Il coronavirus Covid-19 non è sfuggito da un laboratorio: l’origine dell’epidemia è naturale. Basta con la disinformazione

0

Il coronavirus Covid-19 non è sfuggito da un laboratorio: l’origine dell’epidemia è naturale. Basta con la disinformazione

Smentita ogni ipotesi complottistica: la fonte più probabile del nuovo coronavirus restano pipistrelli e pangolini. E il virus del video di TG3 Leonardo non c’entra nulla con il COVID-19
www.greenreport.it

Il coronavirus Sars-Cov-2 è emerso a Wuhan, in Cina, a fine 2019 e da allora ha causato un’epidemia, trasformatasi in pandemia, battezzata Covid-19, che si è diffusa in più di 160 altri Paesi, scatenando paure, accuse e fake news, tesi complottistiche e un’ipotesi che per un certo periodo è andata per la maggiore: il virus era sfuggito (o fatto fuggire, o diffuso) da un laboratorio.

Ora lo studio “The proximal origin of Sars-Cov-2”  pubblicato su Nature Medicine da Kristian Andersen, professore associato di immunologia e microbiologia alla Scripps Research, Robert Garry della Tulane University; Edward Holmes dell’università di Sydney; Andrew Rambaut dell’università di Edinburgh e W. Ian Lipkin della Columbia University, mette fine a ogni illazione: il coronavirus legato alla pandemia Covid-19 «è il prodotto dell’evoluzione naturale. L’analisi pubblica dei dati della sequenza del genoma di Sars-Cov-2 e dei virus correlati non ha trovato prove del fatto che il virus sia stato prodotto in laboratorio o progettato in altro modo».

Andersen conferma: «Confrontando i dati disponibili sulla sequenza del genoma per ceppi di coronavirus noti, possiamo stabilire con certezza che la Sars-Cov-2 ha avuto origine attraverso processi naturali».

Alla Scripps Research ricordano che «i coronavirus sono una grande famiglia di virus che possono causare malattie che variano ampiamente per gravità. La prima malattia nota causata da un coronavirus è emersa con l’epidemia di sindrome respiratoria acuta grave (Sars) del 2003 in Cina. Un secondo focolaio di malattia grave è iniziato nel 2012 in Arabia Saudita con la sindrome respiratoria del Medio Oriente (Mers).

“Un virus naturale e uno creato in laboratorio sono perfettamente distinguibili”, smentisce Fausto Baldanti, virologo dell’università di Pavia e del Policlinico San Matteo. “L’esperimento del 2015 è avvenuto sotto gli occhi di tutti. Il genoma di quel microrganismo è stato pubblicato per intero. E non è lo stesso del coronavirus attuale”. Del microrganismo che circola oggi abbiamo ormai sequenziato un migliaio di genomi: a circa trecento sta lavorando lo stesso Baldanti, in collaborazione con il Niguarda.

L’esperimento del 2015, pubblicato su Nature Medicine (primo autore Menachery, ultimo Baric), viene descritto così dal servizio del Tgr Leonardo: “Gli scienziati prendono una proteina dai pipistrelli e la inseriscono sul virus della Sars ricavato dai topi, rendendolo capace di trasmettersi all’uomo”. Secondo Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia, “il virus attuale non deriva né dalla prima versione della Sars né tantomeno dai topi, per cui non può essere in nessun modo il virus creato nel laboratorio cinese di cui si parla nel servizio”. Anche la rivista Nature si è affrettata mercoledì ad aggiungere a quell’articolo un commento: “Ci risulta che questa storia viene usata per far circolare teorie infondate che il nuovo coronavirus che causa Covid-19 sia stato ingegnerizzato. Non esiste evidenza che questo sia vero”.

