In fondo al Mediterraneo un telescopio per i neutrini dallo spazio profondo

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In fondo al Mediterraneo un telescopio per i neutrini dallo spazio profondo

Con la posa di un primo gruppo di rilevatori a 3500 metri di profondità a sud della Sicilia, diventa operativo ARCA, il più grande rivelatore di neutrini del nostro emisfero, che punta a identificare con certezza le sorgenti dei raggi cosmici ad altissima energia, dall’origine ancora sconosciuta
di Leonardo De Cosmo
www.lescienze.it

Con la posa delle prime stringhe di rilevatori è da poco entrato nella fase operativa KM3NeT, la grande infrastruttura di ricerca che sta crescendo nelle profondità del Mediterraneo per l’osservazione dei neutrini. Due telescopi sottomarini, il primo al largo delle coste francesi (ORCA, Oscillation Research with Cosmics in the Abyss) dedicato alla caratterizzazione delle proprietà dei neutrini, il secondo al largo della Sicilia (ARCA, Astroparticle Research with Cosmics in the Abyss) per rilevare neutrini ad alta e altissima energia, che potranno far luce su fenomeni cosmici poco conosciuti che avvengono a miliardi di anni luce da noi.

Frutto di una collaborazione di oltre 250 ricercatori provenienti da circa 60 centri di ricerca, una volta completato sarà il telescopio per neutrini più potente al mondo e il suo obiettivo sarà allargare gli orizzonti dell’astronomia multimessaggera. Un progetto ambizioso al quale l’Italia partecipa con dieci strutture dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), tra cui i Laboratori nazionali del sud (LNS) che sono il centro di riferimento per il nodo KM3NeT-ARCA.

Una storia appena iniziata

Dopo una lunga e complessa fase di progettazione, tra l’8 e il 14 aprile 2021 si è conclusa, a 80 chilometri da Capo Passero, la prima campagna di installazione a 3500 metri di profondità del primo gruppo di rilevatori di ARCA. Si tratta di sei lunghe stringhe che – ancorate sul fondo marino e fissate a un centinaio di metri l’una dall’altra – salgono per 700 metri, formando il nucleo iniziale di un piccolo “bosco” sottomarino destinato a crescere rapidamente. Il loro numero arriverà a 24 entro la seconda metà del 2022, e a 230 quando il progetto sarà completo. A ogni stringa sono fissati a intervalli regolari 18 moduli ottici: sfere di 40 centimetri di diametro progettate per rilevare nel buio degli abissi anche i più deboli bagliori di luce.

Tra tutte le particelle conosciute i neutrini sono di certo tra le più sfuggenti, quasi impossibili da vedere, e per riuscire a rilevarle conviene andare in fondo al mare, sfruttando l’acqua e il buio. ARCA, come tanti altri rivelatori analoghi, è in sostanza un maxi reticolo di fotocamere ultrasensibili capaci di vedere le piccole scie luminose, la cosiddetta luce Cherenkov, generate dalla cascata di particelle prodotte quando un neutrino interagisce con l’acqua o il fondale.

Schema della disposizione di ARCA (© KM3NeT Edward Berbee/Nikhef)

“Entro settembre 2022 il telescopio ARCA potrebbe completare la posa delle prime 24 stringhe e concludere quella che definiamo Fase 1”, spiega a “Le Scienze” Giorgio Riccobene, ricercatore dei Laboratori nazionali del sud dell’INFN. “Saremo ancora lontani dalle dimensioni del progetto finale, tuttavia, alla conclusione della Fase 1 ARCA sarà già il più potente telescopio per neutrini dell’emisfero nord.”

Nel frattempo, ORCA, nelle acque francesi, è vicinissimo al completamento della sua Fase 1 e così tra pochi mesi entrambi gli “occhi” di KM3Net potranno entrare in piena attività e dedicarsi all’obiettivo principale: individuare e caratterizzare i neutrini provenienti da sorgenti cosmiche. 

Dai protoni ai neutrini
“La motivazione principale che ci spinge a costruire strumenti come ARCA – prosegue Riccobene – è la volontà di dare risposta a uno dei maggiori punti interrogativi ancora aperti nell’astrofisica: conoscere con certezza le sorgenti dei raggi cosmici ad altissima energia.”

Da più di un secolo, grazie anche al pionieristico lavoro del fisico Domenico Pacini scomparso nel 1934, sappiamo che il nostro pianeta è continuamente bombardato da una grande quantità di particelle di ogni tipo, come protoni e fotoni, ma anche neutrini, ioni e antimateria. Sappiamo che solo una parte di esse è prodotta dal Sole, mentre l’origine di tante altre, come i protoni ad altissima energia, resta ancora poco chiara.

“Abbiamo modelli – spiega Riccobene – che descrivono piuttosto bene i meccanismi di produzione e propagazione di questi ioni, probabilmente supernove per quelli che hanno origine nella nostra galassia, mentre per quelli più energetici i candidati sono i nuclei galattici attivi oppure i lampi di raggi gamma (gamma ray burst). Ma non abbiamo ancora evidenze sperimentali che ci diano una testimonianza diretta che leghi il loro arrivo e la sorgente che li produce.”

