NON SI MUORE MAI DA SOLI

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NON SI MUORE MAI DA SOLI

Tratto da “La morte e la vita dopo la morte”
di Elisabeth Kubler-Ross
www.fisicaquantistica.it

I bambini malati terminali, subito prima della morte incominciano a rendersi conto, che sono in grado di lasciare il loro corpo fisico, ed hanno quelle che noi chiamiamo “esperienze extra-corporee”. Tutti noi abbiamo questo tipo di esperienza in certi stadi del sonno, ma pochissimi ne sono consapevoli. E’ durante queste uscite dal corpo che i pazienti moribondi, giovani e vecchi, si rendono conto della presenza di certi esseri che li circondano, che li guidano e li aiutano. I bambini spesso ne parlano come di compagni di gioco. La Chiesa li chiama Angeli custodi, la maggior parte delle persone li chiama semplicemente guide.

Al di là di questo, è importante sapere che ogni essere umano, viene accompagnato e aiutato da queste guide o angeli, sia durante la vita, che nel passaggio finale della morte ed anche oltre. Inoltre, tutti noi saremo ricevuti da coloro che abbiamo amato e che ci hanno preceduto nella morte. Per questo motivo non è mai possibile per nessuno morire da solo. Inoltre quando lasciamo, temporaneamente, il nostro corpo fisico prima della morte, ci troviamo in una condizione in cui lo spazio e il tempo non esistono. E in questa condizione possiamo andare ovunque, alla velocità del pensiero e stare con chiunque vogliamo.

Siamo stati tutti dotati di una scintilla divina e questo include non solo il libero arbitrio, ma anche la capacità di liberarci del corpo fisico, non solo al momento della morte, ma anche in momenti di crisi o di stanchezza, in circostanze eccezionali o durante un certo tipo di sonno. E naturalmente anche prima della morte. Sono sempre più numerosi gli scienziati e i ricercatori che si dedicano a questo tipo di studi, e incominciano a investigare una dimensione che è difficile concepire col nostro concetto materiale della vita.

Purtroppo molti mettono in dubbio la presenza di queste guide. Ma come è possibile allora verificare scientificamente questo tipo di avvenimento? Il modo migliore per farlo, per me, fu stare accanto a bambini moribondi che si trovavano in quello stato in seguito ad incidenti avuti con la famiglia. Mi assunsi il compito di assistere questi bambini gravemente feriti, sapendo bene, che nessuno li aveva informati dei parenti rimasti uccisi nell’incidente, e verificai di persona, come essi sapessero benissimo, chi dei loro familiari li aveva già preceduti nella morte e chi invece era ancora in vita.

Prima che sopraggiungesse la morte, spesso chiedevo loro di descrivermi che cosa gli stesse succedendo, e la risposta era quasi sempre la stessa: “Va tutto bene”. Una volta un piccolo paziente, prima di morire, mi disse: “Mamma e Peter mi stanno aspettando”. Sapevo che la madre era morta nell’incidente, e quindi non mi stupii, ma non sapevo nulla riguardo al fratello Peter. Dieci minuti dopo, ricevetti una telefonata da un altro ospedale, che mi avvertiva che Peter era appena spirato.

In tutti gli anni durante i quali raccolsi questo tipo di dati, non mi è mai capitato un bambino che, nell’imminenza della morte, nominasse qualcuno che non fosse già deceduto, anche solo da qualche minuto. Questo ci fa capire come i morenti abbiano una consapevolezza assoluta della presenza dei loro cari già morti che li aspettano nell’aldilà, e che esista con essi un qualche tipo di comunicazione che noi non possiamo capire o che spesso non accettiamo e non crediamo possibile.

Tratto da “La morte e la vita dopo la morte”
di Elisabeth Kubler-Ross

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