Cambiamenti climatici: è a rischio la salute delle nuove generazioni

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Cambiamenti climatici: è a rischio la salute delle nuove generazioni

Problemi agricoli, diffusione di parassiti tropicali, ondate di calore e inquinamento atmosferico, che già oggi causano milioni di morti, rischiano di gravare in modo ancora più drammatico sulle prossime generazioni. E’ lo scenario del nostro futuro tracciato da un rapporto di “Lancet”, che sollecita interventi urgenti per evitare che i progressi sanitari globali non siano vanificati
di Rudi Bressa
www.lescienze.it

Bambini meno sani, a rischio malnutrizione, che da adolescenti vivranno in aree molto colpite dall’inquinamento atmosferico e da adulti dovranno affrontare ondate di calore sempre più intense e durature. È un quadro piuttosto desolante quello dipinto dal rapporto Countdown 2019 pubblicato da “The Lancet”, frutto di una collaborazione internazionale e multidisciplinare che fa il punto sugli impatti dei cambiamenti climatici sulla salute a livello globale.

L’edizione del 2019, che ha visto la collaborazione di 120 esperti provenienti da 35 istituzioni accademiche e agenzie delle Nazioni Unite, ha fornito gli aggiornamenti su 41 indicatori dei cinque settori chiave presi in considerazione: dagli impatti dei cambiamenti climatici all’adattamento e la pianificazione per la salute pubblica, dai costi economici e finanziari alle agende politiche. Il rapporto dà particolare enfasi a come i cambiamenti climatici potrebbero compromettere i progressi degli ultimi decenni nel campo della salute, soprattutto per quanto riguarda la malnutrizione e la diffusione delle malattie infettive.

“Il cambiamento climatico sta già influenzando le generazioni attuali e, se non contrastato, inciderà ancor più sulla salute delle generazioni future”, spiega a “Le Scienze” Alice McGushin, ricercatrice australiana e coautrice del rapporto. “Una delle maggiori preoccupazioni è l’effetto del cambiamento climatico sulla denutrizione, che già oggi colpisce pesantemente i bambini sotto i cinque anni ed è responsabile, a livello globale, di più della metà delle morti in questa fascia di età.”

Prodotti agricoli meno nutrienti

Secondo il rapporto, dagli anni sessanta a oggi il rendimento globale delle colture alla base dell’alimentazione umana è già diminuito: del quattro per cento per il mais e per il riso, del sei per cento per il farro piccolo (Triticum monococcum) e del tre per cento per la soia. “Si prevede che il declino della produzione agricola continuerà per tutto il secolo, con enormi implicazioni, come l’aumento dei casi di arresto della crescita infantile e dei decessi da malnutrizione”.

Risaia in Lombardia (© Tommaso di Girolamo/AGF)

Ma a preoccupare gli esperti c’è anche dell’altro. Uno studio pubblicato su “Nature Climate Change” dai ricercatori dell’Harvard TH Chan School of Public Health, Matthew Smith e Samuel Myers, dimostra che all’aumento della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera corrisponde una riduzione dei nutrienti essenziali nelle produzioni più diffuse.

“L’aumento di CO2 non solo modifica il clima, ma influisce in modo diretto anche su colture come grano, riso e soia, causando entro il 2050 un calo dei livelli di proteine, ferro e zinco del 3-17 per cento”, spiega Matthew Smith, coautore dello studio. “Il motivo per cui ciò accade non è chiaro. Si ritiene che una maggiore quantità di CO2 induca le piante a produrre più carboidrati e a diluire le concentrazioni di altri nutrienti nelle parti commestibili, ma non tutti sono d’accordo né è provato dai dati.” Nello specifico, gli autori parlano di una riduzione dei nutrienti riscontrata con una concentrazione di CO2 al di sotto delle 550 ppm (parti per milione), rispetto ai valori odierni (il 14 novembre scorso la National Oceanic and Atmospheric Administration registrava 410,68 ppm).

“La perdita di nutrienti in questi importanti alimenti potrebbe avere conseguenze per la sicurezza alimentare globale”, continua Smith. “Abbiamo scoperto che potrebbe causare una carenza di zinco in più di 175 milioni di persone e una carenza di proteine in 122 milioni. Ciò dimostra che l’aumento di CO2 non influisce solo sulla nostra capacità di coltivare gli alimenti di cui abbiamo bisogno, ma anche sulla loro qualità, con conseguenze disastrose per chi deve affidarsi a essi.”

Più malattie infettive nell’Europa mediterranea

Le nuove generazioni dovranno inoltre affrontare un aumento di malattie infettive come la dengue, poiché le condizioni climatiche per la trasmissione di questa patologia stanno diventando ottimali in Europa. Secondo il rapporto, la capacità di trasmettere il virus di una zanzara vettrice sarebbe particolarmente elevata in Italia, Grecia, Spagna e Croazia.

“I cambiamenti climatici stanno modificando anche i modelli di trasmissione delle malattie portate dalle zanzare o patologie come la diarrea, molto pericolose per i bambini al di sotto dei cinque anni”, continua McGushin. “Abbiamo scoperto che dal 2000 a oggi in nove dei dieci anni con condizioni migliori per le zanzare si sono verificati più casi di trasmissione della febbre dengue.”