In altre parole, manca la “pistola fumante” che dimostri con certezza dove nascono queste particelle incredibilmente energetiche. Uno dei grandi ostacoli per verificarne l’origine è dovuto alla loro stessa natura: essendo dotate di massa e carica subiscono facilmente deviazioni lungo il loro tragitto. Risalire allora a luogo di origine è praticamente impossibile.

Una fase della posa dei rivelatori di ARCA (© KM3NeT)

Ma ecco che arrivano in soccorso i neutrini. Si ritiene che nei momenti in cui vengono prodotti questi raggi cosmici, si generino contestualmente anche raggi gamma e neutrini. I primi sono radiazioni elettromagnetiche ad alta frequenza, fotoni che possono essere più facilmente osservati da satelliti ma che possono avere origine anche da altre tipologie di fenomeni; i neutrini invece hanno massa e carica elettrica praticamente nulla e per loro natura sono particolarmente sfuggenti.

“Osservare semplicemente sorgenti di raggi gamma – precisa il ricercatore – non ci basta per avere certezze che quelle sorgenti producano anche protoni, ossia i raggi cosmici ad alta energia. Ma se riuscissimo a osservare flussi sia di fotoni sia di neutrini ad alta energia provenienti dallo stesso punto sarà possibile dedurre che quella è davvero una delle sorgenti di raggi cosmici che stiamo cercando da più di cent’anni. È per questo che costruiamo telescopi come ARCA!”

Finora, gli unici telescopi al mondo progettati per rilevare questi neutrini erano IceCube, operativo in Antartide dal 2010, e Antares, che si trova vicino al sito di ORCA di KM3Net e sta esaurendo in questi mesi il suo ciclo vitale. Dei due, solo IceCube è riuscito nell’impresa e solo in un caso ha potuto determinare con una certa precisione la possibile fonte di uno dei neutrini osservati: un nucleo galattico attivo identificato come la blazar TXS 0506+056 nel settembre del 2017.

Ora IceCube si prepara ad alcuni aggiornamenti che ne miglioreranno le prestazioni e l’arrivo di ARCA permetterà di aumentare di molto le probabilità di identificare nuovi neutrini ad alte energie. I due strumenti, per caratteristiche e posizione, sono infatti complementari e si spera che possano assicurare l’identificazione di circa un centinaio di eventi significativi l’anno.

Le sfide sotto al mare

Via via che la posa delle nuove stringhe si completerà, ARCA fornirà sempre maggiori informazioni che dovranno essere analizzate dai computer presenti nel sito INFN di Capo Passero: ben 50 gigabyte di dati al secondo. “Si può immaginare l’intero strumento come se fosse una enorme videocamera – spiega Riccobene – dove ciascun rilevatore ottico corrisponde a un pixel. Questi sensori sono costantemente attivi e campionano la luce ogni nanosecondo. Quando ARCA sarà completo realizzerà un video da 400.000 pixel a un miliardo di fotogrammi al secondo.”

Le maggiori sfide affrontate in fase di progettazione sono state la calibrazione temporale dei vari sensori e il riuscire ad avere un metodo per conoscere in ogni istante l’esatta posizione relativa dei sensori. Anche piccoli movimenti dovuti alle correnti marine possono rendere “sfuocata” l’immagine ripresa da ARCA, e per conoscere le relative posizioni tra i rilevatori è stato sviluppato uno speciale sistema acustico, strumento che in questi anni di test ha permesso una serie di scoperte collaterali sui cetacei che popolano la zona.

Sala di controllo delle operazioni (© KM3NeT)

“Infine, tutti i dati vanno messi insieme, nel modo corretto e in breve tempo”, precisa Riccobene. “Le informazioni raccolte dalle varie stringhe, a un centinaio di chilometri dalla costa, devono essere sincronizzate e analizzate per verificare se le tracce di luce identificate da ogni sensore possano essere riconducibili all’interazione di neutrini.” Un po’ come rimettere insieme decine e decine di tracce di centinaia di strumenti di un’orchestra che arrivano in tempi diversi e capire se i vari strumenti stavano improvvisando qualche nota in solitario oppure, molto raramente, stavano tutti eseguendo un’opera all’unisono.

“I computer sono in grado di fare una prima analisi rapida per identificare schemi che ricalcano quello che potrebbe essere il percorso della luce Cherenkov prodotta a seguito dell’interazione del neutrino. Se non c’è nulla, i dati vengono buttati via rapidamente perché sarebbe impossibile memorizzarli, mentre in caso di un possibile evento candidato si procede a un’analisi più dettagliata.” Se si riscontra un caso davvero interessante viene generata un’allerta rivolta a tutta la “comunità multimessaggera” che potrà indirizzare i propri strumenti (satelliti e telescopi) per setacciare la regione di cielo da cui si ritiene provenga il segnale.

“Il vero salto di qualità di ARCA – conclude Riccobene – è previsto per fine estate, quando avrà prestazioni superiori ad Antares, e da allora in avanti confidiamo di poter individuare eventi che guideranno l’intera comunità a cercare le sorgenti dei raggi cosmici.”

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