Creata una nuova mappa per l’acqua su Marte

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Creata una nuova mappa per l’acqua su Marte

La prima mappa globale ad alta risoluzione della distribuzione dei minerali idrati sulla superficie del Pianeta Rosso conferma ancora una volta che in passato Marte era un mondo assai meno arido rispetto a oggi. E indica dove dovrebbero atterrare le future missioni
di Emiliano Ricci
www.lescienze.it

In un tempo lontano, la superficie marziana doveva essere solcata da torrenti e fiumi di acqua. Quella che ormai da alcuni decenni le sonde e i rover stanno assiduamente cercando nel sottosuolo marziano assieme a qualche eventuale segno di vita, anche se fossile. Fu proprio un astronomo italiano, Giovanni Virginio Schiaparelli, con le sue osservazioni telescopiche di Marte (iniziate nella seconda metà dell’Ottocento) e la scoperta di presunti “canali” – confermata all’inizio del XX secolo da un’ulteriore autorevolissima voce, quella dell’astronomo statunitense Percival Lowell – a dare il via ai voli di fantasia sull’esistenza di ipotetici abitanti marziani, esperti in ingegneria idraulica, in grado di costruire una fittissima rete di canali artificiali.

Le mappe della superficie marziana disegnate da Schiaparelli e da Lowell – all’epoca non esisteva ancora la fotografia astronomica – riportavano infatti lunghe strutture rettilinee che collegavano fra loro varie regioni del pianeta. Adesso sappiamo che i canali “visti” dai due astronomi non sono mai esistiti (l’occhio a volte vede solo quello che vuol vedere), ma nel corso del tempo le prove che Marte un tempo era un pianeta molto meno arido di adesso si sono fatte sempre più schiaccianti.

L’ultima prova, in ordine di tempo, è la prima mappa globale ad alta risoluzione della distribuzione dei minerali idrati sulla superficie del Pianeta Rosso. A pubblicarla su “Icarus“, dopo un decennio di raccolta dati, è stato un gruppo di ricercatori guidato da John Carter, dell’Institut d’Astrophysique Spatiale (IAS) dell’Université Paris-Saclay, e del Laboratoire d’Astrophysique de Marseille (LAM) dell’Aix-Marseille Université, in Francia.

La mappa indica l’abbondanza relativa dei vari minerali idrati nelle diverse aree, e quindi i possibili siti di atterraggio delle future missioni (© ESA/Mars Express (OMEGA and HRSC) and NASA/Mars Reconnaissance Orbiter (CRISM and HiRISE))

“Per costruire questa mappa – spiega Francesca Altieri, ricercatrice all’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali (IAPS) dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF) – sono stati usati i dati degli strumenti OMEGA (Observatoire pour la Mineralogie, l’Eau, les Glaces et l’Activité) e CRISM (Compact Reconnaissance Imaging Spectrometer for Mars), da diversi anni in orbita intorno a Marte, a bordo rispettivamente del satellite MarsExpress dell’Agenzia spaziale europea e del satellite Mars Reconnaissance Orbiter della NASA. OMEGA e CRISM sono entrambi spettrometri capaci di identificare i minerali che si trovano sulla superficie di Marte.”

“Questa mappa – prosegue Altieri – riporta la distribuzione dei minerali che si sono formati più di tre miliardi di anni fa dall’interazione di antiche rocce marziane con l’acqua. Questi minerali sono anche detti minerali idrati, come per esempio le argille. Oggi Marte ci appare come un pianeta freddo, arido e con un’atmosfera molto rarefatta. Ma la presenza di argille sui terreni più antichi testimonia che nella sua storia remota il Pianeta Rosso doveva essere più ricco di acqua in alcune regioni specifiche, con un’atmosfera più densa e temperature più miti.”

Già in passato, sempre mettendo insieme i dati di OMEGA e CRISM, erano state elaborate mappe su scala globale dei minerali prodotti dall’interazione con l’acqua. Ma questa, rispetto alle precedenti, è più completa, perché indica anche nuovi siti. Inoltre non si limita a mostrare la distribuzione dei minerali idrati, ma ne fornisce anche le abbondanze. In particolare, la nuova mappa evidenzia un maggior numero di depositi idrati sui terreni antichi e una maggiore varietà di composizione, con prevalenza di tipologie di minerali maggiormente alterati dall’acqua.

I meccanismi di interazione e formazione devono quindi essere stati più complessi e diffusi di quanto precedentemente pensato. “I minerali idrati sono detti anche minerali secondari – spiega ancora Altieri – perché si formano dai minerali primari della crosta a seguito delle modifiche indotte dall’interazione con l’acqua. Diverse condizioni di interazione danno origine a tipologie differenti di minerali idrati. Argille come le smectiti e la vermiculite (utilizzata per esempio da noi come argilla espansa) si formano in presenza di quantità di acqua relativamente basse e per questo mantengono elementi chimici come ferro e magnesio presenti nelle rocce vulcaniche originarie. In presenza di maggiori quantità d’acqua le rocce primarie vengono ulteriormente alterate, gli elementi solubili tendono a essere portati via e si formano argille più ricche di alluminio come la caolinite (utilizzata per esempio da noi per le porcellane).”

