Scoperti, grazie al DNA, nuovi indizi sui rotoli del Mar Morto

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Scoperti, grazie al DNA, nuovi indizi sui rotoli del Mar Morto

Una tecnica di indagine genetica sta aiutando gli scienziati a ricostruire quelle parti dei rotoli del Mar Morto che sono giunte a noi come fragili frammenti di pergamena. Scoperti nelle grotte di Qumran, i rotoli sono stati scritti fra il III secolo a.C. e il I secolo d.C. e contengono fra l’altro la più antica versione nota dei libri canonici della Bibbia ebraica
di Josie Glausiusz/Scientific American
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Potrebbe essere l’inizio di una scenetta comica a tema scientifico: un biologo molecolare e un biblista si incontrano su un autobus, e… Otto anni dopo, si trovano ad aver sviluppato una nuova tecnica basata sul sequenziamento del DNA, che a quanto sostengono permetterà loro di rimettere insieme correttamente – o di separare – i minuti frammenti dei rotoli (o manoscritti) del Mar Morto, vecchi di 2000 anni. Il relativo articolo è stato pubblicato qualche settimana fa su “Cell”.


Oded Rechavi studia l’ereditarietà genetica nel verme nematode Caenorhabditis elegans, e Noam Mizrahi studia l’antica letteratura ebraica. Entrambi sono ricercatori all’Università di Tel Aviv, e nel 2012 si sono trovati seduti l’uno accanto all’altro su un autobus, per recarsi a un programma di formazione per i docenti appena assunti. Uniti dal comune interesse per i vermi (“Oded lavora su C. elegans, che è un verme microscopico; io su ciò che i vermi hanno ci hanno lasciato”, scherza Mizrahi), i due hanno poi deciso di collaborare.

Il loro innovativo metodo di impronta (fingerprinting) del DNA è stato ora applicato a genomi antichi di bovini e ovini, raschiati con attenzione dal retro di alcuni frammenti di pergamena – ricavata da pelli animali – dei rotoli del Mar Morto. In questo modo hanno ottenuto nuovi indizi sulla struttura sociale degli Esseni, la setta ebraica ascetica al cui interno, a parere di molti, sarebbero stati redatti i manoscritti. Questa tecnica di “paleogenomica”, assai sensibile, potrebbe essere usata in futuro per ricomporre anche altri antichi testi ridotti in frammenti, dice Rechavi.

Una delle grotte di Qumran (© Israel Antiquities Authority/Shai Halevi)

“Il fingerprinting del DNA come aiuto per mettere nel contesto giusto tanti piccoli frammenti di testi più lunghi è entusiasmante e molto importante”, dice Charlotte Hempel, docente di Bibbia ebraica e giudaismo del Secondo Tempio all’Università di Birmingham, in Regno Unito, non coinvolta in questa ricerca. Oren Harman, storico della scienza all’Università Bar-Ilan e anch’egli estraneo alla ricerca, è d’accordo: “Di colpo, siamo in grado di vedere cose che non erano visibili con le fonti storiche, archeologiche o letterarie più tradizionali”.

I rotoli del Mar Morto, scritti fra il III secolo a.C. e il I secolo d.C., sono stati scoperti tra il 1947 e il 1956 in 11 grotte nei pressi di Khirbat Qumran nella West Bank, la sponda nordoccidentale del Mar Morto. La maggior parte dei rotoli – che contengono la più antica versione nota dei libri canonici nella Bibbia ebraica, nonché testi liturgici apocrifi e mistici – è scritta in lingua ebraica. Un piccolo numero è scritto in aramaico o in greco. Solo qualcuno di essi è stato rinvenuto intatto. Gli altri si erano disintegrati in fragili frammenti: in tutto, circa 25.000, dice l’articolo.

Da decenni i ricercatori cercano di ricomporre il crescente numero di frammenti, inizialmente conservati al Rockefeller Archaeological Museum a Gerusalemme est. A volte gli scienziati sono arrivati ad attaccarli l’uno all’altro con lo scotch, dice Mizrahi. Rimettere i pezzi nell’ordine giusto, aggiunge, “è una vera e propria sfida con cui continuiamo a misurarci”.

