Non abbiamo ancora nessuna notizia di E.T., ma…

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Non abbiamo ancora nessuna notizia di E.T., ma…

Il nuovo rapporto sugli UFO, da poco presentato al Congresso degli Stati Uniti, ha riferito ancora una volta esiti negativi. Ma per quanto appaiano improbabili, questi fenomeni meritano di essere studiati seriamente
di Kelsey Johnson/Scientific American
www.lescienze.it

Sui media è comparso appena un accenno, ma lo scorso giugno la Marina degli Stati Uniti ha presentato ai membri del Congresso un rapporto sugli UFO. Il fatto che nella nostra cultura una cosa del genere sia giusto una notiziola mi lascia interdetta; se mai un giorno qualche essere vivente extraterrestre dovesse davvero arrivare sulla Terra, sarebbe un evento da inserire nell’elenco delle “dieci cose più significative mai accadute nella storia umana”.

A onor del vero, il rapporto era segretato, e quindi in realtà non sappiamo che cosa sia stato detto al Congresso. Però secondo un’indagine del 2015, il 56 degli americani già “crede” agli UFO, a prescindere da ciò che possano avere o non avere visto i piloti della Marina.

Per molti, “UFO” è sinonimo di alieni, ma vale la pena di ricordare che la sigla sta per “oggetti volanti non identificati”. In sostanza, un oggetto non identificato potrebbe essere qualsiasi cosa, perché… beh perché non è stato identificato.
Noi scienziati abbiamo una specie di motto secondo cui “le affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie”. Questo non vuol dire che una cosa che sembra pazzesca non possa essere vera; significa che quando pensiamo di rovesciare idee ben comprese o ben verificate dobbiamo fare i conti con molta attenzione. E suggerisce anche di tener sempre d’occhio il rasoio di Occam: l’idea che la spiegazione più semplice sarà con ogni probabilità quella vera.

Accade, a volte, che idee ridicolmente assurde e complesse siano giuste? Sì, non c’è dubbio. Ma possiamo saltare alla conclusione che sono giuste senza prima aver escluso spiegazioni più banali? Si può presumere di no.


Se parliamo di UFO, magari potremmo chiederci qual è la cosa più probabile: che la vita extraterrestre esista, si sia interessata a noi, sia arrivata fin qui da chissà quale lontano posto dell’universo, sia passata ronzando nei nostri cieli e poi sia svanita o, cosa ancor meno plausibile, sia andata a schiantarsi a Roswell, in New Mexico? O non sarà forse più probabile che le cose che si vedono nel cielo ma non si riesce a identificare siano dovute a qualche velivolo militare sperimentale o a qualche fenomeno naturale ancora non ben compreso?

Senza prove “straordinarie”, io mi attengo alla seconda possibilità. Detto questo, la maggior parte degli scienziati che conosco (me compresa) pensano che trovare prove straordinarie di vita extraterrestre sarebbe una scoperta di quelle che sconvolgono tutti i paradigmi, una delle più importanti di tutta la storia umana.

Ma non dobbiamo scordarci del pregiudizio della conferma: il fatto, ben documentato, che più vogliamo che una cosa sia vera e più ci crediamo, e meno è probabile che la esaminiamo in modo davvero critico. Anzi, in realtà, come spesso dico ai miei studenti, più ci piacerebbe che una cosa fosse vera e più dobbiamo sforzarci di guardarla in modo critico. O ancora, per dirla con Richard Feynman: “Il primo principio è che non bisogna imbrogliare se stessi, e non c’è nessuno che sia più facile da imbrogliare”.

Per come la vedo io, anche se gli oggetti volanti non identificati sono di origine terrestre, vale la pena di comprenderli. Imbrogli e burle a parte, studiare oggetti genuinamente non identificati potrebbe aprirci nuovi percorsi scientifici, o darci informazioni su qualche pericolo per la sicurezza nazionale. Il semplice fatto che una cosa è improbabile non significa che non sia degna di serio studio accademico. Sarei disposta a sostenere, anzi, che più un fenomeno è raro e più può servirci a capire come vanno le cose.

Seicento avvistamenti “non identificati”

A partire dal 1947 ci sono state tre indagini formali (rese note pubblicamente) sugli UFO: il progetto Sign (1947 – 1949), il progetto Grudge (1949 – 1951), e il progetto Blue Book (1952–1969). Nel quadro del progetto Blue Book, fu costituita nel 1966 la Commissione Condon, a cui parteciparono luminari come il compianto Carl Sagan, con il compito di eseguire un’analisi indipendente dei dati disponibili sugli UFO.

Non c’è forse da sorprendersi, anche se molti rimasero delusi, ma la commissione ritenne che nessuno dei rapporti sugli UFO che aveva esaminato richiedesse spiegazioni straordinarie. È comunque interessante notare che circa il 6 per cento dei 10.147 rapporti di avvistamenti di UFO indagati dall’aviazione degli Stati Uniti è stato classificato come “non identificato”. Si tratta pur sempre di oltre 600 casi.

Su di essi, la Commissione Condon ha concluso che “la maggior parte dei casi in questa lista sono di fatto quelli per cui le informazioni disponibili non danno una base adeguata per l’analisi”. Alcuni però lasciano perplessi.

Cartellone pubblicitario a Roswell, New Mexico (© Peter Menzel/AGF)

Per esempio, l’incidente di Lakenheath-Bentwaters avvenuto nel 1956 in Inghilterra, che coinvolse sia l’aviazione degli Stati Uniti che la Royal Air Force inglese. In merito a questo caso, il rapporto della commissione dice: “in conclusione, anche se non possono essere escluse con certezza spiegazioni convenzionali o naturali, la loro probabilità in questo caso sembra bassa e la probabilità che sia stato coinvolto almeno un vero e proprio UFO sembra essere piuttosto alta”.

Che cosa successe, in realtà? Chi può dirlo? Sono passati più di sessant’anni. La nostra tecnologia scientifica era molto più arretrata di quella attuale. D’altra parte, lo era anche la nostra capacità di imbrogliare le carte.

Una grossa parte del problema, in casi come quello di Lakenheath-Bentwaters, è che non sono ripetibili. Quando una cosa accade una sola volta e poi mai più, è davvero difficile mettere alla prova le nostre ipotesi, e a fondamento del metodo scientifico c’è l’assunzione che per poter essere trattate scientificamente, le ipotesi devono poter essere messe alla prova.

Un altro famoso caso mai più ripetutosi, e irrisolto, si è presentato nel 1977, con il cosiddetto “segnale Wow!”: il radiotelescopio Big Ear rilevò un segnale radio molto forte e a banda stretta, quasi alla frequenza esatta di una linea di transizione fondamentale dell’idrogeno (1420.41 MHz) che, a quanto ci attendiamo, potrebbe essere usata da una civiltà extraterrestre per comunicare
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