Come potremo annunciare al mondo la scoperta di vita aliena?

0

Come potremo annunciare al mondo la scoperta di vita aliena?

Incalzati dagli enormi progressi del settore, gli astrobiologi si chiedono quale sarà il modo migliore per comunicare al pubblico scoperte sensazionali, che però avranno comunque bisogno di attente e forse lunghe verifiche
di Jonathan O’Callaghan/Scientific American
www.lescienze.it

In tempi relativamente brevi, dicono certi eminenti astrobiologi, avremo scoperto prove convincenti di vita extraterrestre, oppure avremo relegato la sua possibile esistenza ai confini sempre più circoscritti del cosmo, oltre la portata in rapida espansione delle nostre osservazioni. Le risposte arriveranno forse entro la fine degli anni trenta da una delle numerose iniziative di appassionata ricerca. Per allora campioni provenienti da Marte faranno ritorno sulla Terra, forse con la prova concreta che il Pianeta Rosso un tempo ospitava organismi, o che lo fa tuttora.

Le sonde su Europa e su Titano perlustreranno entrambe le lune in cerca di segni di vita nell’oceano sotto le rispettive superfici o, nel caso di Titano, anche sulla sua superficie. E telescopi avanzati con base a terra e nello spazio dovrebbero sondare le atmosfere di esopianeti potenzialmente abitabili nelle stelle più vicine, alla ricerca di mondi che condividano lo stesso cocktail gassoso infuso di biologia della nostra Terra.

di Shannon Stirone / Scientific American Ma nonostante la fiducia nei risultati imminenti delle loro ricerche, gli astrobiologici hanno assai meno certezze sul modo in cui comunicare l’eventuale successo, se e quando si presenterà. Come bisognerà informare il mondo che non siamo soli nell’universo, soprattutto alla luce della lunga e tormentata storia di affermazioni dubbie e falsi allarmi in questo settore? Dopotutto si sono già sbagliati altre volte.

Il mese scorso un gruppo di ricercatori ha affrontato il problema su “Nature”. Diretto dal capo scienziato della NASA James Green, il gruppo ha proposto un nuovo metodo per verificare e comunicare il rilevamento di biofirme extraterrestri, un po’ come la scala Torino per stabilire la pericolosità degli asteroidi.

L’idea consiste nel mettere a punto una scala da un livello 1 a un livello 7, che permetta di estendere in modo graduale la certezza dei singoli casi. Battezzata scala CoLD (confidence of life detection, fiducia nel rilevamento di vita), a livelli bassi rifletterebbe semplici conferme di un risultato che non dipende da contaminazioni o da qualche ovvia origine abiotica, mentre i livelli più alti rappresenterebbero robuste osservazioni di approfondimento che accertano un legame con la vita. “Si tratta di questioni complesse”, spiega Green. “Ma dobbiamo riuscire a comunicarle in modo semplice.”

Non mancano esempi ammonitori, come le passate pubblicizzazioni di apparenti scoperte rivoluzionarie. Nel 1996 il presidente Bill Clinton proclamò la scoperta di un meteorite marziano, ALH84001, che sembrava contenere segni di vita. “Se fosse confermata sarà certo tra le più sbalorditive indicazioni sull’universo che la scienza abbia mai svelato”, disse in un discorso alla Casa Bianca. La scoperta non fu confermata: le analisi successive sono state una doccia fredda per l’ipotizzata testimonianza di vita su Marte.

Il meteorite marziano, ALH84001 (© NASA)

Per fortuna la percezione pubblica favorevole all’astrobiologia ne emerse relativamente intatta. Ma una replica di quell’incidente oggi potrebbe avere conseguenze disastrose. “Oggi abbiamo i social media, quindi le dicerie, le allusioni e le informazioni volutamente false si propagano come incendi”, sostiene l’ex-responsabile storico della NASA Steven Dick. “A maggior ragione occorre saper comunicare in modo efficace.”

Più di recente, il presunto rilevamento di fosfina atmosferica su Venere, una potenziale biofirma, ha spinto molti a suggerire un’origine biologica per quel gas, ma da allora il rilevamento stesso è stato messo in dubbio.

Idee più stravaganti, come quella che l’oggetto interstellare ‘Oumuamua scoperto nel 2017 nel nostro sistema solare fosse un veicolo spaziale alieno e non un asteroide o una cometa, si sono scontrate con uno sdegno diffuso tra gli scienziati e possono scoraggiare la fiducia nelle scoperte reali di vita aliena. La scala CoLD impedirebbe di gridare al lupo, dice Green, perché qualsiasi affermazione apertamente spregiudicata non passerebbe i test più stringenti richiesti per risalire la scala: “È facile spettacolarizzare le misure di rilevamento della vita.”