Per il nuovo studio, Mizrahi e Rechavi si sono concentrati su 40-50 artefatti, fra cui alcuni frammenti di pergamena di origine incerta. La biologa molecolare Sarit Anava, direttrice del laboratorio del gruppo di Rechavi, si è recata diverse volte all’Università di Uppsala, in Svezia, portando con sé i campioni con l’autorizzazione dell’Autorità per le antichità di Israele, che ha in custodia i manoscritti. Qui, nelle camere bianche del laboratorio di Mattias Jakobsson ha estratto DNA antichi da 26 diversi frammenti e da altri oggetti in cuoio, fra cui alcuni sandali, un indumento e diversi otri per il trasporto dell’acqua, provenienti dalla regione di Qumran. “Poi ci è rimasto il lungo compito di cercare di trovare un senso nel materiale sequenziato”, dice Rechavi.


Il primo passo è stato usare il DNA per identificare la specie animali – capre, pecore, capre nubiane e vacche – la cui pelle era servita per produrre la pergamena. Quasi tutte le pergamene dello studio, si è visto, erano state ricavate da pelli di pecora; qualcuna era invece in pelle bovina. Il gruppo dice che i risultati offrono importanti indicazioni sulla storia dei rotoli. Gli studiosi, per esempio, si interrogavano da tempo se tre frammenti del Libro di Geremia facessero parte o meno dello stesso rotolo.

L’analisi genetica ha indicato che uno di essi era di pelle bovina, e gli altri due di pelle di pecora. Dato che l’allevamento dei bovini è considerato dai più impossibile nell’arido deserto della Giudea che circonda Qumran (i bovini richiedono grandi quantità di acqua ed erba), il primo frammento – insieme a un altro distinto frammento, su pelle bovina, dello stesso libro – ha avuto probabilmente origine altrove e non in quell’area, dice Mizrahi.

“Ancor più importante è il fatto – dice Mizrahi – che i due frammenti scritti su pelle bovina rappresentano due versioni differenti del Libro di Geremia.” Mizrahi e Rechavi sostengono che la loro analisi del DNA rappresenta la prima “prova materiale” che gli Esseni, e in generale la società ebraica del tempo, erano più aperti alla variabilità dei testi di quanto spesso non avvenga oggi, quando nella maggior parte delle comunità ebraiche viene letto un unico testo biblico ebraico, praticamente sempre identico, in tutte le parti del mondo.

“Se questi rotoli sono stati introdotti da fuori – osserva Mizrahi – ciò mostra che la società ebraica del periodo del Secondo Tempio non era ‘ortodossa’. Era aperta all’esistenza, in parallelo, di molteplici versioni anche degli stessi testi dei profeti, scritti sotto ispirazione divina.”

Le promesse della nuova tecnica basata sul DNA non si limitano alle implicazioni culturali, spiega Eibert Tigchelaar, specialista dei manoscritti del Mar Morto e del giudaismo antico dell’Università cattolica di Lovanio, in Belgio, non coinvolto nello studio. “Ci sono circa 20 o 30 opere letterarie di cui abbiamo numerosi frammenti senza però sapere come disporli nell’ordine originale”, dice.

“La nuova tecnica ci offre importanti elementi di prova che permetteranno decisivi passi in avanti verso la ricostruzione di questi manoscritti. Tecnicamente, si potrebbero campionare le ‘impronte digitali’ dei DNA di un gran numero di frammenti e realizzare una banca dati che sarebbe un buon aiuto per identificare almeno una parte dei frammenti fin qui non identificati.”

Le scoperte di Rechavi e Mizrahi rappresentano inoltre un successo del loro insolito approccio interdisciplinare. Insieme, dice Mizrahi, “abbiamo realizzato una collezione di strumenti scientifici estremamente sensibili per lo studio degli artefatti antichi”. E per di più, aggiunge Rechavi, “non mi ero mai divertito tanto in un lavoro in collaborazione”.

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(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 2 giugno 2020. Traduzione di Alfredo Tutino, editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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