Oumuamua potrebbe essere un iceberg di idrogeno venuto dallo spazio profondo

0

Oumuamua potrebbe essere un iceberg di idrogeno venuto dallo spazio profondo

Oumuamua, il visitatore interstellare del sistema solare scoperto nel 2017, potrebbe essere un oggetto astrofisico di nuovo tipo: un ammasso di idrogeno ghiacciato. Questo spiegherebbe sia la sua strana forma, sia la sua enigmatica accelerazione mentre si allontanava dal Sole
di Jonathan O’Callaghan/Scientific American
www.lescienze.it

Il nostro Sole è una nave, la nostra galassia il mare. Muovendosi lungo le correnti cosmiche, la nostra stella completa un giro della Via Lattea ogni 230 milioni di anni circa, portandosi dietro il suo seguito di pianeti. Per la maggior parte del tempo, questo viaggio è solitario, salvo occasionali incontri ravvicinati con un’altra stella. Ma qualche anno fa sembra essere accaduto qualcosa di straordinario. Mentre attraversava questo vasto e magnifico oceano, il Sole potrebbe aver incontrato un iceberg cosmico, un grande pezzo di ghiaccio di idrogeno alla deriva nello spazio.

Per quanto improbabile possa sembrare questo scenario, poiché prevede un nuovo tipo di oggetto astrofisico mai visto prima, le prove sono stranamente convincenti, e le possibili conseguenze di grande portata.

È questa la conclusione raggiunta da Darryl Seligman dell’Università di Chicago e Gregory Laughlin della Yale University in un articolo che sarà pubblicato su “Astrophysical Journal Letters” (un preprint è disponibile su arXiv.org). I due astrofisici hanno esaminato i dati disponibili su ‘Oumuamua che, osservato nell’ottobre 2017, è il primo corpo interstellare scoperto nel nostro sistema solare.

Da allora si discute se si trattasse di una cometa o di un asteroide e nessuno ne è davvero sicuro. Secondo Seligman e Laughlin, invece, non era nessuno dei due. “Ipotizziamo che ‘Oumuamua fosse composto da ghiaccio di idrogeno puro”, afferma Seligman. “In pratica era un iceberg di idrogeno.”

https://www.media.inaf.it/wp-content/uploads/2020/04/Oumuamua-like-object-produced-by-a-simulation.jpg

Un oggetto simile a ‘Oumuamua prodotto dalla simulazione di un processo di interazione mareale stella-asteroide da Zhang e Lin. Crediti: Naoc/Y. Zhang

Gli astronomi hanno avvistato per la prima volta ‘Oumuamua dopo che aveva raggiunto il punto più vicino al nostro Sole, quando stava già uscendo dal sistema solare. Questo ha reso difficili le osservazioni, ma i ricercatori sono riusciti a distinguere alcune caratteristiche dell’oggetto. Misurava circa 400 metri di lunghezza, aveva la forma di un sigaro e girava rapidamente su se stesso: circa una rotazione ogni otto ore. Basandosi sulla traiettoria ad altissima velocità attraverso il sistema solare, gli astronomi hanno dedotto che si fosse formato altrove, perché si muoveva troppo velocemente per essere legato al Sole.

L’aspetto sorprendente, però, era che ‘Oumuamua mostrava una leggera ma significativa accelerazione mentre si allontanava: l’esatto contrario di ciò che ci si aspetterebbe da un oggetto in uscita che combatte contro l’attrazione gravitazionale del Sole. “Era stranissimo”, commenta Seligman. “Si trattava di una forza che lo spingeva ininterrottamente ad allontanarsi dalla nostra stella, con un ordine di grandezza di circa un millesimo dell’accelerazione gravitazionale solare.”

Fra i tentativi di spiegare questa accelerazione anomala sono stati proposti getti di vapore generati dal ghiaccio d’acqua scaldato dalla luce solare, che avrebbero esercitato una spinta sull’oggetto. Ma questi getti, da soli, non avrebbero potuto produrre una forza abbastanza elevata da giustificare l’accelerazione osservata, sostengono Laughlin e Seligman. “Più del 200 per cento della superficie avrebbe dovuto essere coperto d’acqua”, afferma Seligman.

Alla ricerca di spiegazioni più plausibili, i ricercatori hanno esaminato altri tipi di ghiaccio che avrebbero potuto produrre getti tanto potenti da spiegare l’accelerazione, e quello che funziona meglio è l’idrogeno. “Poiché il ghiaccio di idrogeno ha una bassa coesione, basta che ne sia coperto solo il 6 per cento della superficie”, calcola Seligman.

Questo scenario avrebbe già di per sé implicazioni affascinanti sulla provenienza di ‘Oumuamua. Il ghiaccio di idrogeno sublima (cioè passa da solido a gas) a una temperatura bassissima, soli –267 °C, appena superiore alla temperatura ambiente dello spazio: –270 °C. Questo suggerisce che un ‘Oumuamua ricco di idrogeno ghiacciato si debba essere formato in un luogo estremamente freddo.