La scoperta di una maggiore distribuzione di minerali idrati e di una loro diversificazione a seconda delle zone potrebbe portare i planetologi a ripensare i meccanismi con cui Marte ha perso le grandi quantità di acqua liquida che dovevano un tempo trovarsi in superficie. “I minerali idrati su Marte si sono diversificati in base a quanta acqua è stata disponibile nel tempo in una data area”, prosegue Altieri. “Fare un inventario dei minerali secondari e metterli in correlazione con l’età dei terreni su cui vengono identificati permette quindi di capire come sia evoluta la presenza dell’acqua sul pianeta.”

Questi risultati “indicano che la sequenza temporale della formazione dei minerali su Marte è molto complessa ed è stata sicuramente semplificata dai planetologi negli anni precedenti. Inoltre, i contesti geologici che evidenziano l’interazione fra acqua e suolo marziano sono estremamente vari. Quello che però sappiamo è che l’acqua su Marte non è scomparsa da un giorno all’altro. Nel corso del tempo ci sono stati comunque episodi che localmente hanno, per qualche motivo, portato al rilascio di acqua almeno fino a un paio di miliardi di anni fa.”

Dettaglio della mappa relativo al cratere Jezero e ai suoi dintorni. La linea bianca indica il percorso del rover Perseverance, che è atterrato proprio in quella regione (© ESA/Mars Express (OMEGA and HRSC) and NASA/Mars Reconnaissance Orbiter (CRISM and HiRISE))

Oggi troviamo ghiaccio d’acqua nelle calotte polari marziane e piccole quantità di acqua sono presenti in atmosfera sotto forma di vapore acqueo o di nubi di ghiaccio d’acqua, ma le attuali condizioni di temperatura e pressione sono troppo basse (atmosfera troppo rarefatta e fredda) per consentire di avere acqua stabile in superficie. “Le evidenze raccolte negli ultimi due decenni grazie alla strumentazione in orbita e in situ – commenta ancora Altieri – hanno permesso ai planetologi di capire che l’atmosfera marziana è stata erosa da un fenomeno lento, ma continuo, a opera del vento solare. La nostra atmosfera viene schermata da questo processo di erosione dal campo geomagnetico.”

La scoperta di numerosi giacimenti di minerali idrati permette agli astronomi di valutare l’importanza relativa dei diversi processi in gioco nella scomparsa dell’acqua liquida su Marte. “Parte dell’acqua superficiale presente in passato su Marte venne persa nello spazio quando il campo magnetico di Marte cessò di esistere per evaporazione/sublimazione e successiva fotodissociazione”, conferma Matteo Massironi, docente di geologia planetaria presso l’Università di Padova. “Un altro importante processo che implica la perdita di acqua è l’idratazione della crosta, ossia la formazione di minerali idrati. In sostanza, l’acqua che costituiva le antiche falde acquifere si è ghiacciata formando il permafrost, ma molta dell’acqua superficiale e parte di quella sotterranea è stata ritenuta nella crosta inserendosi nella struttura cristallina dei minerali trasformando i minerali delle rocce primarie in minerali idrati.”

Proprio lo scorso anno un gruppo guidato da Eva Scheller, del California Institute of Technology a Pasadena, ha pubblicato su “Science” un lavoro in cui calcola che il processo di idratazione della crosta marziana, spesso sottovalutato, potrebbe essere stato invece assai rilevante e di gran lunga più importante del trasferimento dell’acqua in atmosfera per evaporazione/sublimazione e da qui nello spazio per fotodissociazione. “È evidente che queste nuove mappe permetteranno un maggior dettaglio di tali stime, dal momento che quantificano la presenza di minerali idrati sulla superficie”, commenta Massironi.

Su Marte, però, si pensa che acqua allo stato liquido sia presente ancora oggi, anche se la questione è ampiamente dibattuta. “Sappiamo che 4 miliardi di anni fa l’acqua superficiale su Marte era comune, formando un oceano-mare settentrionale e una notevole rete fluviale nelle terre meridionali”, afferma Massironi. “Oggi, invece, solo effimeri rivoli di acqua contenenti sali (brine) possono potenzialmente mantenersi stabili per brevissimi periodi alle attuale basse pressioni dell’atmosfera di Marte.”

“Fenomeni come reti di piccoli canali che si osservano sui bordi di alcuni crateri sembrano essere dovuti alla presenza transitoria di acqua, ma questa ipotesi non è ancora accreditata e in merito c’è ancora molto dibattito nella comunità scientifica”, aggiunge Altieri. “Acqua liquida è stata identificata nel 2018 in un lago subglaciale vicino alla calotta polare sud grazie ai dati dello strumento italiano MARSIS, a bordo del satellite Mars Express. Questo deposito d’acqua si trova a una profondità di più di un chilometro e quindi è inaccessibile. In ogni caso, il futuro rover Rosalind Franklin della missione europea ExoMars ospiterà a bordo strumenti per cercare acqua o ghiaccio d’acqua sotto la superficie di Marte fino a una profondità di 2 metri.”

Ma per questa missione, il cui lancio, previsto per quest’anno, è stato ulteriormente rimandato a causa dell’interruzione della collaborazione fra l’Agenzia spaziale europea e l’agenzia spaziale russa Roscosmos in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, dovremo attendere ancora qualche anno, considerato che, al momento, la missione è stata riprogrammata per una data non antecedente il 2028.

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