I cambiamenti climatici ci faranno importare la carestia in Europa

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I cambiamenti climatici ci faranno importare la carestia in Europa

Dal caffè alla soia, dal cacao allo zucchero, il cambiamento climatico metterà presto a rischio le produzioni agricole di alcuni dei nostri maggiori fornitori di alimenti e di mangimi per gli animali
di Martina Saporiti
www.lescienze.it

Ogni anno l’Europa importa circa 30-35 milioni di tonnellate di soia (ne produce meno di un milione), soprattutto per farne mangime animale. Entro metà secolo, senza un freno deciso alle emissioni di gas serra, il 60 per cento di queste importazioni potrebbe essere a rischio a causa dell’aumento della siccità nei paesi produttori, Brasile in primis. È facile immaginare le drammatiche ricadute economiche sul settore dell’allevamento. E purtroppo non si tratta solo della soia: l’intera industria agroalimentare europea è vulnerabile al cambiamento climatico al di fuori dei confini del continente. Oggi, appena l’1 per cento delle importazioni agricole europee proviene da paesi a rischio di siccità elevato o molto elevato; ma arriveremo al 44 per cento entro il 2050 se le emissioni di gas serra continueranno a salire, determinando un aumento del 25-35 per cento nella gravità delle siccità in importanti paesi esportatori come Brasile, Indonesia, Vietnam, Thailandia, India e Turchia.

Le stime sono state pubblicate su “Nature Communications”  da un gruppo coordinato dall’ingegnere idraulico Ertug Ercin della Vrije Universiteit Amsterdam, direttore della società di ricerca e consulenza R2Water, che si occupa di quantificare il valore economico e sociale dell’acqua. La previsione è modellata su uno scenario climatico abbastanza critico, che nel linguaggio degli esperti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change si chiama Representative Concentration Pathways 6: la concentrazione dei gas serra in atmosfera raddoppierà entro il 2060 rispetto ai livelli preindustriali, per poi diminuire, mantenendosi però sopra i livelli attuali, portando a un incremento di temperatura di 3-4°C entro fine secolo. Anche essendo ottimisti, ovvero contenendo il riscaldamento sotto i 2°C, rischieremo comunque di perdere il 40 per cento delle importazioni agricole. Tra queste alcuni dei prodotti che più consumiamo: caffè (a rischio il 44 per cento delle importazioni, sempre nello scenario peggiore considerato); cacao (28 per cento); olio di palma (61 per cento); zucchero di canna (73 per cento). Potremmo importare anche meno olive, sebbene per queste l’Europa non dipenda dal mercato estero, mentre non avremo problemi per semi di girasole e mais.

“Investimenti mirati ad aumentare la resilienza alla siccità e ottimizzare la gestione delle risorse idriche per assicurare un uso sostenibile, efficiente ed equo dell’acqua potrebbero ridurre la vulnerabilità dell’economia europea alla siccità oltre confine”, scrivono i ricercatori. Che suggeriscono anche di iniziare a puntare su prodotti agricoli alternativi e aumentare le importazioni da paesi che avranno meno problemi di disponibilità idrica, come Russia, Nigeria, Perù, Ecuador, Uganda, Kenya.

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