L’importanza della sperimentazione

Ma perché fu condotto quell’esperimento? “Perché per sconfiggere il tuo nemico devi conoscerlo” spiega Baldanti. “Qualche anno fa in Olanda un gruppo prese il virus della Spagnola da alcuni cadaveri conservati per un secolo nel permafrost in Alaska. Venne modificato, aggiungendo dei frammenti di genoma che ne modulavano la virulenza. L’obiettivo era capire come mai quella pandemia fu così micidiale, per prevenire il ripetersi di un evento simile”. Ci si interrogò molto, all’epoca (era il 2013) su cosa far prevalere: conoscenza o sicurezza. “Ma si decise di andare avanti, rispettando standard di contenimento altissimi all’interno dei laboratori” racconta Baldanti. Il virus chimera cinese del 2015 è figlio di quella decisione, e di un esperimento simile. Il fatto che dei suoi geni conosciamo ogni dettaglio, proprio perché lo studio è stato pubblicato, ci rassicura che non ha somiglianza con il genoma del coronavirus attuale.

Il 31 dicembre dello scorso anno, le autorità cinesi hanno avvisato l’Organizzazione Mondiale della Sanità di un focolaio di un nuovo ceppo di coronavirus che causava gravi malattie, che in seguito fu chiamato Sars-Cov-2. Al 20 febbraio 2020, sono stati documentati quasi 167.500 casi Covid-19, sebbene molti altri casi lievi siano probabilmente non diagnosticati. Il virus ha ucciso oltre 6.600 persone».

Poco dopo l’inizio dell’epidemia, gli scienziati cinesi hanno sequenziato il genoma della Sars-Cov-2 e reso disponibili i dati ai ricercatori di tutto il mondo. Il nuovo studio evidenzia che «i risultanti dati sulla sequenza genomica hanno dimostrato che le autorità cinesi hanno rapidamente rilevato l’epidemia e che il numero di casi Covid-19 è aumentato a causa della trasmissione da uomo a uomo dopo una singola introduzione nella popolazione umana». Andersen e il suo team internazionale hanno utilizzato questi dati di sequenziamento per esplorare le origini e l’evoluzione di Sars-Cov-2 concentrandosi su diverse caratteristiche rivelatrici del virus.

Gli scienziati, grazie a un finanziamento dell’US National Institutes of Health, the Pew Charitable Trusts, the Wellcome Trust, dell’European Research Council e dell’ARC Australian Laureate Fellowship, hanno analizzato il modello genetico per i picchi delle proteine ​​dei picchi, le “armature” esterne che il virus che utilizza per agganciare e penetrare le pareti esterne delle cellule umane e animali. In particolare, si sono concentrati su due importanti caratteristiche della proteina spike: il receptor-binding domain (RBD), una specie di uncino che si aggrappa alle cellule ospiti e il sito di scissione, una specie di apriscatole molecolare che consente al virus di aprire le cellule ospiti e penetrarvi dentro.

Gli scienziati hanno scoperto che «la porzione di RBD del picco delle proteine Ars-Cov-2 si era evoluta per colpire efficacemente una caratteristica molecolare all’esterno delle cellule umane chiamata ACE2, un recettore coinvolto nella regolazione della pressione sanguigna». Infatti, la proteina del picco Sars-Cov-2 è così efficace nel legarsi alle cellule umane che gli scienziati hanno concluso che «è il risultato della selezione naturale e non il prodotto dell’ingegneria genetica».

Un’evidenza dell’evoluzione naturale è stata confermata dai dati sulla struttura molecolare complessiva del Sars-Cov-2.  Gli scienziati evidenziano che «se qualcuno avesse cercato di ingegnerizzare un nuovo coronavirus come patogeno, lo avrebbe costruito dalla struttura portante di un virus noto per causare malattie». Ma gli scienziati hanno scoperto che la struttura portante del Sars-Cov-2 differiva sostanzialmente da quella dei coronavirus già noti e assomigliava per lo più a «virus correlati trovati nei pipistrelli e nei pangolini». Andrsen aggiunge: «Queste due caratteristiche del virus, le mutazioni nella porzione RBD della proteina spike e la sua distinta struttura portante, escludono la manipolazione di laboratorio come una potenziale origine per Sars-Cov-2».

