5 DICEMBRE 1456: IL DEVASTANTE TERREMOTO Mw 7.2 CHE FECE 30MILA MORTI TRA CAMPANIA, MOLISE E ABRUZZO

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5 DICEMBRE 1456: IL DEVASTANTE TERREMOTO Mw 7.2 CHE FECE 30MILA MORTI TRA CAMPANIA, MOLISE E ABRUZZO

La notte del 5 dicembre 1456 una lunghissima scossa di terremoto causò distruzioni in un’area eccezionalmente ampia dell’Italia centro-meridionale
tratto da www.eventiestremiedisastri.it

Tra i più forti di tutti i tempi in Italia e complesso dal punto di vista sismotettonico. Potrebbe essere costituito da una sequenza sismica di più eventi che avrebbero sommato i loro effetti (epicentri nel Sannio, sul fiume Pescara e nel Matese).

Il terremoto del dicembre 1456 colpì una vasta area del Regno di Napoli, governata dagli Aragonesi, comprendente le attuali regioni Campania, in particolare l’area del Sannio e del Matese, l’Abruzzo meridionale, il Molise e parte della Basilicata. Questo è uno dei terremoti più devastanti della storia sismica italiana.

I centri colpiti furono numerosi: da grandi città come Napoli, Benevento e L’Aquila, alle piccole città e ai popolosi paesi della pianura campana, nei dintorni di Benevento e Avellino, e fino ai castelli del Sannio e dell’Abruzzo.

MORTI

Il numero dei morti causato da questo grande evento non è ricavabile con precisione dalle fonti coeve, ma probabilmente non fu inferiore a 60.000.
Particolarmente colpite, con più del 50% di vittime rispetto alla popolazione residente furono Apice, Ariano Irpino, Bojano, Campochiaro, Isernia, Paduli, Tocco da Casauria.

La rete insediativa del Regno di Napoli colpita da questo disastro sismico era molto diversificata. I centri di pianura si basavano prevalentemente sulle attività agricole; quelli appenninici, a parte i castelli fortificati con funzioni militari, erano basati su una economia agro-pastorale, che sfruttava la transumanza verso i pascoli pugliesi.
I numerosi paesi e villaggi avevano una scala demografica per il tempo non piccolissima, che era valutata sul numero di fuochi (un’unità fiscale corrispondente alle famiglie residenti che erano iscritte nei ruoli delle tasse). Dai ruoli fiscali del XV secolo si rileva che circa l’80% della popolazione risiedeva in paesi inferiori ai 200 fuochi (circa mille abitanti), anche se il numero può essere considerato in difetto.

Gli effetti

Il terremoto colpì con effetti distruttivi (intensità maggiore o uguale al IX grado MCS) oltre 90 località su un’area vastissima dell’Italia centro-meridionale.
Rilevando la vastità dell’area interessata dal terremoto, del tutto eccezionale se paragonata con quella di altri eventi noti dell’Appennino centro-meridionale, Magri e Molin (1985) per primi proposero di considerare il quadro macrosismico del terremoto come la sovrapposizione di più scosse. Nella stessa ottica Meletti et al. (1988), ipotizzando l’attivazione più o meno contemporanea di diversi segmenti di faglia, hanno messo a confronto il campo macrosismico di tutti i terremoti disastrosi dell’Appennino centro-meridionale, sufficientemente documentati, con quello del terremoto del 1456, nel tentativo di individuare significative zone di corrispondenza.

Le fonti ricordano, in effetti, che dopo la prima scossa, avvenuta nella notte del 5 dicembre 1456, circa alle ore 4 locali, repliche molto numerose si protrassero fino ai primi mesi del 1457. Tuttavia, soltanto la scossa del 30 dicembre 1456 delle ore 9:20 locali circa, è descritta di violenza confrontabile con quella del 5 dicembre, e tale da avere causato ulteriori danni gravi.
E’ anche possibile che l’evento del 5 dicembre sia derivato dall’attivazione quasi simultanea di più sorgenti sismiche, come proverebbe la inusuale durata della scossa, percepita di circa 2 minuti, segnalata da vari testimoni diretti e indipendenti. La vastissima area di danneggiamento potrebbe quindi derivare dalla sovrapposizione degli effetti di più terremoti.

All’interno dell’area complessiva degli effetti sono infatti distinguibili almeno tre zone, che potrebbero rappresentare altrettante aree epicentrali: la prima al confine tra il Sannio e l’Irpinia, nella zona di Paduli, Apice, Ariano Irpino; la seconda nel Sannio, a nord dei monti del Matese, nella zona di Bojano e Isernia; la terza nell’alta Valle del fiume Pescara, nella zona di Torre dei Passeri, Popoli, Tocco da Casauria. I bordi di tali zone si confondono e non sono facilmente distinguibili. Anche per questa difficoltà il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI 2011-http://emidius.mi.ingv.it/CPTI/) ha optato per un unico quadro degli effetti, interpretandolo come effetti cumulativi, sulla base dello studio di Meletti et al 1988.

