Studiati in laboratorio i terremoti che generano tsunami: ecco perche si rompe il fondale oceanico
Svelare i possibili processi fisici che consentono a un terremoto di generare uno tsunami per sollevamento del fondale marino. ร quanto si prefigge uno studio, firmato INGV, Universitร di Padova e Firenze,ย Royal Holloway University of London, Manchester e Durham University (Regno Unito),ย Tsukuba e Kyoto University (Giappone),ย pubblicato suย Nature Geoscience
comunicazione.ingv.it
Esistono diversi tipi di tsunami, a volte generati dalla rottura di un piano di faglia,ย da collassi di apparati vulcanici o da grandi frane sottomarine innescate da terremoti. Uno studio condotto da un team di ricercatori dellโIstituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), Universitร di Padova e Firenze,ย Royal Holloway University of London,ย Manchester e Durham Universityย (Regno Unito),ย Tsukuba e Kyoto Universityย (Giappone), tenta di svelare i processi fisici che consentono a un terremoto di generare uno tsunami per sollevamento del fondale marino. La ricercaย Past seismic slip-to-the-trench recorded in Central America megathrust,ย รจ stata pubblicata su Nature Geoscience (https://www.nature.com/articles/s41561-017-0013-4).
I terremoti sono il risultato della propagazione di una rottura lungo una superficie che attraversa la crosta terrestre chiamata faglia. La propagazione della rottura consente ai blocchi di roccia a lato della faglia di spostarsi l’uno rispetto all’altro anche di decine di metri nel caso di terremoti eccezionalmente grandi (magnitudo nove). In genere, i terremoti che producono tsunami si distinguono da quelli che interessano la crosta continentale, come i recenti terremoti di Amatrice e Norcia del 2016, per avere una velocitร di propagazione della rottura piรน lenta (1-2 km/s) rispetto agli altri terremoti (2-4 km/s), consentire grandi spostamenti dei blocchi di faglia vicino al fondale marino, e avere un epicentro situato non lontano dalla fossa oceanica.

Distribution and thickness of biogenic oozes (mostly carbonaceous) on the Cocos and Nazca plates as calculated by DSDPโODPโIODP drilling results.
โFino a pochi anni faโ, spiega Paola Vannucchi, primo autore dell’articolo e ricercatrice dellaย Royal Hollowayย of London, Regno Unito โ Universitร di Firenze, โsi riteneva che le rotture sismiche non fossero in grado di propagarsi attraverso i piรน superficiali e soffici sedimenti marini ricchi in argilla. Inoltre, non era stata presa in considerazione la presenza in questi sedimenti di strati non consolidati dallo spessore di decine fino a centinaia di metri composti da gusci calcarei di microrganismi marini. In generale, si riteneva che il coefficiente di attrito di questi materiali aumentasse con la velocitร di scivolamento lungo una faglia arrestando la rottura prima che questa arrivasse a rompere il fondale marinoโ.
Lo studio ha, invece, evidenziato che la propagazione, durante grandi terremoti (magnitudo maggiore di sette), determina rotture sismiche lungo faglie dalla profonditร dove nasce il terremoto (circa 15-35 km per questi terremoti) fino al fondale marino.
โIl grande terremoto di Tohoku (magnitudo 9.0) e conseguente tsunami che ha inondato la costa settentrionale dell’arcipelago Giapponese l’11 marzo del 2011 ha messo in discussione proprio questa interpretazione. Evidenze sismologiche, geofisiche e geologiche hanno mostrato che in questo terremoto la rottura si รจ propagata fino a rompere il fondale oceanico con conseguenze devastantiโ, prosegue Vannucchi.
La rottura del fondale oceanico รจ associata all’innalzamento, anche di alcuni metri per grandi terremoti, del fondale e la conseguente energizzazione della colonna d’acqua marina sovrastante. Poichรฉ in zona di fossa oceanica la colonna d’acqua รจ di diversi chilometri di altezza, il sollevamento del fondale in questi particolari ambienti oceanici comporta la generazione di imponenti e violentissime onde di tsunami, alte fino a 20-30 metri (un palazzo di dieci piani) quando queste si infrangono sulla costa, come nel caso del terremoto di Tohoku.
โLa ricercaโ,ย aggiunge Giulio di Toro, ricercatore dellโUniversitร di Padova associato allโINGV, โunisce dati da perforazione di fondali oceanici effettuati nel Pacifico in prossimitร della fossa che costeggia il Costa Rica (America Centrale), da progettiย Integrated Oceanic Discovery Programmeย (https://www.iodp.org/ย ), da esperimenti condotti in Italia su sedimenti marini composti da argille e gusci di microrganismi marini campionati durante la perforazioneโ.
Gli esperimenti sono stati effettuati conlโapparato sperimentale SHIVA (Slow to HIgh Velocity Apparatus) che con i 300 kW (equivalente alla potenza dissipata da 100 appartamenti medi Italiani) รจ in grado di dissipare, in provini di roccia dalle dimensioni di un piccolo bicchiereย del diametro di 50mm, il piรน potente simulatore di terremoti al mondo.

