I “pozzi di scienza” dell’Irpinia: studiare le pressioni dei fluidi partendo dalle perforazioni petrolifere
A cura di: Eleonora Vitagliano, Luigi Improta, Luca Pizzino e Nicola D’Agostino
Tratto da INGVTERREMOTI
Undici pozzi petroliferi perforati tra il 1961 e il 1999 in Irpinia e nelle regioni vicine rappresentano oggi una fonte preziosa di informazioni sul sottosuolo. Questi pozzi, identificati come “sterili” dal punto di vista minerario, hanno attraversato sequenze di rocce molto simili a quelle della Val d’Agri e del Sannio in Appennino meridionale, aree in cui, storicamente, sono stati scoperti e sfruttati giacimenti di idrocarburi. Nonostante non abbiano raggiunto risorse petrolifere, questi pozzi profondi – in alcuni casi oltre 5000 metri – attraversano complesse falde tettoniche e permettono oggi a geologi e geofisici di osservare il sottosuolo dell’Appennino meridionale con occhi nuovi. In particolare, offrono informazioni cruciali sui processi che coinvolgono i fluidi sotterranei, come acqua, anidride carbonica e idrocarburi.
Un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha analizzato i dati geologici, geofisici e geochimici acquisiti durante la perforazione di questi pozzi esplorativi, ricostruendo l’andamento delle pressioni dei fluidi nel sottosuolo dell’Irpinia. Lo studio, che si inserisce in una più ampia ricerca che indaga come le variazioni idrologiche legate alla ricarica degli acquiferi carbonatici (forzanti idrologiche) influenzano le deformazioni crostali in aree tettonicamente attive, ha portato a nuove osservazioni sulla circolazione dei fluidi sotterranei, sul rapporto con le fratture delle rocce (faglie) e sulle possibili relazioni con la sismicità, che, sin dal terremoto distruttivo dell’Irpinia avvenuto nel 1980, ha continuato ad interessare la regione sotto forma di debole sismicità (micro-sismicità).
Un sottosuolo permeabile fino a grandi profondità
I dati di pozzo mostrano che la pressione dei fluidi è per lo più idrostatica: corrisponde cioè a quella esercitata da una colonna d’acqua estesa dalla superficie fino al punto di misura interno al pozzo. Questa condizione suggerisce l’esistenza di una continuità idraulica nel sistema roccioso, cioè di una connessione dei fluidi all’interno della microporosità della roccia, non interrotta da barriere di permeabilità. Sorprendentemente, questa continuità si osserva anche in formazioni rocciose molto diverse per origine e composizione, impilate l’una sull’altra a causa delle forze tettoniche che hanno dato origine alla catena appenninica.

Due serbatoi d’acqua e gas nel cuore dell’Appennino Meridionale
Per comprendere il significato delle nuove osservazioni, è utile fare una panoramica del contesto geologico a partire dal quadro scientifico attuale. In Irpinia, come in altre zone appenniniche, esistono due grandi sistemi rocciosi permeabili:
- Un sistema superficiale, formato da rocce carbonatiche fratturate e carsificate (come quelle dei Monti Picentini e del Monte Marzano), che raccolgono l’acqua piovana e alimentano le grandi sorgenti della zona, con portate di migliaia di litri al secondo.
- Un sistema profondo, costituito anch’esso da rocce carbonatiche fratturate analoghe a quelle affioranti nelle Murge, ma sepolto in profondità, al di sotto del sistema superficiale. Qui i fluidi naturali generati dal mantello e dalla crosta, tra cui anidride carbonica e idrocarburi, interagiscono con i fluidi acquosi originati principalmente dai processi di formazione delle rocce sedimentarie e si accumulano. Uno strato impermeabile formato prevalentemente da argilla sigilla questi accumuli e impedisce ai fluidi di risalire verso minori profondità. Alcuni autori ritengono che questi fluidi siano immagazzinati in condizioni di sovrapressione.
Questi due serbatoi, anche se separati da strati impermeabili, si influenzano a vicenda a causa del peso che il sistema superficiale esercita su quello profondo. Nel periodo delle piogge, con il maggiore immagazzinamento d’acqua piovana nel sistema superficiale, il peso aumenta e, viceversa, nel periodo di magra diminuisce. Questo meccanismo secondo alcuni autori contribuisce alla lenta deformazione di carattere stagionale degli strati superficiali della crosta terrestre e all’attivazione delle faglie profonde, favorendo il rilascio dei fluidi e incrementando la micro-sismicità.
Nuove scoperte e nuove domande
L’analisi dei pozzi ha rivelato che le condizioni idrostatiche si estendono molto in profondità, non solo nei due sistemi rocciosi descritti, ma anche in strati di roccia solitamente considerati poco permeabili, come le argille e i calcari-argillosi, interposti tra i due. Questo suggerisce che l’acqua piovana potrebbe penetrare e circolare nel sottosuolo attraverso percorsi più lunghi di quanto si è ipotizzato finora.
Il sistema profondo può immagazzinare fluidi in condizioni idrostatiche, come nel caso dell’anidride carbonica individuata in fondo al pozzo Acerno-1 nel Salernitano, oppure essere attraversato da fluidi in risalita verso la superficie e in condizioni idrostatiche, come nel caso del pozzo Monte Forcuso-1 in Irpinia.

Figura 1: Andamento della pressione di poro rispetto alla profondità in due pozzi analizzati nello studio.
Tuttavia, intervalli rocciosi con sovrapressioni sono stati individuati in strati argillosi, calcareo-argillosi e gessosi, legati anche a faglie di grandi dimensioni che hanno giocato un ruolo chiave per l’impilamento delle falde tettoniche nel passato. Infine, proprio gli ultimi eventi di compressione tettonica che hanno portato alla strutturazione dell’Appennino meridionale sembrano aver determinato la formazione delle sovrapressioni osservate ancora oggi.
Verso una maggiore comprensione
Questo studio getta nuova luce sui meccanismi di circolazione dei fluidi nel sottosuolo appenninico e sul loro legame con la sismicità. Le osservazioni incoraggiano lo sviluppo di approcci multidisciplinari, capaci di integrare dati geologici, geofisici, geochimici e geotecnici per comprendere meglio alcuni complessi processi naturali. Inoltre, i dati sulla composizione chimica e isotopica dei fluidi presenti nei pozzi profondi saranno confrontati con quelli già noti delle sorgenti termali e dei gas che fuoriescono naturalmente dal suolo in Irpinia. Queste analisi apporteranno nuove conoscenze sul percorso di risalita dei fluidi dalle zone origine (crosta e mantello) alla superficie e sul contributo dei fluidi nella genesi della sismicità.
Pozzi che un tempo sembravano “inutilizzabili” per l’industria petrolifera, oggi si rivelano strumenti preziosi per conoscere meglio il sottosuolo dell’Italia.
A cura di: Eleonora Vitagliano, Luigi Improta, Luca Pizzino e Nicola D’Agostino
L’articolo scientifico è stato pubblicato sulla rivista Tectonophysics ed è disponibile al seguente link: https://doi.org/10.1016/j.tecto.2025.230761