Decidere come affrontare rilevamenti concreti di biofirme è un argomento che è stato preso in considerazione anche da altri scienziati. A luglio diversi ricercatori si sono incontrati virtualmente al workshopStandards of Evidence for Life Detection Community, condotto dalla Network for Life Detection (NfoLD) della NASA e da Nexus for Exoplanet System Science (NExSS), per discutere l’idea di stabilire un modello analogo a CoLD. Centinaia di scienziati hanno partecipato, molti in favore di protocolli comunicativi più rigorosi. “La possibilità di rilevare davvero una qualche forma di vita interessante su un altro mondo sta aumentando”, dichiara la co-responsabile del workshop Heather Graham, del Goddard Space Flight Center della NASA. “Vogliamo giocare d’anticipo.”

di Alexandra Witze/Nature Se gli scienziati adottassero la scala CoLD, il primo dei sette livelli sarebbe l’effettivo rilevamento di una biofirma potenziale. Prima di dimostrare in che modo il segnale potrebbe avere origini biologiche, gli scienziati dovrebbero escludere una contaminazione. Poi dovrebbero escludere fonti non biologiche, a cui deve seguire un altro rilevamento indipendente di una biofirma simile. Le osservazioni successive dovranno scartare spiegazioni non biologiche prima che, finalmente, altre osservazioni di approfondimento svelino altri esempi di attività biologica nello stesso ambiente per raggiungere il livello sette, in pratica una dimostrazione di vita aliena.

La speranza è che tutta la comunità scientifica accetti di impiegare una scala di questo tipo. Anche agenzie come la NASA potrebbero approvarla e contribuire così a orientare le missioni future. “Se siamo bloccati a un livello 4, e pensiamo di poter arrivare a un livello 6 grazie a una missione, io voglio finanziarla”, dice Green. In definitiva, dal momento in cui una scala come CoLD diventasse universale, i revisori degli articoli scientifici potrebbero chiedere agli autori di includerla in qualsiasi dichiarazione di scoperta di una biofirma. “Uno degli aspetti che abbiamo discusso al workshop è stato: Come incentivarne l’uso?”, dice Victoria Meadows dell’Università di Washington a Seattle, l’altra co-responsabile del workshop. “Il punto è che non disponendo di una scala del genere, i ricercatori non la useranno.”

L’appello a un approccio di questo tipo deriva dalla probabilità, inevitabilmente alta, che qualsiasi rilevamento iniziale abbia un carattere di ambiguità che di certezza: dopo decenni di caccia qualsiasi indicazione patente di vita aliena dovrebbe ormai essere evidente. Quindi stanno venendo alla ribalta ricerche più sofisticate su prove circostanziate.

Il braccio robotico del rover Perseverance della NASA proteso per esaminare le rocce in un’area su Marte nota come Cratered Floor Fractured Rough in un’immagine del 10 luglio 2021 (© NASA/JPL-Caltech)

Per esempio, a ottobre Zoë Havlena, dottoranda all’Institute of Mining and Technology, nel New Mexico, ha partecipato con un gruppo finanziato dalla NASA a una spedizione in alcune grotte dei monti Appennini, in Italia, dove ha raccolto dalle pareti e studiato campioni di gesso, un minerale che a volte è associato all’attività biologica e potrebbe essere presente su Marte. “[Il gesso su Marte] potrebbe somigliare a quello che troviamo in questi sistemi di grotte”, dice Havlena.

Su Marte, intanto, il rover Perseverance della NASA sta raccogliendo campioni rocciosi da riportare sulla Terra all’inizio del prossimo decennio e che potrebbero contenere segnali di vita aliena. In realtà, il suo primo campionamento ha riguardato una “boccata” di atmosfera marziana, dice Green, per capire se l’aria sottile attorno al rover contenga metano. Le missioni precedenti (e i telescopi sulla Terra) hanno osservato occasionali sbuffi del gas che pervadevano l’atmosfera del pianeta.

Sulla Terra il metano è prodotto dall’attività biologica, e i campioni di Perseverance potrebbero chiarire se lo stesso avviene su Marte. Secondo Green il metano di Marte si piazzerebbe a “un [livello]4 circa” sulla scala CoLD. Ma potrebbe aumentare se scoprissimo che questi campioni contengono non solo metano ma metano ricco di un isotopo, il carbonio-12. “La vita ama il carbonio-12”, spiega Green. “Se tutto il metano del campione fosse con carbonio 12, il livello CoLD salirebbe di un’unità.” Il passo successivo sarebbe sorvolare la superficie (con un drone come l’Ingenuity del Perseverance, ma più grande) per localizzare una fonte di metano da investigare direttamente.