Secondo Josie Golding, responsabile delle epidemie al Wellcome Trust UK, «i risultati di Andersen e dei suoi colleghi sono di fondamentale importanza per fornire una visione basata sulle prove rispetto alle voci che circolano sulle origini del virus (Sars-Cov-2) che ha causato la Covid-19. Concludono che il virus è il prodotto dell’evoluzione naturale, ponendo fine a qualsiasi speculazione su una deliberata ingegneria genetica».

Sulla base dell’analisi del sequenziamento genomico, il team di Andersen ha concluso che le origini più probabili per SARS-CoV-2 derivano da uno di due possibili scenari. Nel primo scenario, il virus si è evoluto al suo attuale stato patogeno attraverso la selezione naturale in un ospite non umano e poi ha fatto il salto nell’uomo. «E’ così – ricordano i ricercatori – che sono emersi i precedenti focolai di coronavirus, con gli esseri umani che hanno contratto il virus dopo l’esposizione diretta agli zibetti (Sars) e ai cammelli (Mers)». I ricercatori hanno indicato i pipistrelli come il serbatoio più probabile per Sars-Cov-2 «in quanto è molto simile a un coronavirus di pipistrello». Il problema è che non ci sono casi documentati di trasmissione diretta pipistrello-umano, il che suggerisce che ci sia stato un ospite intermedio tra pipistrelli ed esseri umani. Gli scienziati spiegano ancora che «in questo scenario, entrambe le caratteristiche distintive della proteina spike di Sars-Cov-2 – la porzione di RBD che si lega alle cellule e il sito di scissione che apre il virus – si sarebbero evolute al loro stato attuale prima di penetrare nell’uomo. In questo caso, l’attuale epidemia sarebbe probabilmente emersa rapidamente non appena gli esseri umani fossero stati infettati, poiché il virus avrebbe già sviluppato le caratteristiche che lo rendono patogeno e in grado di diffondersi tra le persone».

Nel secondo scenario proposto, una versione non patogena del virus sarebbe passata da un ospite animale a un essere umano e poi si sarebbe evoluta all’interno della popolazione umana fino ad assumere il suo attuale stato patogeno. «Ad esempio – dicono i ricercatori – alcuni coronavirus di pangolini, mammiferi simili all’armadillo che si trovano in Asia e in Africa, hanno una struttura RBD molto simile a quella della Sars-Cov-2. Un coronavirus avrebbe potuto essere trasmesso da un pangolino a un essere umano, direttamente o attraverso un ospite intermedio, come zibetti o furetti. Quindi l’altra caratteristica distinta della proteina spike di Sars-Cov-2, il sito di scissione, potrebbe essersi evoluta all’interno di un ospite umano, probabilmente attraverso una circolazione non rilevata, limitata tra la popolazione umana, prima dell’inizio dell’epidemia». I ricercatori hanno scoperto che «il sito di scissione Sars-Cov-2 sembra simile ai siti di scissione di ceppi dell’influenza aviaria che hanno dimostrato di trasmettersi facilmente tra le persone. Sars-Cov-2 avrebbe potuto evolvere un sito di scissione così virulento nelle cellule umane e dare il via presto all’attuale epidemia, poiché il coronavirus sarebbe diventato molto più in grado di diffondersi tra le persone».

Rambaut conclude avvertendo che «a questo punto è difficile, se non impossibile, sapere quale degli scenari è più probabile. Se la Sars-Cov-2 è penetrata nell’uomo nella sua attuale forma patogena da una fonte animale, questo aumenta la probabilità di futuri focolai, dato che il ceppo del virus che causa la malattia potrebbe ancora circolare nella popolazione animale e potrebbe saltare ancora una volta negli esseri umani. Le probabilità sono inferiori per un coronavirus non patogeno che entra nella popolazione umana e quindi evolve proprietà simili a Sars-Cov-2».

Share.

Leave A Reply