Tuttavia un nuovo approfondimento storico di questo evento fornì successivamente altre informazioni: infatti, sovrapponendo la mappa dei paesi danneggiati (i cui danni sono attesati da una ricca e precisa documentazione) a quella dei paesi esistenti al tempo del terremoto (basata su un censimento e su documentazione ecclesiastica del tempo) Guidoboni e Comastri (2005, Catalogue of Earthquakes and Tsunamis in the Mediterranean area from the 11th to the 15th century) hanno evidenziato che i paesi danneggiati appaiono quasi “circondati” da paesi non danneggiati. L’ipotesi di più terremoti quasi concomitanti nel tempo è così divenuta più forte. La mappa in fig. 2 rappresenta questo ultimo step di ricerca.

Terremoto del 1456: in rosso i paesi danneggiati; in nero i paesi esistenti al tempo del terremoto. Sono state evidenziate quattro aree di effetti più gravi (Guidoboni e Comastri 2005).

Particolare dell’area degli effetti del terremoto del 1456, corrispondente alle aree 2) e 3) della fig. 2

Immagine complessiva dell’impatto causato dal terremoto del dicembre 1456 nell’Italia centro-meridionale. Le stelline nere indicano l’ipotesi di quattro epicentri di terremoti accaduti nello spazio di poco tempo o quasi simultaneamente.

Nonostante il devastante impatto, il terremoto non interruppe il trend demografico in ascesa attraversato dal Regno di Napoli in quel periodo. La recente analisi storiografica tende a ridimensionare gli effetti del terremoto sull’assetto demografico e territoriale delle aree colpite, in particolare in Abruzzo, dove la storiografia locale aveva segnalato un processo di decastellamento, con l’abbandono dei siti fortificati in altura e la concentrazione della popolazione nei centri maggiori della pianura. Anche se è indubbio che alcuni villaggi di fondovalle aumentarono in modo consistente il numero degli abitanti fra la metà del Quattrocento e i primi anni del secolo successivo, non sempre è provato il collegamento fra il terremoto e tale processo di crescita.

Il terremoto del 1456, come tutti i forti eventi sismici, fu anche causa di abbandoni di piccoli paesi, come mostra questo particolare di una mappa aragonese del Regno di Napoli, egregiamente studiata da Vincenzo Aversano e Silvia Siniscalchi, due cartografi storici dell’Università di Salerno.


La mappa mostra un paese abbandonato in quanto distrutto dal terremoto.

La risposta del governo

Dopo il terremoto il re Alfonso il Magnanimo non prese alcun provvedimento straordinario, anzi, ricevuta la notizia mentre si trovava in Puglia, non ritenne neppure necessario tornare a Napoli e rimase in Puglia fino ai primi di febbraio 1457.
Successivamente il re non accolse neppure le richieste di esenzione dalle tasse avanzate dalle comunità più colpite, obiettando che i superstiti erano in grado di pagarle poiché avevano ereditato i beni dei defunti.

Anche gli interventi papali furono molti limitati, indirizzati soprattutto a incoraggiare l’opera di ricostruzione di edifici ecclesiastici con la cessione di indulgenze, come per la ricostruzione della chiesa di Calvi, presso Capua e di San Bartolomeo a Benevento. Altri provvedimenti isolati si rilevano dalla lettera per indulgenze concessa a due laici di Melfi che avevano restaurato un ponte e una bolla di Pio II per la ricostruzione delle mura di Benevento.
Complessivamente il terremoto emerge come una disgrazia occasionale, che nella cultura governativa del tempo non richiedeva, pur nella sua tragicità, interventi specifici se non il ripristino di opere pubbliche, come fortezze, strade e ponti, che potevano compromettere le opere di difesa militare.
Il peso di questa ricostruzione fu quindi tutto sulla popolazione residente, di cui per altro le fonti del tempo accennano in modo sporadico e laconico.

Le previsioni degli astrologi e il primo catalogo di epoca moderna
In alcune fonti coeve si ricorda l’influenza sulla popolazione di Napoli degli astrologi, che vaticinavano altre immediate scosse dopo quella violentissima del 5 dicembre 1456, spingendo la popolazione a restare fuori dalle case. Sempre di derivazione astrologica erano alcune profezie che presagivano terremoti in altre parti d’Italia, come a Firenze e a Ferrara, che non accaddero. Gli ambasciatori presenti a Napoli presero molto seriamente questi presagi e ne chiesero conferma nelle loro missive.

Il terremoto fu un argomento di grande riflessione da parte dei filosofi naturali. L’opera più importante prodotta nell’ambito di questo disastro sismico è il famoso trattato De Terraemotu Libri tres, di Giannozzo Manetti, illustre umanista fiorentino, che si trovava alla corte di Napoli. Il trattato si compone di tre libri: il primo è un compendio delle teorie interpretative del terremoto e una sorta di nuova lettura della teoria aristotelica, aperta alla riflessione filosofica da un lato e a quella religiosa dall’altro, quasi delineando due verità, che potevano convivere in modo indipendente (un’interpretazione assai poco gradita alla Chiesa di allora). Il secondo libro contiene il primo catalogo europeo d’epoca moderna sui terremoti del passato: è un compendiato costruito sulla base degli autori classici greci e latini, riscoperti durante il Rinascimento e divenuti la base di una cultura prestigiosa e preziosa, perché attraverso la memoria storica di eventi già accaduti delineava una sorta di geografia sismica, che poteva mostrare la naturalità dell’evento terremoto. Il terzo libro contiene la descrizione paese per paese degli effetti del terremoto del 1456, probabilmente basata sulle relazioni dei governatori che erano giunte alla corte di Napoli.

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