Potremo prevedere i brillamenti solari con 20 ore di anticipo
È stato pubblicato su Science uno studio che presenta un nuovo metodo per prevedere i brillamenti solari. Il modello è stato testato con i dati del Solar Dynamics Observatory della Nasa dal 2008 al 2019, e ha identificato la presenza, l’ubicazione e le dimensioni della maggior parte dei brillamenti avvenuti, con un anticipo fino a 20 ore
Secondo quanto riportato in uno studio pubblicato oggi su Science, sembra proprio che – grazie a quelle che potrebbero essere definite previsioni meteorologiche estreme – siamo in grado di prevedere con grande precisione e affidabilità i brillamenti solari: massicce esplosioni di radiazioni elettromagnetiche, plasma e particelle cariche che avvengono nella parte superiore dell’atmosfera della nostra stella (la corona solare), innescate dal rapido rilascio di energia immagazzinata nei contorti campi magnetici delle regione attive, attorno alle macchie solari. La radiazione X emessa da un brillamento – o flare – e l’espulsione di materiale dal Sole che spesso accompagna i brillamenti, può avere potenti ripercussioni – in termini di meteorologia spaziale – sulla Terra, che possono comportare rischi per astronauti, satelliti e sistemi tecnologici a terra, come reti elettriche e di telecomunicazioni. Il tempo che abbiamo per correre ai ripari è di soli 8.3 minuti dopo l’inizio dell’evento – il tempo che impiega la luce del Sole ad arrivare sulla Terra – e pertanto riuscire a prevederli prima che esplodano è di importanza fondamentale. Man mano che la nostra società diventa sempre più dipendente da queste tecnologie, aumenta la necessità di metodi affidabili per prevedere questi eventi solari e diminuire i tempi entro i quali viene dato l’allarme, quando si verificano.

Il Solar Dynamics Observatory della Nasa ha catturato questa immagine di un brillamento solare il 2 ottobre 2014. Il brillamento è il bagliore luminoso sulla parte destra del Sole. Crediti: Nasa / Sdo
Nonostante decenni di studio e monitoraggio quasi continuo dell’attività magnetica del Sole, le condizioni e i meccanismi specifici che producono i flare sono sconosciuti, rendendoli particolarmente difficili da prevedere. Kanya Kusano e colleghi hanno presentano su Science lo schema k, un modello predittivo in grado di prevedere grandi brillamenti solari in modo più affidabile rispetto ai metodi precedenti. Utilizzando uno schema basato su processi fisici per derivare le soglie critiche di instabilità magnetoidrodinamica, l’approccio di Kusano è in grado di prevedere quando un flare solare è imminente usando le normali osservazioni magnetiche del Sole. Identifica anche dove si verificherà e quanta energia potrebbe essere rilasciata. Per testare il loro modello, gli autori hanno analizzato i dati dal Solar Dynamics Observatory della Nasa dal 2008 al 2019, scoprendo che lo schema k sarebbe stato in grado di identificare la presenza, l’ubicazione e le dimensioni della maggior parte dei brillamenti, fino a 20 ore in anticipo. In un altro articolo correlato, Astrid Veronig discute come il metodo migliori la nostra comprensione di come e perché avvengono i brillamenti solari.

1. Le correnti elettriche (J) scorrono lungo le linee del campo magnetico tranciato (B) dalle regioni sulla superficie con polarità opposta. Le aree di interesse per i flare sono lungo il confine (zona indicata con un cerchio). Bz è la componente verticale del campo magnetico. 2. Le linee di campo si riorganizzano attraverso la riconnessione, con la conseguente formazione di un loop magnetico a doppio arco che si muove lontano dalla superficie (V). 3. Il movimento verso l’alto del loop magnetico a doppio arco induce ulteriori riconnessioni, mediante le quali vengono rilasciate grandi quantità di energia che causano le regioni luminose sulla superficie. 4. Seguono ulteriori riconnessioni magnetiche che amplificano l’instabilità, portando ai brillamenti, che sono spesso accompagnati da espulsioni di massa coronale. Crediti: Science/Astrid M. Veronig/Kusano et al.