Si può davvero attraversare un wormhole?

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Si può davvero attraversare un wormhole?

I wormhole, scorciatoie nel tessuto dello spazio-tempo che collegano punti del cosmo distanti, nascono come astrazione matematica dallo studio della geometria della relatività generale di Einstein. Fonte di ispirazione per tanti film e romanzi, i wormhole interessano però anche i fisici, che si interrogano sulla loro eventuale esistenza reale e i limiti alla possibilità di attraversarli
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Nel 1985, l’astrofisico e divulgatore scientifico statunitense Carl Sagan pubblicò un libro di fantascienza, Contact, dal quale anni dopo sarebbe stato tratto anche un film. La parte clou della storia è un avventuroso viaggio spaziale compiuto dalla protagonista, Ellie Arroway, che si muove sfruttando dei wormhole, tunnel spazio-temporali che le permettono di spostarsi rapidamente tra punti molto distanti della galassia.

Quello di Sagan non fu un semplice artificio letterario, ma gli fu suggerito da un fisico teorico, Kip Thorne, che molti anni dopo (nel 2017) avrebbe vinto il premio Nobel per la scoperta delle onde gravitazionali. Il suggerimento di Thorne non era casuale: i wormhole, infatti, sono oggetti previsti dalla teoria generale della relatività di Albert Einstein, e considerati a lungo (e da molti tuttora) una semplice speculazione teorica, buona solo per la fantascienza.

Negli anni diversi scienziati hanno provato a indagare sulla possibile reale esistenza di questi oggetti bizzarri, scontrandosi però con una lunga serie di ostacoli, che vincolerebbero l’esistenza dei wormhole (e la loro transitabilità) al verificarsi di condizioni molto particolari e poco realistiche.

Ora però potrebbe arrivare un’interessante svolta: sulle riviste “Physical Review Letters”  e “Physical Review D” sono stati infatti pubblicati di recente due studi – i cui primi autori sono rispettivamente Jose Luis Blázquez-Salcedo, dell’Università Complutense di Madrid, e Juan Maldacena, dello statunitense Institute for Advanced Study di Princeton – che dimostrano la possibilità teorica di attraversare un wormhole, senza la necessità di assumere ipotesi esotiche o l’esistenza di una “nuova fisica”.

di Philip Ball/Quanta Magazine Ma prima di capire se la fantascienza potrebbe davvero diventare realtà, facciamo un passo indietro: da dove nasce la suggestiva ipotesi dei tunnel spazio-temporali?

Bisogna tornare al 1916, un anno dopo la pubblicazione da parte di Einstein della sua teoria generale della relatività. In quell’anno un astronomo tedesco, Karl Schwarzschild, presentò la prima soluzione esatta delle equazioni di Einstein, soluzione che prevedeva anche l’esistenza dei “buchi neri”, oggetti il cui campo gravitazionale è così intenso da non permettere né alla materia né alla luce di sfuggire, una volta superato un certo confine detto “orizzonte degli eventi”.

Un gioco di simmetrie

La soluzione di Schwarzschild presentava una particolare simmetria per cui, parallelamente ai buchi neri, ammetteva anche l’esistenza dei cosiddetti “buchi bianchi”, oggetti perfettamente speculari ai buchi neri (ma, a differenza di questi ultimi, privi di un analogo astrofisico) che possono soltanto emettere materia e radiazione, anziché assorbirle.

Sempre nel 1916, il fisico austriaco Ludwig Flamm pubblicò un articolo in cui osservò che la geometria completa della soluzione di Schwarzschild era costituita da un buco nero, un buco bianco e due regioni spazio-temporali separate, due veri “universi” distinti che, secondo Flemm, potrebbero essere in realtà connessi. Sebbene in forma ancora abbozzata, l’ipotesi del fisico austriaco corrispondeva di fatto alla prima teorizzazione dei tunnel spazio-temporali. Solo nel 1935 Einstein, insieme al collega Nathan Rosen, trovò una soluzione simile, oggi nota proprio come “ponte di Einstein-Rosen”.

Fu invece il fisico statunitense John Wheeler, già padre del nome “buco nero”, a coniare la definizione wormhole (traducibile con “buco di verme”), forse non troppo elegante ma indubbiamente efficace: esattamente come un piccolo insetto può creare un canale all’interno di un frutto per attraversarlo da parte a parte, un wormhole spazio-temporale può connettere le due estremità di una galassia, creando una scorciatoia che permette (in teoria) di attraversarla velocemente. Nei primi anni sessanta, lo stesso Wheeler dimostrò però che un wormhole, una volta creato, può restare “aperto” solo per pochi istanti, rendendo impraticabili eventuali spostamenti al suo interno.

Ma qui torna in pista Carl Sagan e la sua richiesta di consulenza a Kip Thorne: stimolato dal problema posto da Sagan, nel 1988, insieme al suo studente Michael Morris, Thorne riuscì a trovare una soluzione matematica che permetteva teoricamente il viaggio di un essere umano attraverso uno di questi tunnel (un bell’esempio di come la fantascienza, a volte, possa far progredire la scienza).

