Bagliori d’energia oscura nel cuore del Gran Sasso

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Bagliori d’energia oscura nel cuore del Gran Sasso

La forza misteriosa che costituisce circa il 70 per cento dell’universo, responsabile della sua espansione accelerata, potrebbe essere all’origine di eventi anomali registrati dall’esperimento Xenon1T nei Laboratori nazionali del Gran Sasso, un rivelatore costruito in realtà per catturare materia – non energia – oscura. A guidare lo studio, pubblicato su Physical Review D, Sunny Vagnozzi dell’Università di Cambridge e Luca Visinelli delll’Infn
di Marco Malaspina  
www.media.inaf.it 

Nel cuore del Gran Sasso, protetta da 1400 metri di roccia, si cela la trappola per materia oscura più sensibile al mondo: l’esperimento Xenon1T, un enorme cilindro contenente oltre tre tonnellate di xenon liquido ultra-puro nei cui atomi – sperano gli scienziati – potrebbero rimanere prima o poi imbrigliate le elusive particelle che dovrebbero rendere conto del 26 per cento del bilancio complessivo dell’universo. Fino a oggi non è mai accaduto. C’è però la possibilità che la sofisticatissima trappola abbia catturato una preda ancora più ambita, ancora più sfuggente: la misteriosissima energia oscura, responsabile del 69 per cento del contenuto del cosmo.

L’esperimento Xenon1T nei Laboratori nazionali del Gran Sasso. Crediti: Roberto Corrieri e Patrick De Perio

Lo strumento giusto per l’obiettivo “sbagliato”? Ad avanzare la suggestiva ipotesi è uno studio, pubblicato ieri su Physical Review D, guidato da due fisici italiani: Sunny Vagnozzi dell’Università di Cambridge (Regno Unito), già noto ai lettori di Media Inaf per i suoi studi sull’espansione dell’universo, e Luca Visinelli dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. Un modello messo a punto dal loro team riuscirebbe infatti a spiegare un eccesso di eventi anomalo registrato da Xenon1T l’anno scorso attraverso un fenomeno chiamato “schermatura dei chameleons” – dove i chameleons sono niente meno che “particelle” candidate a spiegare l’energia oscura.

«Nel modello che abbiamo discusso», spiega Visinelli a Media Inaf, «i chameleons sono particelle ipotetiche la cui massa dipende dall’ambiente circostante: è proporzionale alla densità della materia attorno, quindi sono molto pesanti nelle rocce e quasi senza massa quando viaggiano nello spazio. Questa proprietà di schermatura è molto importante, perché sappiamo che la relatività generale funziona molto bene a livello locale, quindi ne vogliamo alterare le proprietà solo a livello cosmologico su cui l’energia oscura agisce».

Luca Visinelli (Infn-Lnf), secondo autore dell’articolo di S. Vagnozzi et al. pubblicato su Phys. Rev. D

Ma perché ricorrere a un’ennesima particella ipotetica? Inizialmente la spiegazione più gettonata per l’anomalia del 2020 – sempre che si sia trattato di un vero segnale, non di una fluttuazione casuale, mettono le mani avanti gli scienziati – è stata che a generarla fossero assioni provenienti dal Sole. Altra particella ipotetica, dunque, ma meno “esotica” dei chameleons, per quanto quantificare l’esotismo delle particelle ipotetiche sia un’operazione di dubbia legittimità. Indagando meglio, però, è emerso che in questo caso quella degli assioni – leggerissime particelle di materia oscura, ricordiamo – è un’ipotesi che produce più problemi di quanti non ne risolva: la quantità di assioni necessaria a spiegare il segnale rilevato da Xenon1T altererebbe infatti drasticamente l’evoluzione delle stelle molto più pesanti del Sole, una conseguenza in conflitto con quanto osserviamo.

E i chameleons? «Sono già stati testati in alcuni esperimenti in cui si ricerca la materia oscura nella forma di assioni, particelle per certi versi con proprietà simili: sono scalari, leggeri, e interagiscono coi fotoni. La differenza», spiega Visinelli, «è che il campo dei chameleons è responsabile degli effetti di energia oscura, e la produzione nel Sole riguarda i “quanti” di chameleons, ovvero le eccitazioni sopra questo campo. Le spiegazioni con materia oscura (assioni) sono problematiche, mentre il chameleon ha questa proprietà di non avere una massa definita. La massa del chameleon è grande quando c’è molta materia, quindi la forza mediata dalla particella è schermata (screened) in questo caso. Questa proprietà spiegherebbe perché stelle molto massive non producano chameleons al loro interno».

L’anomalia del 2020, dunque, porterebbe la firma di chameleons originati nel Sole. Vagnozzi e colleghi sono riusciti addirittura a circoscrivere da quale zona del Sole: il tacoclino, la regione in cui il trasporto dell’energia passa da radiativo a convettivo. «Dalla elio-sismologia sappiamo che il tacoclino si trova a circa 0.7 volte il raggio del Sole», ricorda Visinelli, «ed è una zona in cui i campi magnetici sono estremamente intensi. I nostri chameleons sono prodotti nel Sole da questi campi magnetici, quindi la produzione è favorita al tacoclino».

È ancora un’ipotesi, certo, ma la posta in gioco è troppo alta per lasciarla cadere nel nulla. D’altronde parliamo del 69 per cento dell’universo – di un universo del quale la fisica attuale riesce a spiegare un cinque per cento scarso. «Chiaramente c’è perplessità», dice Visinelli quando gli chiediamo come abbiano reagito i colleghi che da anni stanno cercando nei dati di Xenon la dark matter, e che ora all’improvviso vedono fare capolino qualcosa che potrebbe essere dark energy, «ma in generale si ha voglia di testare teorie nuove». Ora si tratta anzitutto di accertarsi che quell’anomalia fosse davvero un evento significativo. E la strada per farlo è continuare ad ascoltare la Natura, ad acquisire dati. «Se Xenon1T ha davvero visto davvero qualcosa, è ragionevole attendersi di vedere di nuovo un eccesso simile in esperimenti futuri, ma questa volta con un segnale molto più forte», conclude Visinelli. «Nel nostro modello, il chameleon risulterebbe infatti anche nei prossimi upgrade di Xenon, oltre che negli esperimenti che utilizzano xenon come PandaX e Lux-Zeplin, e avrebbe anche conferme indirette da Admx e dal Cern Axion Solar Telescope».

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