Identificato il primo buco nero alla deriva nella Via Lattea

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Identificato il primo buco nero alla deriva nella Via Lattea

Dista 5000 anni luce da noi, ha una massa di sette volte quella del Sole e viaggia a 45 chilometri al secondo. La sua osservazione, resa possibile grazie all’effetto di microlente gravitazionale, previsto dalla relatività di Albert Einstein, apre la strada allo studio di questi particolari oggetti celesti
di Jonathan O’Callaghan/Scientific American
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Questi sono tempi di boom per gli astronomi a caccia di buchi neri. I più grandi – buchi neri supermassicci che possono avere una massa di miliardi di Soli – sono stati trovati al centro della maggior parte delle galassie, e siamo anche riusciti a ottenere l’immagine di uno di essi. Nel frattempo, i ricercatori rilevano regolarmente onde gravitazionali che increspano lo spazio-tempo, provenienti da piccoli buchi neri che si fondono tra loro.

Più vicino a casa, abbiamo assistito ai drammatici fuochi d’artificio celesti prodotti quando il buco nero supermassiccio della Via Lattea e i suoi cugini più piccoli si nutrono di nubi di gas o addirittura di intere stelle. Mai prima d’ora, però, abbiamo visto un fenomeno previsto da tempo: un buco nero isolato che va alla deriva senza meta nello spazio, nato dal collasso di una stella massiccia per essere poi proiettato lontano.

Fino a ora.

Gli scienziati hanno annunciato la prima inequivocabile scoperta di un buco nero vagante, che erra nel vuoto a circa 5000 anni luce dalla Terra. Il risultato, pubblicato il 31 gennaio in preprint sul server arXiv, e non ancora sottoposto a peer review, rappresenta il culmine di più di un decennio di fervente ricerca. “È davvero eccitante”, dice Marina Rejkuba dell’European Southern Observatory in Germania, coautrice del lavoro. “Possiamo effettivamente provare che i buchi neri isolati esistono.” Questa scoperta potrebbe essere solo l’inizio; le indagini in corso e le prossime missioni dovrebbero trovare altre decine o addirittura centinaia di questi viaggiatori bui e solitari. “È la punta dell’iceberg”, dice Kareem El-Badry dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, non coinvolto nello studio.

Nel 1919, l’astronomo britannico Arthur Stanley Eddington effettuò un famoso esperimento. Le teorie della relatività speciale e generale di Albert Einstein avevano postulato che gli oggetti massicci causassero un avvallamento nello spazio-tempo, piegando i raggi di luce vicini in un processo noto come lente gravitazionale. Eddington dimostrò che era proprio così approfittando di un’eclissi solare totale, quando il bagliore del Sole era ridotto al minimo e sullo sfondo della volta celeste si potevano scorgere le stelle vicine a esso. Usando una tecnica nota come astrometria, Eddington annotò attentamente le posizioni di queste stelle prima e durante l’eclissi, rivelando un sottile cambiamento nelle loro posizioni apparenti nel cielo dovuto alla deformazione del percorso della loro luce a causa dalla considerevole attrazione gravitazionale della nostra stella. “La posizione apparente delle stelle ha avuto un piccolo spostamento”, dice Feryal Özel dell’Università dell’Arizona, non coinvolto nello studio sul buco nero vagante.

Nei decenni successivi, gli scienziati hanno usato questa tecnica in modo nuovo. Le stelle con una massa oltre 20 volte quella del nostro Sole dovrebbero formare buchi neri alla fine della loro vita, quando i loro nuclei pesanti collassano sotto il loro stesso peso dopo l’esaurimento del combustibile termonucleare. La nascita di un buco nero di massa stellare – una sfera delle dimensioni di una città contenente fino a decine di volte la massa del Sole – è spesso accompagnata da una supernova luminosa creata dalle enormi energie liberate dal collasso del nucleo. Queste forze possono essere così intense da spingere il buco nero appena nato al di fuori della sua traiettoria originale, in una crociera interstellare senza fine.