Oltre a Marte, luoghi promettenti per la ricerca di vita sono Europa e Titano, per i loro vasti oceani sotterranei, e nel caso di Titano anche per la spessa atmosfera e i laghi di idrocarburi liquidi. Ma anche le eventuali prove ottenute su queste lune andranno sottoposte ad analisi rigorose. Di Europa si occuperà dal 2030 la missione Europa Clipper della NASA e dal 2031 la missione Jupiter Icy Moons Explorer (JUICE) dell’Agenzia spaziale europea (ESA), mentre Titano ospiterà un drone robotizzato (Dragonfly della NASA) a metà degli anni trenta.

Madeline Garner, specializzanda alla Montana State University, studia la possibilità di progettare strumenti capaci di voli spaziali robotizzati e di identificare la presenza di DNA e RNA su questo e su altri mondi alieni. “Al momento non conosciamo fonti abiotiche” di DNA e RNA, dice Garner. La sua ricerca sui nanopori a stato solido, usati sulla Stazione spaziale internazionale per sequenziare il DNA, potrebbe costituire la tecnologia di rilevamento definitiva per le sonde spaziali: “Se troviamo DNA o RNA, sappiamo che è vita”.

Al di fuori del nostro sistema solare, gli scienziati si preparano a una nuova epoca di studi su esopianeti che potrebbero rivelare prove sperimentali di presenza di vita. All’ESA sono in corso i lavori per la missione PLAnetary Transits and Oscillations of stars (PLATO), che andrà in cerca di elusivi mondi simili alla Terra in orbita attorno a stelle simili al Sole (il lancio è previsto per il 2026). “Non abbiamo rilevamenti certi di un pianeta roccioso nella zona cosiddetta abitabile di una stella simile al Sole”, spiega Heike Rauer, capo dell’Istituto di ricerca planetaria al Centro aerospaziale tedesco. Questo sarà l’obiettivo di PLATO. “Il caso migliore sarebbe un vero e proprio gemello della Terra: un pianeta con la stessa massa e dimensione, e con la stessa distanza da una stella che sia simile al nostro Sole.”

Se si dovessero scoprire mondi simili, occorrerà tartassarli con indagini approfondite con sofisticati osservatori orbitali attualmente in discussione (oltre le possibilità del Telescopio spaziale James Webb della NASA, che sarà operativo da dicembre. Tra questi, un progetto multimiliardario che la NASA sta prendendo in considerazione, forse programmabile per gli anni quaranta, per fotografare direttamente i pianeti terrestri attorno a stelle come il Sole, “annusare” le loro atmosfere in cerca di segni di abitabilità e di vita, e perfino mapparne le superfici.

Un modello di una fotocamera di PLATO all’interno del simulatore spaziale VTC-1.5, all’ESTEC Test Centre nei Paesi Bassi, per una serie di test termici a vuoto (© ESA/Matteo Apolloni)

“Saremmo in grado di determinare la presenza di continenti o di oceani, o magari identificare i segni di una foresta in superficie”, prevede Shawn Domagal-Goldman, vicedirettore del Consiglio direttivo per le scienze e l’esplorazione al Goddard Space Flight Center. Se qualche mondo acquoso e verdeggiante mostrasse anche biofirme gassose quali ossigeno e metano, molti ricercatori si convincerebbero che la loro lunga ricerca della vita è stata finalmente coronata da successo. “Sarebbe alquanto improbabile osservare un pianeta con una composizione atmosferica uguale a quella terrestre e immaginare che a produrla sia un processo non biologico”, spiega Giada Arney, studiosa degli esopianeti al Goddard.

Un metodo come CoLD aiuterebbe moltissimo tutti – dagli scienziati ai giornalisti al pubblico generale – a capire fino a che punto vale la pena emozionarsi per un rilevamento di questo tipo. Ma non tutti approvano l’idea. Caleb Scharf, direttore di astrobiologia alla Columbia University, non crede che i ricercatori possano controllare la percezione delle notizie e dubita che il pubblico comprenderebbe un messaggio composto con la massima cura. “Mi chiedo se la comunità scientifica abbia davvero questo potere”, dice. “Basta dare un’occhiata agli ultimi venti mesi di COVID, in cui siamo stati continuamente sottoposti a statistiche e probabilità. Siamo totalmente incapaci di interpretare quella roba.”

Ciò che è certo, comunque, è che stiamo procedendo a ritmo sostenuto. “Siamo in una situazione molto diversa rispetto anche solo a dieci anni fa”, sostiene Scharf. La ricerca in svariati ambiti, dall’analisi delle grotte terrestri alla visita di mondi distanti, sta per avvicinarci quanto mai prima alla scoperta (o alla negazione) della vita aliena. Decidere come comunicare al mondo una notizia simile, se mediante un modello di tipo CoLD o in altro modo, è qualcosa che vale la pena discutere adesso e non più tardi. “La sensazione è che non siamo soli”, afferma Graham Lau, astrobiologo al Blue Marble Space Institute of Science a Seattle. “Se c’è vita là fuori, stiamo per scoprirla.”

Share.

Leave A Reply