Kip Thorne. Le sue teorie sono state usate nel film Interstellar (2014) di cui è stato consulente scientifico (© Xinhua/Avalon.red/AGF)

Tuttavia la soluzione di Thorne resta “fantascientifica”, nel senso che la sua validità presuppone la presenza di una forma di materia “esotica”, la cui reale esistenza non è al momento dimostrata. Un ostacolo, questo, considerato da molti insuperabile sulla strada del “realismo” dei wormhole, ma ecco che i due studi appena pubblicati potrebbero cambiare le carte in tavola.

Soprattutto il lavoro di Blázquez-Salcedo e colleghi sembra riuscire a risolvere il problema della materia esotica, come ci ha spiegato lo stesso primo autore dell’articolo: “Tutti i modelli precedenti di wormhole transitabili richiedevano una forma di materia particolare, non prevista dal modello standard delle particelle elementari: questa materia non ordinaria è necessaria per produrre una forza aggiuntiva che bilanci l’attrazione gravitazionale presente all’interno del tunnel, mantenendolo così aperto. Il nostro modello dimostra invece per la prima volta che è possibile avere soluzioni di wormhole costituiti anche da materia detta ‘fermionica’, che esiste in natura ed è coerente con il modello standard e con la teoria generale della relatività di Einstein”.

Se c’è, è piccolo piccolo

Blázquez-Salcedo smorza però subito gli entusiasmi per la possibile transitabilità umana di un oggetto simile (ammesso che esista): “Premesso che a oggi non ci sono evidenze osservative dell’esistenza dei wormhole da noi teorizzati, le loro dimensioni sarebbero comunque microscopiche, rendendo quindi impossibile l’attraversamento da parte di un essere umano”.

Il secondo lavoro, firmato da Juan Maldacena e Alexey Milekhin di Princeton, arriva a risultati simili, ma all’interno di una teoria gravitazionale modificata, non coincidente con la relatività generale di Einstein. Tuttavia i wormhole di Maldacena e Milekhin, a differenza di quelli di Blázquez-Salcedo e colleghi, non sono microscopici, quindi in teoria potrebbero permettere il passaggio di un intrepido viaggiatore umano.

“La nostra soluzione di wormhole permette di attraversare il tunnel in un tempo brevissimo, anche minore di un secondo, grazie al forte rallentamento nello scorrere del tempo che si verifica in presenza di elevati campi gravitazionali e senza la necessità di muoversi a velocità superiori a quella della luce”, ci spiega Maldacena. La traversata, è bene ricordarlo, risulterebbe così rapida solo per la persona che si trova all’interno del tunnel, mentre un ipotetico osservatore esterno misurerebbe un tempo di viaggio estremamente più lungo, dell’ordine delle migliaia di anni (si tratta di un effetto relativistico ben noto).

Illustrazione di un ipotetico wormhole tra la Terra e Alpha Centauri, distante da noi 4,3 anni luce (© SPL/AGF)

Maldacena attribuisce però poche chances alla possibilità che un oggetto del genere esista realmente: “Sebbene il tipo di materia che costituisce il nostro wormhole sia consistente con le leggi della relatività speciale e della meccanica quantistica, è altamente probabile che non esista in natura. Per il momento la nostra soluzione rimane quindi una semplice curiosità teorica”.

Più in generale, esistono anche altri aspetti da considerare, come sottolinea Paolo Pani, professore associato di fisica gravitazionale alla Sapienza Università di Roma. “Premesso che si tratta di due lavori molto interessanti, il grosso problema di queste soluzioni è capire se si possono formare in modo dinamico: oggi sappiamo per esempio che un buco nero si forma in seguito al collasso gravitazionale di una stella, mentre non è chiaro se e come un wormhole possa formarsi nell’universo. Il fatto che tali soluzioni esistano teoricamente non vuol dire che siano stabili, e se fossero instabili semplicemente non potrebbero esistere in natura.”

Meglio non farsi illusioni, quindi. Tuttavia, nella (improbabile) ipotesi che i wormhole esistano davvero, un modo per accorgersi della loro presenza ci sarebbe.

Tra le varie possibilità teoriche in campo c’è quella secondo cui i tunnel spazio-temporali possano crearsi in seguito alla fusione tra due buchi neri: in questo caso sarebbe possibile studiare il segnale gravitazionale generato in seguito alla loro formazione, segnale che terminerebbe con una fase detta di ringdown, una sorta di violenta vibrazione finale che trasporta informazioni sulla natura stessa dell’oggetto che la genera.

“Il ringdowndi un wormhole, essendo quest’ultimo privo di un orizzonte degli eventi, si distinguerebbe da quello di un buco nero, e sarebbe seguito da ‘echi’ prodotti dal rimbalzo di onde gravitazionali da una parte all’altra della ‘gola’ del tunnel, il suo punto più stretto”, riprende Pani, prima di aggiungere un particolare importante: “Il segnale di questi echi da wormhole dovrebbe essere abbastanza forte da essere già misurabile con gli attuali rivelatori di onde gravitazionali. Ma finora non è stato visto niente di tutto ciò”.

Insomma, nonostante i progressi teorici  sperimentali, l’ipotesi che il nostro universo possa davvero ospitare i misteriosi tunnel spazio-temporali continua a essere molto remota. Almeno per il momento, dobbiamo accontentarci della fantascienza.

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