L’enigma dei campi magnetici più forti dell’universo

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L’enigma dei campi magnetici più forti dell’universo

Un’attenta analisi dello spettro luminoso emesso dai resti delle supernove che hanno dato origine alle magnetar suggerisce che il meccanismo di formazione di queste stelle di neutroni dotate di un campo magnetico eccezionalmente intenso sia differente da quello finora più accreditato
di Erika K. Carlson/QuantaMagazinePitris/QuantaMagazine
www.lescienze.it

Le magnetar sono da molto tempo uno dei misteri dell’astrofisica. Sono blocchi compatti di materia nucleare, resti superdensi di stelle supermassicce, e generano i campi magnetici più potenti dell’universo, di cui la scienza sta studiando l’origine precisa. Ma un nuovo studio sulle esplosioni stellari che hanno dato origine a magnetar suggerisce che la teoria da tempo accolta con maggior favore potrebbe non essere corretta.

L’idea delle magnetar risale agli inizi degli anni novanta, quando alcuni astronomi che studiavano la morte stellare si interrogarono sulla possibilità dell’esistenza di oggetti del genere. Le stelle grandi, quelle che superano una massa pari a circa otto volte quella del Sole, terminano l’esistenza con una supernova. Queste grandi esplosioni comportano l’espulsione degli strati esterni della stella sotto forma di residui di supernova e si lasciano dietro il nucleo “morto” di una stella di neutroni.

Ma non tutte le stelle di neutroni sono uguali. Alcune sono anonime; altre, le cosiddette pulsar, presentano campi magnetici forti e proiettano fasci di luce intensa che attraversano lo spazio; e altre ancora sono dotate di un campo magnetico molto più forte della norma, pari a milioni di miliardi di volte il campo magnetico del Sole. Queste pulsar fortemente magnetizzate, che emettono raffiche imprevedibili di raggi X e raggi gamma, sono le magnetar.

All’inizio gli astronomi hanno ipotizzato che il campo magnetico delle magnetar si generasse nel corso dell’esplosione di supernova. Se una stella di neutroni, quando si forma, inizia a ruotare a velocità elevatissima (fino a 1000 giri al secondo), può dare origine a turbolenze interne che ne amplificano il campo magnetico per il cosiddetto effetto dinamo.

I resti della supernova R103, che al suo centro ospita una magnetar (X-ray: NASA/CXC/University of Amsterdam/N.Rea et al; Optical: DSS)

Negli anni furono proposti anche altri meccanismi, ma il modello dinamo rimase il più popolare fino al 2006, quando Jacco Vink, un astrofisico che oggi lavora all’Università di Amsterdam, confrontò le esplosioni che avevano dato origine a magnetar con quelle che avevano dato origine a normali stelle di neutroni. Il modello dinamo prevede un’esplosione con più energia rispetto a una supernova tipica, ma Vink scoprì che avevano tutte un’intensità paragonabile. Quel risultato fu una sorpresa per alcuni ricercatori.

“Quando scrissi quell’articolo nel 2006 la maggior parte delle persone aveva in mente solo il modello dinamo – afferma Vink – perché è da lì che è nata l’idea delle magnetar.”

Una spiegazione alternativa
Ma se la causa non è l’effetto dinamo, in che modo si forma una magnetar? L’altra idea prevalente parte dal fatto che i campi magnetici delle stelle normali non hanno tutti la stessa intensità. Forse le magnetar non sono altro che il prodotto finale di stelle con campi particolarmente forti.

Gli astrofisici chiamano questa idea modello del “campo fossile”: il campo magnetico di una magnetar è il residuo, o fossile, del campo magnetico della stella originaria. “Sono entrambe idee ragionevoli – sostiene Victoria Kaspi, astrofisica alla McGill University, che studia le stelle di neutroni – ma non sappiamo quale sia quella giusta.”

Uno studio recente  condotto da Ping Zhou, astrofisico al’Università di Amsterdam, insieme a Vink e ad altri colleghi, cerca di definire con precisione le differenze analizzando i resti delle supernove che hanno dato origine alle magnetar.

Se una stella massiccia supermagnetica collassa, la sua supernova dovrebbe avere un aspetto simile a quello di una supernova normale; invece le magnetar originate dall’effetto dinamo dovrebbero derivare da stelle supermassicce, stelle enormi che darebbero origine a resti di supernova con composizioni di elementi distintive.

Zhou, Vink e i loro colleghi sono partiti da 10 resti di supernove in cui è nota la presenza di una magnetar e hanno analizzato i tre che emettevano abbastanza raggi X da rendere possibile l’analisi dettagliata che intendevano eseguire. Il gruppo di ricerca ha suddiviso ciascun resto di supernova in sezioni, più piccole nelle zone luminose con tante emissioni, così da massimizzare la quantità di dettagli che era possibile ottenere, e più grandi nelle zone più deboli.

Da ciascuna sezione il gruppo di ricerca ha estratto informazioni sugli elementi che compongono i gas presenti, creando così un’immagine più precisa della composizione del resto di supernova rispetto a quella che avrebbero ottenuto calcolando la media sul totale. Il gruppo ha stimato che queste supernove sono derivate da stelle con una massa da 10 a 20 volte più grande di quella del Sole, e ciò significa che erano meno massicce di quanto richiesto dal modello dinamo per dare origine a una magnetar.

Il gruppo di ricerca ha scoperto anche che il livello di energia della supernova era simile a quello delle supernove tipiche e non superiore, come avrebbe dovuto essere se la formazione delle magnetar avesse seguito il modello dinamo.

“Ritengo che gli autori abbiano fatto una ricostruzione molto sensata, una ricostruzione molto completa che depone per l’origine da campo fossile”, ha commentato Hao Tong, astrofisico all’Università di Guangzhou che non ha collaborato allo studio.

Anche se i dati sembrano sfavorire il modello dinamo, i ricercatori avvertono che la questione rimane ancora irrisolta. Zhou nota che, per quanto i risultati del gruppo di ricerca vadano a sostegno del modello del campo fossile, non escludono del tutto il modello dinamo. Un’altra difficoltà sono le dimensioni del campione: gli astronomi conoscono appena 10 magnetar con resti di supernova, di cui solo tre abbastanza luminose per uno studio dettagliato.

Anche se prima o poi i ricercatori dovessero determinare che il modello del campo fossile è quello giusto, il quadro non sarebbe ancora completo. La domanda sulle magnetar verrebbe infatti sostituita da un’altra: perché alcune stelle normali hanno campi magnetici così intensi? Tra i ricercatori che studiano questo argomento rimane aperto un dibattito analogo al precedente: alcuni credono che il fenomeno dipenda dall’effetto dinamo, altri lo attribuiscono alla rotazione delle nubi di gas che formarono le stelle stesse. Nell’universo ad alta energia, dietro ogni campo magnetico c’è sempre un altro campo magnetico.

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(L’originale di questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2019 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati. Traduzione di Francesca Bernardis, editing a cura di Le Scienze)

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