C’è però chi ritiene che l’aumento delle malattie infettive sia da ricondurre a un’altra causa. “In teoria, l’aumento delle temperature e dell’umidità possono favorire la diffusione di virus trasmessi da zanzare, ma è difficile dire se tali effetti si vedranno a breve”, spiega a “Le Scienze” Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità di Roma. “Gli eventi verificatisi finora in Europa – due epidemie di chikungunya in Italia, un focolaio di dengue in Croazia e casi di Zika in Francia e Spagna – sono attribuibili più alla globalizzazione che ai cambiamenti climatici; hanno fatto seguito all’introduzione di virus tropicali e sono stati limitati al periodo estivo.”

Ciò non significa che la tropicalizzazione del bacino del Mediterraneo sia immune alle malattie infettive endemiche di luoghi più caldi. “Certo, se la stagione calda durasse più a lungo, la probabilità che un virus possa diventare endemico aumenterebbe con il prolungarsi della fase di attività delle zanzare”, sottolinea Rezza. “Ciò potrebbe avvenire in un prossimo futuro, ma per ora le prove sono limitate.”

Inquinamento e ondate di calore prolungate

L’inquinamento atmosferico è oggi tra le maggiori cause di morte prematura. Il rapporto sottolinea che i decessi globali attribuibili al particolato ultrafine (PM2,5) hanno toccato quota 2,9 milioni nel 2016. Il solo contributo del carbone alla produzione di particolato ultrafine è correlato a 440.000 decessi registrati nello stesso anno e probabilmente a oltre un milione di morti se si considera quello da altri inquinanti.

Se la popolazione europea dovesse continuare a sperimentare livelli simili di PM2,5 nel corso della propria vita, le perdite economiche e i costi sanitari potrebbero raggiungere i 129 miliardi di euro all’anno. “L’inquinamento atmosferico è oggi una grande preoccupazione per l’Europa, con il particolato fine responsabile di oltre 511.000 decessi prematuri, quasi 95.000 dei quali dovuti alla combustione del carbone”, continua McGushin.

Ma ci sono anche risultati incoraggianti, dovuti proprio alle più recenti politiche climatiche e all’impegno ad abbandonare l’uso del carbone sottoscritto da numerosi paesi europei, Italia compresa. Infatti si è già “verificata una piccola riduzione del numero di morti premature dovute all’inquinamento atmosferico in Europa dal 2015 al 2016, soprattutto grazie alla chiusura delle centrali a carbone”.

Ma una volta raggiunta l’età adulta, le generazioni nate oggi dovranno affrontare anche ondate di calore più frequenti e durature. “Le crescenti esposizioni alle ondate di calore stanno colpendo ogni regione del mondo. Le aree nei punti di transizione, come gli altopiani e i confini delle regioni aride, stanno già affrontando i cambiamenti più rapidi. Le popolazioni più povere, che hanno una minore capacità di evitare l’esposizione al calore, saranno le più colpite. Ciò include anche le fasce più povere nei paesi ad alto reddito, quelli europei compresi”, dice McGushin.

Oltre agli effetti sulla salute, l’esposizione al calore sta già influenzando la capacità delle persone di lavorare nei mesi più caldi, specie nei settori che richiedono lavori all’aperto e manuali, compresi gli stabilimenti e il settore dei servizi. “Considerando il numero globale di persone in grado di lavorare e la percentuale di coloro che lavorano nei settori agricolo, industriale e dei servizi in ciascun paese, abbiamo stimato che nel 2018 siano state perse 133,6 miliardi di ore di lavoro potenziali a causa delle alte temperature: si tratta di 45 miliardi più che nel 2000”, conclude.

Come risponderà il nostro sistema sanitario

Ma quanto sarà resiliente il nostro sistema sanitario di fronte a queste prospettive? “Come paese ci troviamo a metà del guado, ci sono alcuni problemi su cui siamo più esposti nel breve termine dove siamo più preparati, come nei sistemi di sorveglianza per le malattie infettive”, spiega Stefano Campostrini, professore di statistiche sociali e sanitarie all’Università Ca’ Foscari di Venezia, e uno dei relatori della presentazione italiana del rapporto che si è tenuta nella città lagunare. “E ciò avviene grazie a un sistema sanitario molto resiliente e in grado di rispondere con prontezza.”

Quello su cui invece non si è riusciti a fare passi in avanti è la riduzione dell’inquinamento atmosferico. “I trend non sono certo in miglioramento, il che denota un’insufficienza delle politiche rispetto ai cambiamenti in atto. Il nostro sistema sanitario funziona perché è universalistico, ma a maggior ragione è più esposto”, continua Campostrini. “Poiché è la fiscalità a farsi carico delle spese sanitarie, un aumento di quest’ultime metterebbe in crisi il sistema stesso.” L’urgenza dell’azione arriva da tutto il mondo accademico, che è concorde sulla necessità di creare sistemi resilienti e di adottare politiche in grado di coinvolgere i cittadini in un cambiamento quanto mai necessario. Questo richiederà una risposta globale immediata e senza precedenti, che coinvolga governi, imprese e privati.

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