โSHIVA, progettato e installato nel 2009 presso ilย Laboratorio Alte Pressioni – Alte Temperature di Geofisica e Vulcanologia Sperimentaliย ย dell’INGV di Roma, รจ una strumentazione in grado di comprendere la meccanica dei terremoti. Queste ricerche sono state finanziate da due progetti dell’Unione Europea denominati USEMS e NOFEAR (Uncovering the Secrets of an Earthquake: Multidisciplinary Study of Physico-Chemical Processes During the Seismic Cycleย eย New Outlook on seismic faults: from earthquake nucleation to arrest)”, afferma Di Toro, responsabile di questi progetti.
“Questa ricercaโ, conclude Elena Spagnuolo, ricercatrice dellโINGV, โtenta di svelare i possibili processi fisici che consentono a un terremoto di generare uno tsunami per sollevamento del fondale marino. In considerazione del fatto che questi sedimenti calcarei sono abbastanza comuni nelle fosse oceaniche e che, in base all’evidenza sperimentale, la loro presenza agevola la propagazione di una rottura sismica fino a rompere il fondale marino, si ritiene che questo fenomeno possa essere molto frequente”.
Ilย Laboratorio Alte Pressioni – Alte Temperature di Geofisica e Vulcanologia Sperimentali รจ collocato nella sede di Roma dell’INGV. Q ui sono concentrate molte attivitร analitiche e sperimentali dellโINGV a supporto delle ricerche e del monitoraggio, ma anche svilupp o di tecnologie e di nuove metodologie dโindagine . Nel laboratorio si portano avanti ricerche di spicco dellโ INGV in ambito sismologico, vulcanologico e ambient ale , alcune delle quali finanziate nell’ambito di progetti europei . Le attivitร sperimentali, svolte anche in collaborazione con laboratori di altri paesi, riguardano simulazioni e misure legate alla fisica delle rocce e dei terremoti, alle proprietร chimico-fisiche dei magmi, e la modellizzazione analogica dei processi vulcanici. Il laboratorio รจ anche un polo di attrazione per i ricercatori italiani e stranieri.

Figura1: Scienziati a bordo del R/Vย Joides Resolutionย mentre descrivono i sedimenti recuperati al largo della Costa Rica durante la Exp. 334 โ al centro Paola Vannucchi.
Abstract
Past seismic slip-to-the-trench recorded in Central America megathrust
(https://www.nature.com/articles/s41561-017-0013-4)
Paola Vannucchi (Royal Holloway, Regno Unito โ Universitร di Firenze, Italia), Elena Spagnuolo (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma), Stefano Aretusini (Manchester University, Regno Unito), Giulio Di Toro (Universitร di Padova), Stefan Nielsen (Durham University, Regno Unito), Kohtaro Ujiie (Tsukuba University, Giappone) e Akito Tsutsumi (Kyoto University, Giappone).
The 2011 Tลhoku-Oki earthquake revealed that co-seismic displacement along the plate boundary megathrust can propagate to the trench. Co-seismic slip to the trench amplifies hazards at subduction zones, so its historical occurrence should also be investigated globally. Here we combine structural and experimental analyses of core samples taken offshore from southeastern Costa Rica as part of the Integrated Ocean Drilling Program (IODP) Expedition 344, with three-dimensional seismic reflection images of the subduction zone. We document a geologic record of past co-seismic slip to the trench. The core passed through a less than 1.9-million-year-old megathrust frontal ramp that superimposes older Miocene biogenic oozes onto late MioceneโPleistocene silty clays. This, together with our stratigraphic analyses and geophysical images, constrains the position of the basal decollement to lie within the biogenic oozes. Our friction experiments show that, when wet, silty clays and biogenic oozes are both slip-weakening at sub-seismic and seismic slip velocities. Oozes are stronger than silty clays at slip velocities of less than or equal to 0.01โmโsโ1, and wet oozes become as weak as silty clays only at a slip velocity of 1โmโsโ1. We therefore suggest that the geological structures found offshore from Costa Rica were deformed during seismic slip-to-the-trench events. During slower aseismic creep, deformation would have preferentially localized within the silty clays. The 2011 Tลhoku-Oki earthquake revealed that co-seismic displacement along the plate boundary megathrust can propagate to the trench. Co-seismic slip to the trench amplifies hazards at subduction zones, so its historical occurrence should also be investigated globally. Here we combine structural and experimental analyses of core samples taken offshore from southeastern Costa Rica as part of the Integrated Ocean Drilling Program (IODP) Expedition 344, with three-dimensional seismic reflection images of the subduction zone. We document a geologic record of past co-seismic slip to the trench. The core passed through a less than 1.9-million-year-old megathrust frontal ramp that superimposes older Miocene biogenic oozes onto late MioceneโPleistocene silty clays. This, together with our stratigraphic analyses and geophysical images, constrains the position of the basal decollement to lie within the biogenic oozes. Our friction experiments show that, when wet, silty clays and biogenic oozes are both slip-weakening at sub-seismic and seismic slip velocities. Oozes are stronger than silty clays at slip velocities of less than or equal to 0.01โmโsโ1, and wet oozes become as weak as silty clays only at a slip velocity of 1โmโsโ1. We therefore suggest that the geological structures found offshore from Costa Rica were deformed during seismic slip-to-the-trench events. During slower aseismic creep, deformation would have preferentially localized within the silty clays.

Figura 2. Il Laboratorio Alte Pressioni – Alte Temperature di Geofisica e Vulcanologia Sperimentali dellโINGV di Roma. In primo piano lโapparato sperimentale SHIVA