La nascita della plastica: da materiale salvifico a sfida globale

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La nascita della plastica: da materiale salvifico a sfida globale

Da materiale che imita la natura a uno dei maggiori inquinanti del pianeta: la storia della plastica, l’invenzione che ha cambiato il mondo
di Marina Locritani, Anita Grezio e Lili Cafarella
tratto da INGVAMBIENTE

Le origini: imitare la natura

La plastica è uno dei materiali simbolo della modernità, benché la sua storia sia relativamente recente. Le prime sperimentazioni risalgono alla metà dell’Ottocento: nel 1862 l’inglese Alexander Parkes presentò la Parkesine, derivata dalla cellulosa nitrata. Poco dopo, negli Stati Uniti, John Wesley Hyatt perfezionò la celluloide, destinata a sostituire l’avorio nella produzione delle palle da biliardo. Questa funzione imitativa – ridurre la pressione su risorse naturali come l’avorio o i gusci di tartaruga – spiega la prima accoglienza positiva della plastica, percepita come un materiale capace di conciliare innovazione e tutela dell’ambiente.

La svolta della bachelite

Il vero salto di qualità avvenne nel 1907 con l’invenzione della bachelite da parte del chimico belga Leo Baekeland: la prima resina interamente sintetica. Resistente al calore e agli agenti chimici, trovò applicazioni immediate nell’industria elettrica e automobilistica. Seguì un’intensa stagione di innovazioni: cellophane (1913), PVC (1927), nylon (1935), polietilene (1933–1942), polistirene e, nel dopoguerra, polipropilene, scoperto dall’italiano Giulio Natta e premiato con il Nobel nel 1963. Grazie al lavoro di Natta si è arrivati anche alla produzione della formica, un materiale protagonista nel successivo boom economico italiano.

Guerra e dopoguerra: l’accelerazione della produzione

La seconda guerra mondiale rappresentò un potente catalizzatore per l’industria dei polimeri sintetici. Nylon, polietilene e PTFE furono impiegati in settori strategici come l’aeronautica, l’elettronica e la produzione di equipaggiamenti militari. Al termine del conflitto, le capacità produttive accumulate furono riconvertite ai consumi civili. Negli anni Cinquanta e Sessanta, la plastica divenne protagonista del quotidiano: packaging alimentare, tessuti sintetici, elettrodomestici e giocattoli contribuirono a definire un nuovo modello di società dei consumi.

Il boom degli anni Settanta

Tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta si verificò un vero boom produttivo e culturale della plastica. La produzione mondiale crebbe a ritmi senza precedenti, passando dai circa 25 milioni di tonnellate del 1970 a oltre 60 milioni nel 1980. L’industria chimica, forte di nuovi processi catalitici e della diffusione del polipropilene isotattico, moltiplicò le applicazioni possibili.

La plastica si impose come simbolo di modernità e democratizzazione dei consumi: contenitori monouso, bottiglie leggere, tessuti tecnici e arredi di design trasformarono abitudini quotidiane e stili di vita. Non a caso, Roland Barthes le dedicò una celebre pagina delle sue Mythologies (1957), definendola “un materiale miracoloso” capace di sostituire qualsiasi sostanza naturale. La sua versatilità la rese un materiale onnipresente, dai settori industriali più avanzati – elettronica, automotive – fino alla cultura pop e alla moda.

Questo periodo segnò anche l’inizio della cultura dell’“usa e getta”: prodotti a basso costo, pensati per un utilizzo breve, trovarono rapida diffusione, soprattutto negli imballaggi. Una scelta che, a distanza di decenni, si rivela cruciale per comprendere l’attuale crisi ambientale.

L’era della plastica globale

Dagli anni Ottanta in poi la crescita si è ulteriormente accelerata: 187 milioni di tonnellate nel 2000, 265 milioni nel 2010, 348 milioni nel 2017 e oggi eccede le 450 milioni di tonnellate all’anno. Il tasso di crescita annuo previsto per il periodo 2020/2027 è circa il 3,2%. Secondo le stime più accreditate, dal 1950 al 2017 sono state prodotte oltre 8 miliardi di tonnellate di plastica di cui 6 miliardi di tonnellate sono state convertite in rifiuti di plastica e solo il 9% è stato riciclato. Gran parte della plastica, quindi, è ancora presente nell’ambiente come rifiuti o microplastiche.

Dalla storia alla scienza: il problema odierno

La stessa durabilità che aveva decretato il successo industriale e tecnologico della plastica è oggi la causa della sua criticità ambientale. Una volta disperse, le plastiche non si degradano in tempi brevi, ma si frammentano progressivamente in micro- e nanoplastiche. Queste particelle, simili al plancton per dimensioni e comportamento, entrano nelle catene trofiche marine con effetti ancora in parte da comprendere, ma potenzialmente rilevanti per gli ecosistemi e per l’uomo.

Le osservazioni oceanografiche hanno individuato cinque grandi accumuli oceanici di rifiuti plastici – le cosiddette isole di plastica – situati nei principali vortici subtropicali del Pacifico, dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano. 

A queste si aggiunge un sesto accumulo nel Mediterraneo, mare semichiuso che concentra circa il 7% delle microplastiche globali. Qui le densità raggiungono valori paragonabili ai grandi vortici oceanici, con punte particolarmente elevate nel Santuario dei Cetacei, tra Liguria, Toscana e Corsica, anche se, a causa dell’alta variabilità delle correnti, non si generano accumuli “stabili”.

Nel Mediterraneo, i ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) collaborano a programmi internazionali di monitoraggio che integrano osservazioni dirette, dati satellitari e modelli numerici. Queste ricerche consentono di comprendere meglio come la plastica si distribuisca nella colonna d’acqua, venga trasportata dalle correnti e si accumuli nei fondali marini.

Dal materiale del futuro a sfida del presente

La parabola storica della plastica racconta il paradosso di un materiale nato per alleviare la pressione sulle risorse naturali e divenuto una delle principali fonti di inquinamento globale. Affrontare questa contraddizione significa integrare ricerca scientifica, politiche internazionali e innovazione tecnologica per ridurre la dispersione, promuovere il riciclo e sviluppare biopolimeri più sostenibili. L’obiettivo è una economia circolare che sappia preservare i benefici della plastica riducendone al minimo l’impatto sugli ecosistemi e sulla salute.

La plastica nel Mediterraneo

Ogni anno finiscono nel Mediterraneo circa 570.000 tonnellate di plastica:
l’equivalente di 33.800 bottigliette gettate in mare ogni minuto.
Questi rifiuti hanno impatti significativi sulla fauna marina e sugli habitat costieri. Molti affondano dopo l’incrostazione di specie animali o vegetali, accumulandosi sui fondali e rendendo il problema difficile da monitorare.

Considerando l’intero ciclo di vita delle materie plastiche — dalla produzione all’uso e allo smaltimento — la loro impronta di carbonio rappresenta il 3,4% delle emissioni globali di gas serra.

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