Questo vagabondaggio cosmico – più le piccole dimensioni dei buchi neri e la loro oscurità intrinseca – dovrebbe rendere quasi impossibile osservare questi oggetti astronomici. Il lavoro di Eddington, tuttavia, suggeriva che questi relitti potessero essere trovati osservando il loro effetto di lente gravitazionale: un evidente e transitorio aumento di luminosità di qualsiasi stella sullo sfondo mentre i buchi neri attraversano il nostro campo visivo. Le probabilità di osservare un simile evento per un buco nero isolato sono ben scarse, ma dato che si stima che siano milioni i buchi neri di massa stellare alla deriva nella nostra galassia, alcuni potrebbero comparire in indagini sufficientemente ampie e profonde del cielo.

Attualmente diversi progetti cercano questi e altri eventi detti di microlensing (microlente), e fra questi l’Optical Gravitational Lensing Experiment (OGLE), gestito dall’Università di Varsavia, e il Microlensing Observations in Astrophysics (MOA) survey coordinato da ricercatori in Nuova Zelanda e Giappone. Nel giugno 2011, queste due indagini hanno rilevato qualcosa degno di nota: una stella divenuta improvvisamente brillante a 20.000 anni luce di distanza verso il rigonfiamento (bulge) galattico al centro della Via Lattea. Potrebbe essere stato un evento di microlente di un buco nero solitario? Gli astronomi si sono precipitati a scoprirlo.

Tra loro c’era Kailash Sahu dello Space Telescope Science Institute di Baltimora, autore principale del preprint su arXiv in cui è descritta la scoperta. Ricorrendo al telescopio spaziale Hubble, lui e i suoi colleghi hanno fatto un ingradimento sulla stella poche settimane dopo la sua illuminazione, poi sono tornati più e più volte nei sei anni successivi. Sono stati così in grado di confermare che la luce della stella era stata ingrandita, indicando la presenza di un oggetto invisibile che aveva fatto da lente, ma hanno trovato qualcosa di ancora più importante. La posizione apparente della stella nello spazio si era spostata di una quantità minuscola. L’effetto era “1000 volte più piccolo di quello misurato da Eddington”, dice Sahu, ed era vicino ai limiti delle capacità di Hubble. Qualcosa di nascosto aveva amplificato e curvato la luce della stella. Il miglior candidato? Un buco nero invisibile con massa stellare 7,1 volte quella del Sole.

“Non c’era altra possibilità che un buco nero”, dice Sahu. Erano necessarie due cose per confermare la scoperta. “Il primo criterio era che non ci doveva essere luce proveniente dalla lente”, dice Sahu, per escludere oggetti più prosaici come una stella “fallita” conosciuta come una nana bruna. Il secondo era che l’effetto di ingrandimento doveva avere una lunga durata, data l’ampia dimensione della sfera di influenza gravitazionale di un buco nero. Poiché l’evento del giugno 2011 era durato per circa 300 giorni, corrispondeva alla descrizione. “È un’analisi piuttosto approfondita e attenta”, dice El-Badry. “Effettuata con la dovuta diligenza.”

Le otto immagini riprese in periodi successivi da Hubble mostrano l’effetto di microlensing su una stella sullo sfondo (freccia): la prima immagine mostra la stella quando, nell’agosto 2011, è apparsa ingrandita di circa 12 volte rispetto al normale. Nelle riprese successive la sorgente torna lentamente molto vicina alla sua luminosità e alla sua posizione usuale (Da: K.C. Sahu et al.)

L’entità dell’amplificazione e della deviazione della luce della stella ha poi permesso a Sahu e ai suoi collaboratori di stabilire la massa del sospetto buco nero a poco più di sette masse solari. Questo lo colloca “nel bel mezzo” dei valori che ci aspetteremmo per i buchi neri di massa stellare, dice Özel. Il gruppo è stato anche in grado di calcolare la sua velocità. “Si muove a circa 45 chilometri al secondo”, dice Sahu. È dunque relativamente veloce rispetto alle stelle vicine: l’esatto tipo di cosa che ci si aspetterebbe se il buco nero avesse ricevuto una spinta espulsiva da una stella massiccia morente. Non è chiaro quando quell’evento sarebbe accaduto, ma “potrebbe essere successo circa 100 milioni [di anni fa]”, dice Sahu. “Non possiamo dirlo con certezza perché non sappiamo da dove esattamente sia arrivato.”

