muove la nuova, promettente, ma ancora molto prudente, ricerca pubblicata su “Publications of the Astronomical Society of Australia”, ed effettuata da un gruppo di astronomi guidato da Terry Long Phan, della National Tsing Hua University di Taiwan, studente di dottorato, e dal professor Tomotsugu Goto, suo supervisore. “La nostra ricerca si concentra sull’individuazione di un nuovo ipotetico pianeta nel sistema solare esterno, utilizzando i dati di due survey all-sky nel lontano infrarosso, le cui epoche sono separate da 23 anni”, spiega Phan. “Le caratteristiche di questo pianeta sono basate su precedenti simulazioni, come quelle di Batygin e Brown del 2016.”

Prima di questo lavoro, molti gruppi di ricerca avevano tentato di cercare il Pianeta Nove utilizzando indagini ottiche, con strumenti sensibili alla radiazione visibile, senza tuttavia riuscire a individuare nessun candidato Pianeta Nove. Il motivo è che la luce del Sole deve viaggiare verso il Pianeta Nove e poi riflettersi sulla Terra. Di conseguenza, la luce solare degenera più velocemente dell’emissione termica nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso, che viaggia solo dal Pianeta Nove alla Terra (in pratica deve percorrere metà della distanza). Pertanto, le rilevazioni all’infrarosso offrono maggiori possibilità di trovare il Pianeta Nove.
“D’altra parte, poiché le caratteristiche del Pianeta Nove sono incerte, occorrono indagini all-sky per coprire un’ampia area di ricerca. Le due survey all-sky nel lontano infrarosso, condotte coi satelliti IRAS nel 1983 e AKARI tra 2006 e 2007, soddisfano questi requisiti grazie alla loro copertura di lunghezze d’onda comprese tra 12 e 160 micrometri”, prosegue Phan.
Studi successivi, anche recenti, hanno affinato le stime dell’ipotetica massa del Pianeta Nove (fra sei e otto masse terrestri, secondo modelli dinamici più recenti) e hanno proposto intervalli più ampi per la sua orbita, fra 380 e 800 unità astronomiche, con eccentricità tipiche comprese fra 0,2 e 0,6. Considerata la distanza, si prevede che il Pianeta Nove si muova molto lentamente, di pochi minuti d’arco all’anno sul cielo, quindi occorrono osservazioni con una grande separazione epocale (come, per esempio, i 23 anni che separano le osservazioni di IRAS e AKARI) per rilevare il suo moto fra le stelle. “Il nostro obiettivo è cercare il Pianeta Nove entro 500-700 unità astronomiche e un intervallo di massa compreso tra 7 e 17 masse terrestri”, conferma Phan.
Per individuare i possibili candidati, il gruppo di astronomi ha dapprima rimosso tutte le sorgenti identificate in altri cataloghi sia dal set di dati di IRAS che da quello di AKARI. Successivamente, ha cercato coppie di oggetti in movimento – uno da IRAS e uno da AKARI – entro circa 70 minuti d’arco l’uno dall’altro, che è la separazione angolare prevista per un oggetto distante su un intervallo di 23 anni. Su due milioni di oggetti, solo 13 coppie candidate hanno superato questa selezione. “La maggior parte delle coppie di candidati si è rivelata un falso positivo”, conferma Phan. “Tuttavia, abbiamo identificato un candidato promettente che è coerente con le proprietà attese del Pianeta Nove. Questo oggetto è evidenziato e discusso in dettaglio nel nostro articolo. La separazione angolare di questa coppia di candidati è di 47,5 minuti d’arco, corrispondenti a una distanza di circa 645 UA.”
Ma due sole rilevazioni di IRAS e AKARI non sono sufficienti per determinare l’orbita completa di questo nuovo candidato. Per limitare la sua traiettoria e verificarne la natura, sono indispensabili ulteriori osservazioni. Studi recenti di Brown e altri hanno sottolineato che sono necessarie nove rilevazioni per valutare l’orbita kepleriana collegata e ridurre il numero di falsi positivi. “Per questo motivo – spiega ancora Phan – stiamo preparando una proposta di osservazione per la Dark Energy Camera (DECam) [una camera CCD ad alte prestazioni e ad ampio campo montato al fuoco primario del telescopio di quattro metri Víctor M. Blanco dell’Osservatorio Interamericano di Cerro Tololo, in Cile; NdA], in modo da ottenere ulteriori rilevamenti e determinare con precisione la sua orbita. Solo con un’orbita ben circoscritta potremo confermare se il nostro candidato è davvero il Pianeta Nove. Una volta conosciuta l’esatta posizione del nostro candidato, potremo avvalerci di indagini più profonde con telescopi ottici molto potenti.”
Pur riconoscendo che i dati utilizzati provenienti dalle missioni IRAS e AKARI sono validi, il già citato Mike Brown, professore di astronomia planetaria presso il Caltech, tra i massimi esperti coinvolti nella ricerca del Pianeta Nove, guarda con cautela alla possibile individuazione segnalata da Terry Phan e colleghi e ne sottolinea i limiti: “I dati sono affidabili, ma limitati,” commenta. “Quello che abbiamo scoperto facendo le nostre ricerche è che servono molte potenziali rilevazioni per confermare che ciò che si osserva sia davvero un oggetto del sistema solare esterno, e non qualche altra rilevazione, reale o artefatto.” Nel lavoro di Phan, la possibile traccia del Pianeta Nove si basa su due soli rilevamenti, distanti 23 anni, che mostrano uno spostamento angolare compatibile con un oggetto a circa 645 unità astronomiche di distanza. Ma secondo Brown, un numero così esiguo non può bastare: “Direi che è molto più probabile che si tratti di un artefatto strumentale, o di un oggetto noto mal catalogato.”
La sua valutazione è netta anche sul piano operativo: “Non abbiamo intenzione di cercare di seguire questo particolare candidato.” Secondo Brown, per poter distinguere con affidabilità un pianeta reale da un falso positivo, sarebbero necessarie almeno cinque o sei rilevazioni, distribuite nel tempo, da survey indipendenti, una condizione che al momento non è soddisfatta. Quanto al metodo basato su dati d’archivio, Brown ne riconosce la legittimità, ma ritiene che le prospettive più concrete si trovino altrove. “Il nuovo Vera Rubin Observatory, appena inaugurato in Cile, ha davvero le migliori possibilità di trovare il Pianeta Nove,” afferma. “Coprirà tutto il cielo molte e molte volte, il che significa che potrà confermare l’oggetto più volte. Sono entusiasta: credo davvero che abbiamo buone possibilità di trovarlo presto.”
La ricerca di Phan mostra che anche i dati d’archivio possono contribuire alla caccia al Pianeta Nove, ma ne evidenzia anche i limiti. Senza osservazioni aggiuntive, il candidato individuato resta solo un’ipotesi da verificare. Il giudizio cauto di Brown riflette l’esigenza di rigore metodologico in un ambito in cui i falsi positivi sono frequenti. La scoperta del pianeta, se esiste, richiederà una copertura osservativa più estesa e ripetuta nel tempo. In questo senso, strumenti come il Vera Rubin Observatory potrebbero davvero fare la differenza. Nel frattempo, ogni tentativo contribuisce a delimitare meglio il problema. Ma la strada per arrivare a scoprire chi prenderà il posto di Plutone come nono pianeta del sistema solare sembra ancora lunga.