L’ORCHESTRA ATMOSFERICA RIPRENDE A SUONARE
L’ORCHESTRA ATMOSFERICA RIPRENDE A SUONARE
di Andrea Corigliano – Fisico dell’Atmosfera
Dobbiamo sempre guardare a ovest. Il nostro tempo viene da ovest perché si muove in quel letto di correnti occidentali che in gergo tecnico chiamiamo flusso zonale. Nella stagione autunnale sale in cattedra la depressione d’Islanda, espressione al livello del mare di quel vasto ingranaggio atmosferico che richiama a sé l’aria calda proveniente dalle medie latitudini e quella fredda di origine artica per dar luogo ai continui contrasti termici che alimentano la depressione stessa e agevolano la formazione dei sistemi frontali, cioè delle perturbazioni che poi la stessa circolazione invia verso il nostro continente. Nell’infinito scorrere c’è sempre una grande ruota che gira, c’è sempre in impulso che parte e, se indirizzato verso il Mediterraneo, c’è sempre una depressione secondaria pronta ad accoglierlo prendendolo per mano per guidarlo nel suo spostamento alle nostre latitudini.

Perché l’atmosfera non ha confini e, nel caos che da sempre la governa, riesce comunque a mettere ordine nello schema evolutivo degli eventi come se fosse un’orchestra in cui ogni strumento sa quanto iniziare a suonare seguendo il direttore che, in questo caso, è proprio quella depressione atlantica che tanta influenza ha sul tempo del nostro continente. In questo modo tutti gli orchestrali intervengono portando il proprio contributo: la saccatura che si fa strada verso l’Italia, il ramo della corrente a getto che entra sul Mediterraneo, la vorticità ciclonica, la convergenza dei flussi nei bassi strati, i moti verticali dell’aria, l’energia disponibile per la convezione, il vapore acqueo proveniente dalla superficie marina e lo sbarramento orografico, giusto per citare i più importanti. Lo chiamiamo cambiamento del tempo o peggioramento, ma se andiamo dietro le quinte troviamo tanti addetti ai lavori che sono lì per far sì che, alla fine, il cielo si copra di nubi e da queste cadano gocce di pioggia con diversa intensità. Ci sono infine i modelli fisico matematici: dei cervelloni che non si stancano mai di risolvere sistemi di equazioni per far sì che quello che succede dietro le quinte, prima che la perturbazione entri sul palcoscenico, possa essere previsto e quindi dare a noi la possibilità di conoscere già la trama per sommi capi, salvo qualche colpo di scena che qualche volta può anche scappare: noi lo chiamiamo «bassa attendibilità dell’evento», una sorta di imprevedibilità che ci spinge a vedere ogni volta come andrà a finire per capirne sempre di più.