Non si tratta, tuttavia, del primo indizio osservazionale di microlensing da buchi neri di massa stellare isolati; diversi altri candidati lo hanno preceduto. Ciò che distingue questo caso è la misurazione della deflessione gravitazionale dell’oggetto che fa da lente alla luce della stella, più che la sua mera amplificazione, che ha permesso di dedurre con sicurezza la massa dell’oggetto che ha fatto da lente, e quindi la sua vera natura. “Ci sono già stati rilevamenti di candidati buchi neri, ma non avevano queste misure astrometriche”, dice David Bennett, del Goddard Space Flight Center della NASA e coautore con Sahu e altri dell’articolo sulla scoperta. “Questa tecnica è la migliore da usare per i buchi neri isolati di massa stellare. E questo è il primo tentativo di farlo. Tutti i buchi neri trovati in precedenza sono stati scoperti perché non erano isolati”.

La massa di questo buco nero offre ulteriori prove che i modelli astrofisici della loro formazione sono corretti: i buchi neri solitari possono sorgere dalle ceneri di progenitori stellari particolarmente massicci. È possibile, però, che questi buchi neri possano formarsi anche in sistemi binari prima di diventare nomadi nel vuoto. Per questo particolare oggetto, non è possibile dire con certezza quale sia la storia della sua origine. Quello che è certo, però, è che trovare altri buchi neri solitari permetterà ai ricercatori di sondare e perfezionare i modelli in modo molto più dettagliato. “Non siamo mai stati in grado di studiare i buchi neri solitari”, dice Özel. “Quindi, questo nuovo modo di trovarli, e di determinarne la massa, è sicuramente eccitante. Si stanno formando in modo diverso? La loro distribuzione di massa è diversa?”

Le risposte a queste domande potrebbero arrivare molto presto. Il telescopio Gaia dell’Agenzia spaziale europea sta mappando le posizioni di miliardi di stelle nella nostra Via Lattea. Nel 2025, gli scienziati del progetto publicheranno i dati sulle lenti gravitazionali ricavati dalle sue osservazioni, dati che dovrebbero contenere la prova di molti altri “solitari” di massa stellare che si aggirano per la nostra galassia. “I dati di Gaia saranno di qualità simile o addirittura migliore di quelli di Hubble”, dice Łukasz Wyrzykowski dell’Università di Varsavia, coautore di quest’ultima scoperta e anche uno dei cacciatori di buchi neri isolati con Gaia. Secondo le sue stime, i prossimi dati del lensing, conterranno decine di candidati aggiuntivi.

Anche l’Osservatorio Vera C. Rubin in Cile, che dovrebbe iniziare un’indagine decennale del cielo notturno l’anno prossimo, dovrebbe raccogliere osservazioni sui buchi neri isolati, come anche il telescopio spaziale Nancy Grace Roman della NASA, che sarà lanciato nel 2027. Rubin e Roman hanno campi visivi molto ampi, che permettono a ciascuno di catturare panorami pieni di stelle in cui si dovrebbe annidare un gran numero di buchi neri vaganti. “L’aspettativa è che questi dati ci saranno”, dice El-Badry. “La speranza è che [Rubin e Roman] siano in grado di misurare questo spostamento astrometrico per molte [stelle]”.

Per ora, questa scoperta “oscura” lascia prevedere un futuro luminoso per la ricerca. I buchi neri di massa stellare solitari, previsti da tempo ma solo ora confermati dall’osservazione, potrebbero essere sufficientemente comuni nella nostra galassia da permettere studi “demografici” sulla loro popolazione. Stabilire la loro vera abbondanza, le masse e altre proprietà potrebbe rafforzare le nostre teorie ancora incomplete sull’evoluzione stellare o rivelare nuove importanti lacune nella nostra comprensione. “Abbiamo aspettato questa scoperta per moltissimi anni”, dice Wyrzykowski. “Una scoperta che dimostra che questo metodo funziona. Il microlensing gravitazionale è il modo per trovare questi buchi neri solitari.”

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