L’ipotesi migliore su un luogo di nascita con una temperatura così bassa sembra l’interno di una gigantesca nube molecolare: uno degli accumuli di polvere e gas che si estendono per decine o centinaia di anni luce, in cui avviene la formazione stellare, oltre a quella di miriadi di nuclei protostellari – cioè grumi incompiuti di gas, all’incirca delle dimensioni del nostro sistema solare – che non diventano mai abbastanza compatti da innescare la fusione nucleare e “accendersi” come stelle vere e proprie. All’interno delle profondità buie e dense di un simile nucleo, la temperatura può essere sufficientemente bassa da consentire la formazione di idrogeno ghiacciato.

“Per ottenere questa quantità di ghiaccio di idrogeno, bisogna iniziare con un ambiente davvero freddissimo”, spiega Shuo Kong dell’Università dell’Arizona, l’esperto di nubi molecolari che ha fornito consulenze per la ricerca di Seligman e Laughlin ma che non è stato direttamente coinvolto nello studio. “E l’ambiente più freddo che non sia troppo lontano da noi sono questi nuclei senza stella che si trovano all’interno delle nubi molecolari. Nelle regioni centrali hanno temperature infime e quindi potrebbero essere un luogo promettente per la formazione di ‘Oumuamua.”

Se l’idea è corretta, questo oggetto ci offrirebbe informazioni senza precedenti sui crogioli in cui si formano le stelle. “Non comprendiamo bene il motivo per cui il processo di formazione stellare sia così inefficiente nelle nubi molecolari”, afferma Laughlin. “Se si formano questi oggetti di idrogeno, ciò ci dice che la temperatura in alcune nubi deve diventare bassissima e la densità relativamente alta. È molto interessante per tarare quali siano le condizioni che portano alla formazione di stelle e pianeti.”

Per quanto possa sembrare bizzarra, questa teoria sembra dar conto molte delle stranezze di ‘Oumuamua. A parte l’insolita accelerazione, spiegherebbe perché è entrato nel nostro sistema solare a 26 chilometri al secondo, vicino alla velocità a cui si sposta il Sole rispetto alla velocità media di altre stelle vicine. Non era l’oggetto a muoversi verso di noi, ma noi a navigare verso di esso, che se ne stava immobile in seguito al fallimento del suo nucleo protostellare nel diventare una stella.

Anche l’insolita forma a sigaro di ‘Oumuamua si può spiegare con questa teoria. In realtà, è possibile che quando si formò, probabilmente meno di 100 milioni di anni fa, avesse avuto dimensioni tre volte maggiori e forma sferica, e che fosse composto per il 99 per cento da ghiaccio di idrogeno. Il ghiaccio si sarebbe consumato a mano a mano che si avvicinava al Sole e iniziava a riscaldarsi, fino a ridursi alla sua forma allungata, un po’ come una saponetta si consuma e assume una forma sottile.


Anche il fatto che ‘Oumuamua sia stato scoperto in modo così rapido e facile – nel quadro di una rilecazione astronomica quadriennale – rappresenta un problema per i teorici. Se fosse una cometa interstellare o un asteroide – come l’indiscussa cometa interstellare Borisov scoperta nel 2019 – dovremmo ritenere che tali oggetti siano fino a 100 volte più abbondanti di quanto si pensasse.

La teoria della nube molecolare per le origini di ‘Oumuamua suggerirebbe invece che nella galassia possano esserci miliardi e miliardi di questi oggetti, proprio a causa della sua rapida scoperta. “Nonostante sia stato osservato un solo oggetto, la densità numerica implicita è troppo elevata”, afferma Amaya Moro-Martín dello Space Telescope Science Institute, che l’anno scorso ha proposto una teoria diversa sull’origine di ‘Oumuamua. “Questa proposta potrebbe risolvere il problema.”

Ormai è impossibile verificare la teoria su ‘Oumuamua: l’oggetto si è allontanato da tempo, ma con un po’ di fortuna prima o poi sarà possibile valutare queste previsioni. Se individueremo un intruso interstellare analogo in entrata nel nostro sistema solare, sarà possibile osservare una variazione rivelatrice nella massa dell’oggetto via via che il suo ghiaccio di idrogeno sublima. I futuri telescopi, come il Vera C. Rubin Observatory in Cile, che nel 2022 inizierà una serie decennale di osservazioni del sistema solare, potrebbero cercare altri dati.

Se, insieme alle nuove osservazioni remote, consideriamo anche i progetti per visitare alcuni di questi oggetti con missioni come l’europea Comet Interceptor, le possibilità per nuove indagini scientifiche sulla recente teoria sono molto promettenti. Questi iceberg di idrogeno che si formarono all’interno di stelle mancate e che ora fluttuano nel nostro mare cosmico ci attendono, ricchi di segreti. “E ce ne sono così tanti che potremo davvero studiarli da vicino”, conclude Seligman.

————————-
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 3 giugno 2020. Traduzione di Daniele A. Gewurz, editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

Share.

Leave A Reply